Tarvisio

Chiesa dei Santi Pietro e Paolo

Tarvisio

La storia della chiesa e la sua struttura

La storia della chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Tarvisio ha origini remote nel tempo e inizia con il decreto di fondazione e di erezione di una cappella, stilato il 1° luglio 1399 a Villach dal Vescovo di Bamberg, conte Albert von Wertheim, su richiesta dei sudditi di quello che era ancora un modesto villaggio e che il documento indica col nome di “villa tarf(isi)e(nsis)”. La cappella venne dedicata a San Pietro dal vescovo che motivò la sua concessione con la distanza che separa Tarvisio dalla pieve-madre di Camporosso e la conseguente difficoltà dei tarvisiani di partecipare alle funzioni religiose a causa delle frequenti piogge, dei torrenti spesso in piena e delle copiose nevicate invernali. Una ragione ancora più valida fu però che i fedeli tarvisiani in maggioranza parlavano solamente il linguaggio veneto, il friulano e il tedesco, mentre presso la pieve di Camporosso la lingua usata nei riti e nelle prediche era solo quella slava, a loro del tutto incomprensibile.

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L’atto del 1399, che concesse loro anche il diritto di eleggere un proprio pastore (cappellano), com’era allora in uso nelle parrocchie della valle, di fatto segnò il distacco dalla primitiva chiesa-madre e l’avvio alla formazione nel secolo successivo di una parrocchia autonoma e all’edificazione di una propria chiesa. 

Nel 1401, come si legge in un documento conservato nell’archivio Arcivescovile di Udine, Pietro di Roam, priore dell’Ospedale di Santo Spirito dei Colli di Gemona alla giurisdizione spirituale del quale era soggetta la pieve di Camporosso, concesse alla comunità di Tarvisio di poter edificare una cappella dipendente dalla matrice di Sant’Egidio di Camporosso e di provvedersi di un sacerdote. Non è dato sapere quale forma avesse quella piccola costruzione, ma è certo che la rapida crescita demografica, sociale ed economica (grazie alle miniere di Raibl-Cave del Predil ed alla conseguente lavorazione del ferro in loco), portò con sé la necessità di avere un edificio sacro consono all’importanza e al prestigio del paese, che nel 1455 sarebbe divenuto luogo di muda (o dogana imperiale) e nel 1456 sarebbe stato elevato a dignità di Comune con diritto di mercato (Markt Tarvis) e di tutti i privilegi ad esso connessi.

Nel 1445, come documenta una lapide trapezoidale posta sopra il portone d’ingresso della chiesa, il giorno di lunedì seguente alla festa di S. Michele si diede inizio alla nuova costruzione, progettata da uno sconosciuto artefice, tale mastro Osvald Rav, che si firmò con il suo marchio in un piccolo scudo, come allora s’usava. L’edificio, in pietra locale, di modesta dimensione, ad unica navata con presbiterio leggermente sopraelevato, presentava un’abside poligonale ed era affiancato da un robusto campanile. Tale impianto rimase sostanzialmente inalterato fino alla seconda metà del Novecento.

Un lungo periodo di pace e di buon governo, che si protrasse fino alla metà del XVIII secolo, permise ad alcune persone facoltose di Tarvisio di impegnarsi con sostanziosi finanziamenti per importanti ristrutturazioni della chiesa: interessarono queste soprattutto la zona antistante il presbiterio (venne aggiunto un transetto a conferire all’edificio quasi l’aspetto di una croce greca), portarono alla costruzione della grande sacrestia ed alla copertura a cipolla in stile carinziano del campanile.

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Si realizzarono anche nuovi altari, come attesta il resoconto della visita pastorale che il 19 settembre 1751, pochi giorni dopo la soppressione del Patriarcato di Aquileia (6 luglio 1751) il vescovo Carlo Michele d’Attems (che nel 1752 sarebbe diventato primo arcivescovo di Gorizia), compì nella Val Canale: vi si nominano infatti sette altari: il maggiore dedicato ai santi titolari della chiesa, cioè Pietro e Paolo, gli altri alla Beata Vergine (con una mensa mobile adibita alla celebrazione della messa al di fuori della chiesa), alla Madonna del Carmelo ed alla omonima confraternita, a Sant’Enrico confessore, a San Francesco Saverio, a Sant’Anna e a Sant’Antonio. Quest’ultimo era collocato in un ambiente aggiunto ed aveva, come quello della Beata Vergine, un mensa mobile. La chiesa viene definita «abbastanza bella, ampia e bene ornata, ha sei calici, un ostensorio, un ciborio e una grande reliquia della santa Croce con la sua autentica, quattro campane e due confessionali, quando tuttavia ne dovrebbe avere almeno quattro o cinque, senza crocifisso nel pulpito».

Nel presbiterio si collocò all’epoca il nuovo “moderno” grande altare che ancora si vede, mentre quello precedente, un suggestivo flügelaltar dell’inizio del Cinquecento, parte in scultura, parte in pittura, probabilmente danneggiato dal tempo e dall’opera dei tarli, fu smembrato: lo scrigno venne successivamente inserito nell’altare dell’Incoronazione, mentre le tavole dipinte furono trasferite nella chiesa della Madonna di Loreto a Tarvisio Basso per essere collocate a mo’ di decoro della cantoria dell’organo.

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Un disegno eseguito al tempo del vescovo di Gurk Franz Xavier Salm (1783-1822), evidenzia com’era l’esterno della chiesa, con il presbiterio pentagonale rinforzato da robusti contrafforti, il transetto di sinistra, le finestre gotiche della navata e la copertura del tetto in scandole, con il caratteristico “ciuffo” triangolare delle case valcanalesi a concludere la facciata.

Intorno al 1840 venne demolita la torre esagonale, posta sul retro della chiesa e nel 1857 la torre ottagonale divenne proprietà comunale. Negli anni 1878-79 la costruzione della ferrovia Tarvis - Pontafel, con attraversamento del centro urbano proprio a ridosso del muraglione sud della chiesa fortificata, rese necessaria una minima demolizione nella parte occidentale di un tratto della cinta muraria. L’intervento peraltro non creò alcuno stravolgimento dell’antica struttura.

Dopo la prima guerra mondiale, sia per il ruolo particolare assunto da Tarvisio divenuta città di confine, sia per l’accresciuto numero di abitanti, si pensò di ingrandire la chiesa: un primo progetto, che prevedeva anche il restauro dell’edificio, fu steso nel 1936, su incarico della Soprintendenza ai monumenti di Udine, dall’architetto Umberto Piazzo ma per la sopraggiunta nuova guerra non ebbe realizzazione. Eseguiti lavori di restauro al tetto e al campanile negli anni Cinquanta, nel 1959 venne infine affidato all’architetto Giacomo Della Mea il compito di stendere un nuovo progetto per l’ampliamento della chiesa.

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La navata centrale venne prolungata verso occidente, risultando così addossata notevolmente alle fondamenta delle antiche mura demolite. I muri vennero rinforzati con alti e robusti contrafforti in corrispondenza delle colonne interne. Per quanto riguarda la facciata esterna, per la soluzione della quale Della Mea aveva avanzato diverse proposte, si optò per la soluzione in stile carinziano, mantenendo la terminazione a tronco di piramide e, a metà facciata, la cornice ogivale preesistente (nella quale venne inserita l’antica trifora). Furono costruiti nella parte inferiore tre archi acuti che introducono all’endonartece, in cui fu ricollocato il portale originale con l’iscrizione del 1445.

Questi lavori portarono ad un imprevisto sconvolgimento della situazione preesistente: nel demolire la vecchia facciata per consentire l’allungamento della navata, sotto l’intonaco riapparvero gli affreschi quattro - cinquecenteschi che in origine la decoravano e che in seguito erano stati coperti. Affreschi che, per la maggior parte malamente leggibili, con operazione quanto mai difficile e delicata, condotta dai restauratori Gino e Marisa Marchetot, vennero staccati con l’intento di rimontarli al termine dei lavori di ampliamento della chiesa. Si decise di rimontare sulla nuova facciata il gigantesco San Cristoforo, che per le sue dimensioni non poteva essere collocato all’interno, poi si procedette alla sistemazione degli altri riquadri dipinti. Si ipotizzò per essi una sistemazione sulle pareti laterali del presbiterio, ma quando si scrostarono i muri per la loro messa in opera, ci si accorse che il coro della chiesa era pressoché interamente coperto di affreschi, in seguito rimessi in vista e restaurati. Era il 1967 e la notizia della riscoperta della decorazione originale della chiesa dei Santi Pietro e Paolo destò vivo interesse. Altri affreschi, al sommo dell’arco trionfale e di quello che immette alla cappella di sinistra, furono poi scoperti nei lavori di restauro della parrocchiale seguiti ai danni provocati dal terremoto del 1976. 

Il San Cristoforo

Per quanto riguarda l’affresco raffigurante San Cristoforo, che oggi è quasi illeggibile, ma già era in cattive condizioni quando venne scoperto nel 1960, si può pensare sia stato eseguito nei primi anni del Cinquecento. E’ raffigurato di profilo nella parte inferiore, nell’atto di attraversare il fiume (simboleggiato da una sirena e da un draghetto, entrambi segni di pericolo), appoggiandosi ad un grosso bastone. Ritrovato acefalo, al momento della ricollocazione in facciata venne completato dal restauratore Gino Marchetot.

L’altare maggiore

L'interno della chiesa

La chiesa, ad unica navata, ha un soffitto a botte con nervature di tufo a reticolo romboidale: a metà navata, un arcone segna la divisione, ricordata dalle date 1445 e 1960, tra la parte originale e quella novecentesca. Due corti bracci, più simili ad una cappella che a un transetto, si aprono all’altezza dell’arco trionfale che immette all’abside. Quest’ultima è di tipo gotico, poligonale con volta a crociera e dal suo centro si dipartono, a sottolineare le vele, nervature in tufo che si innestano su leggere colonne rette da semplici mensole inserite in parete.

La chiesa possiede numerose, pregevoli opere d’arte che ne accompagnano l’evoluzione dal XV al XX secolo: altari, coro ligneo, sculture, affreschi e dipinti, vetrate, lapidi decorate, organo.

Altari, coro ligneo, sculture e pulpito

Dei sette altari ricordati nella visita pastorale alla metà del Settecento, ne restano attualmente cinque: il maggiore nel presbiterio, due nelle cappelle di sinistra (dell’Incoronazione della Madonna e di San Domenico Guzman) e due nelle cappelle di destra (di Sant’Anna e di San Francesco Saverio).

L’altare maggiore

Dedicato ai titolari della chiesa, i Santi Pietro e Paolo, l’altare maggiore, in legno colorato e dorato, risale al 1728 ed ha un aspetto imponente. Di notevole altezza, presenta una struttura architettonica mossa, articolata e leggermente convessa che può essere considerata esempio di quel misurato barocco austriaco improntato a una certa severità seicentesca. Si erge sopra un’alta mensa ai lati della quale si aprono due porticine che permettono l’accesso al retro ed è caratterizzato da eleganti colonne con capitello al di sopra delle quali un ampio fastigio culmina in una nicchia contenente tre statue e, al centro dell’arco, un triangolo raggiato con l’occhio di Dio Padre.

Ai lati del tabernacolo due angeli oranti con ali e vesti dorate, tra le colonne le statue di san Pietro a sinistra e san Paolo a destra, in atteggiamento mistico, al sommo altre statue di santi di minor dimensione, figurine angeliche, cherubini dall’espressione affettuosa.

Nella nicchia centrale, è stata collocata alla fine dell’Ottocento una statua raffigurante il Buon Pastore, proveniente da una bottega artistica della Val Gardena, in sostituzione di una precedente statua dello steso soggetto.

Il coro ligneo

Completano l’arredo del presbiterio gli stalli del coro ligneo, splendido prodotto di ebanisteria eseguito da ignoti artigiani carinziani agli inizi del XVII secolo, unico nella Valcanale per ricchezza e raffinatezza d’intaglio. Costituito da due file di sette scranni ciascuna, il coro è stato sapientemente realizzato in solido legno di larice per quanto riguarda la struttura e con il più morbido legno di tiglio per le parti intagliate e scolpite. La fastosa decorazione a intaglio, quanto mai appariscente e gradevole, è decisamente elaborata e ricca di simboli cristiani, con tralci di vite e uccelletti nelle sedici colonnine che dividono le postazioni; negli schienali le piccole edicole sono abbellite da un coronamento a forma di conchiglia, a richiamare la purezza della Vergine, nelle balaustre compaiono motivi ornamentali floreali e vegetali tra i quali spicca il fiore di Giuda, la passiflora. Il manufatto era stato compromesso dalle ingiurie del tempo, ma il recente, completo restauro, sostenuto sul piano finanziario dalla Fondazione Crup, l’ha restituito all’originario splendore.

Altare dell’Incoronazione

All’ingresso del presbiterio, a sinistra, si trova l’altare dell’Incoronazione della Madonna, in legno dipinto: tardo settecentesco nella sua slanciata e armoniosa struttura architettonica, con colonne binate dall’elaborato capitello corinzio che reggono un alto timpano recante al sommo un mazzo di fiori e al centro la colomba dello Spirito Santo entro una corona di dorate nuvole in bassorilievo. Abbelliscono l’altare quattro statue lignee, due in basso, dipinte e dorate, con paciosi angioletti oranti inginocchiati, e due ai lati del timpano, raffiguranti a sinistra San Giuseppe e a destra la Vergine Maria, statue dalle vesti coloratissime, in larghe pieghe svolazzanti.

Costituisce la pala dell’altare un bassorilievo in legno di grande importanza storica e artistica, raffigurante la Madonna incoronata tra il Padre Eterno e Cristo: si tratta dello Schrein (scrigno) di un cinquecentesco Flügelaltar (altare a sportelli), eseguito nei primi anni del Cinquecento forse nella bottega artistica di Thomas von Villach.

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Inizialmente collocato sull’altare maggiore, il bassorilievo in legno con Madonna incoronata fece bella mostra di sé per un paio di secoli ma nel Settecento, all’epoca della riforma della chiesa, forse perché compromesso dal tempo e dall’umidità, o anche perché non più consono ai tempi, venne dismesso e smembrato. Si recuperarono le parti rimaste in buono stato: lo Schrein venne riutilizzato in loco, mentre sette tavole dipinte, tre delle quali ispirate alla vita della Vergine (la Visitazione, l’Annunciazione, la Madonna Immacolata) e quattro raffiguranti coppie di apostoli (Giacomo Maggiore e Tommaso, Simone e Matteo, Giacomo Minore e Filippo, Bartolomeo e Giuda), furono portate nella chiesetta della Beata Vergine di Loreto a Tarvisio Basso. Le tre figure che costituiscono il gruppo scultoreo, una dolce Madonna incoronata, il Padre Eterno e Cristo (entrambi coronati e barbuti, secondo una iconografia consueta nella scultura tedesca), furono salvate dalla distruzione e montate - con palese discordanza di gusto e di stile - su uno sfondo di argentee nuvole barocche. Trovano numerosi punti di contatto con simili gruppi scultorei presenti in altari lignei carinziani (a Maria Gail, Sankt Lambrecht, Matzeldorf, ad esempio) databili tutti a prima del 1517-18.

Davanti all’altare è collocato, entro una elegante cornice d’argento, un dipinto ottocentesco dai tratti realistici raffigurante Cristo coronato di spine, soggetto particolarmente venerato nel territorio (Heilige Hauptandacht, Božja Glava, Sacro Volto).

L’altare di San Domenico Guzmán

L’altare di San Domenico Guzmán è stato costruito alla fine dell’Ottocento in forme simili a quelli dell’Incoronazione e di Sant’Anna.. La pala d’altare raffigura l’Apparizione della Madonna a san Domenico Guzmán cui, secondo leggenda, la Madonna diede il rosario e ne insegnò la devozione.

L’altare di Sant’Anna

L’altare di Sant’Anna è il pendant dell’altare dell’Incoronazione della Vergine ed è quindi databile, come quello al XVIII secolo. La pala, vivace e colorata, è costituita da un bassorilievo eseguito nel 1884 dall’intagliatore Pircher e raffigura l’Educazione di Maria bambina, piacevole composizione anche per il tono domestico e familiare che accomuna le figure di sant’Anna e della figlioletta.

L’altare di San Francesco Saverio

L’altare di San Francesco Saverio (o della Santa Croce), situato nella cappella di destra il cui soffitto a crociera è piacevolmente percorso da un fitto intreccio di stucchi con motivi geometrici e vegetali, risale al 1733 e copre tutta la parete di fondo con una scenografica, complessa struttura ad un tempo scultorea ed architettonica secondo i più classici dettami dell’arte barocca.

Si innalza su una mensa aperta contenente il rilievo sepolcrale di San Francesco Saverio, sorretta da due mori inginocchiati: ai suoi lati si aprono stretti vani rettangolari entro cui campeggiano le statue di San Giovanni Nepomuceno (a sinistra) e di un Santo che è stato identificato in Giovanni Maria Vianney (1786-1859), il curato d’Ars, illustre “confessore” del secolo XIX, anche se il volto giovane contraddice la consueta iconografia.

La pala  d’altare, che sostituisce l’originale, non raffigura San Francesco Saverio ma San Francesco d’Assisi: è stata eseguita nel 1922 dal pittore gemonese Osvaldo Bierti ed è la copia, assolutamente fedele, del quadro San Francesco che abbraccia Cristo crocifisso eseguito intorno al 1668 dal grande pittore spagnolo Bartolomé Esteban Murillo (1617-1682) e conservato nel Museo di Siviglia.

 

Le statue che abbelliscono l’altare risalgono al XVIII secolo e paiono eseguite in due momenti diversi: più antiche quelle della mensa, con San Francesco Saverio disteso nel sonno eterno e i due mori inginocchiati, a ricordare la vita missionaria del santo, noto come “l’apostolo delle Indie”. Accurata la raffigurazione del santo, piuttosto grossolana e inespressiva quella dei due mori, che vestono coloratissime piume, attributo convenzionale degli indiani d’America, dagli artisti del tempo accomunati ai nativi dell’India.

In alto, sulla destra, due angioletti in volo reggono un libro sul quale si leggono le parole dell’evangelista Luca: “[QVI] NON/ RENVNTIAT/ OMNIBVS/ QVE POSSI/ DET NON POTES[T] MEVS/ ESSE DIS[C]I/ PVLVS. Lc 14, 33”: “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”: parole che ben si attagliano al poverello d’Assisi, il cui piede destro poggia su una sfera simboleggiante il mondo.

 

Sembrano di un momento successivo le statue della Madonna e di San Giovanni Battista, corrette nel misurato plasticismo e nell’atteggiamento composto, mentre vanno attribuite ad una bottega valgardenese, e datate al XX secolo, le statue di San Giovanni Nepomuceno e di San Giovanni Maria Vianney.

Il pulpito

Il bel pulpito barocco, in parte marmoreo ed in parte ligneo con inserti a stucco modellato, cornici e motivi dorati, venne costruito nel 1733. È addossato alla colonna centrale della navata destra ed è chiuso in alto da una copertura a baldacchino. Lo abbelliscono due angioletti che reggono ciascuno un crocifisso. Il pulpito ricorda tempi e costumi passati: pur non essendo più utilizzato in base alla nuova liturgia, non è stato per fortuna eliminato, come invece è accaduto per altri manufatti, ad esempio l’artistica balaustra in ferro del presbiterio.

Il crocifisso

Nella cappella di sinistra esisteva un tempo l’altare della Santa Croce. Fu rimosso in occasione di un riatto effettuato nel 1943, quando vennero recuperate nell’area tre lapidi antiche. Rimane solo il grande Crocifisso, di ottima fattura del XVII secolo.

 

Le statue degli apostoli

Sulle pareti della navata centrale fanno bella mostra di sé sei statue lignee raffiguranti probabilmente Apostoli; altre due (santi Pietro e Paolo) si trovano sull’altare maggiore. Furono donate alla chiesa da Matheus Kuglmann prima del 1668.

Nella cappella di destra è collocata anche la statua di Sant’Antonio da Padova con il Bambino che risale alla fine del XIX secolo.

Gli affreschi della parete sinistra del presbiterio

L’arcata di fondo accoglie gli affreschi più antichi e complessi raffiguranti il Sakramentshäuschen (Tabernacolo del SS. Sacramento), per secoli coperti di calce e riportati alla luce, anche se molto deperiti, nei restauri degli anni Sessanta del secolo scorso:  una elaborata struttura architettonica gotica, affiancata da un motivo decorativo di colonna a fasce bianche e rosse, culminante con una copertura a croce obliqua in prospettiva dall’alto sulla quale si impostano cinque sottili guglie dentate. All’interno del tabernacolo sono dipinti, su tre piani, la Presentazione al Tempio, la Resurrezione e il SS. Sacramento con i simboli degli Evangelisti. All’esterno, nei riquadri laterali, compaiono l’Annunciazione, la Natività e l’Adorazione dei Magi a sinistra, la Trinità, la Madonna con Bambino e la Dormitio Virginis a destra. La parte inferiore dell’invenzione pittorica non è più visibile in quanto coperta dal coro ligneo. Affreschi non dissimili da questi si conservano anche nelle località carinziane di Deutsch Griffen e Thörl.

 

Nella parte alta del tabernacolo è dipinto un tempietto al cui interno con volta a crociera e finestre gotiche con grate quadrilobe si trova la Presentazione al Tempio: il vecchio sacerdote Simeone, aureolato, riceve tra le braccia il piccolo Gesù dalla Vergine inginocchiata e incoronata, sul capo della quale pone una mano quasi presago del dolore che un giorno le avrebbe trafitto l’anima come una spada. A sinistra compare la profetessa Anna e in basso la piacevole immagine – vero e proprio ritratto, forse del parroco del tempo – di un religioso che porge il calice con l’ostia consacrata. Ai lati del tempietto, nel cui timpano è dipinto l’agnello con il sacro vessillo, due angeli dalle grandi ali suonano la tromba.

 

Al centro del tabernacolo, entro una nicchia ad arco ogivale, la figura di Cristo risorto, in piedi sul sepolcro, leggermente incurvato a sinistra. Significative sul piano dottrinale, le due figure femminili ai lati della nicchia: a sinistra la Sinagoga, una fanciulla vestita di verde, con occhi bendati perché fu cieca e non comprese il senso delle promesse profetiche di Cristo; tiene con la mano sinistra l’asta spezzata di un vessillo e con la destra una maschera, oggetto di travestimento e perciò simbolo di falsità, mentre una corona le sfugge dal capo chino. La fanciulla sul lato opposto, aureolata e con un’asta con la croce simboleggia invece la Chiesa, la vera religione. Si tratta di un’iconografia presente nel mondo nordico - come Chiesa contrapposta alla Sinagoga - anche in scultura, ad esempio nel duomo di Strasburgo o nel portale principale e all’interno del duomo di Bamberga, cioè di quel vescovado al quale l’imperatore Enrico II aveva donato le terre della Valcanale e di parte della Carinzia.

Sotto la nicchia con il Risorto è dipinto un calice con il Santissimo Sacramento adorato dai quattro Evangelisti (simboleggiati dall’angelo, dal leone, dall’aquila e dal bue) e da personaggi entro poggioli: a sinistra pare di riconoscere i rappresentanti del clero e della nobiltà, a destra quelli del popolo. Al di sotto dei simboli degli Evangelisti doveva esserci (così come a Deutsch Griffen e a Thörl) una custodia, in ferro o in pietra, per il Santissimo Sacramento: probabilmente è nascosta dagli stalli del coro ligneo.

Sei sono i riquadri ai lati del tabernacolo: a sinistra, partendo dall’alto, la scena dell’Annunciazione che si svolge in due tempi: l’Eterno Padre consegna all’Angelo un foglio con il messaggio che questi recapita alla Vergine.

Più sotto la Natività, affresco molto deperito; da ultimo un riquadro con una scena di difficile lettura ed interpretazione: forse quella dell’Anna Selbritt (cioè Sant’Anna con Madonna e Gesù, raffigurazione delle tre generazioni, iconografia non inconsueta nel mondo tedesco). 

Per quanto riguarda i tre riquadri di destra, in alto è rappresentata la Trinità sotto forma  di tre figure umane sedute all’interno di un edificio sopra il quale alcuni angeli suonano strumenti musicali; al di sotto, la Madonna con il Bambino entro una mandorla, scena egualmente rovinatissima; più in basso, la Dormitio Virginis (morte della Madonna), quasi illeggibile.

Gli affreschi di Tarvisio trovano il loro precedente diretto nell’affresco con il Sakramentshäuschen della chiesa parrocchiale di Deutsch Griffen databile intorno al 1450/1452 ed attribuito a Friedrich von Villach (documentato a partire dal 1415, attivo ancora nel 1452) che l’avrebbe eseguito da solo o con l’aiuto del figlio Johannes von Villach, pittore rinomato che, dopo aver lavorato con il padre in Carinzia, si trasferì intorno al 1440 a Lubiana per cui è meglio conosciuto come Janez Ljubljanski (Johannes de Laybaco, Giovanni di Lubiana). Come quelli di Deutsch Griffen, gli affreschi di Tarvisio, pur in mancanza di documentazione, possono essere attribuiti al pittore Friedrich von Villach che avrebbe iniziato intorno al 1450 l’opera, portata poi a termine qualche anno dopo dai suoi allievi e collaboratori. Tra questi, in primis, il figlio Janez Ljubljanski e Thomas Artula (Thomas von Villach, Tommaso da Villaco) autore del grande ed elegante affresco raffigurante il Sakramentshäuschen nella chiesa di St. Andrä a Thörl (località situata poco oltre il confine di stato sulla strada che porta ad Arnoldstein e Villach) più volte messo a confronto con il dipinto di analogo soggetto della chiesa parrocchiale di Tarvisio.

 

Accanto al Sakramentshäuschen, i restauri degli anni Sessanta del secolo scorso hanno rimesso in luce diversi brani di affreschi databili al secolo XVI. In alto, un mutilo Giudizio universale, con il Cristo Giudice con le mani alzate e protese in avanti a mostrare le stimmate, ai suoi lati due angeli che suonano le trombe del giudizio e, seduti tra nubi, gli apostoli. Al di sotto, alla sua destra, la Vergine inginocchiata intercede per coloro che saranno giudicati; di fronte a lei, san Giovanni Battista. Si intravedono da una parte le anime che salgono verso il cielo, dall’altra quelle che vengono gettate da un ponte nelle fiamme eterne dell’Inferno.

In basso, tra due fasce orizzontali al di sopra della porta del campanile, si snoda una teoria di 24 devoti inginocchiati davanti a uno stemma e abbigliati secondo i costumi del tempo, forse membri di una confraternita.

Affreschi della parete destra del presbiterio

Domina la parete destra del presbiterio un grande affresco raffigurante l’imperatore Carlo V a cavallo.

La sottostante, rovinatissima didascalia in tedesco, riportata (con qualche imprecisione) nel libro parrocchiale, chiarisce il motivo per cui un affresco profano è collocato non solo all’interno di un edificio sacro, ma addirittura nella sua parte più importante, ossia il presbiterio. Nella traduzione italiana la scritta recita: “Nell'anno 1532 il 29 di ottobre il potentissimo e invincibile imperatore Carlo V, arciduca d'Austria e di Borgogna ecc., con 80 mila uomini a cavallo e a piedi inquadrati in 17 truppe, è passato di qui ed ha pernottato nel Markt Tarvis. Ha presenziato pure personalmente ad un ufficio divino. L'affresco fu fatto fare nell’anno 1562 su commissione dell’ottimo e rispettabile Christof Guggenberg, gabelliere e controscrivano, assieme all’onorata Comunità di Tarvisio”.

Nel 1532, proveniente da Vienna, Carlo V era passato per Tarvisio con le sue truppe (ottantamila uomini, dice la scritta, di certo esagerando), aveva pernottato nella cittadina ed aveva anche presenziato ad una cerimonia religiosa. Giusto quindi ricordare la presenza in loco di un personaggio, come l’imperatore, benemerito nei confronti della chiesa cattolica per essere stato determinante nella lotta contro il luteranesimo che, a partire dal 1530 circa, si era diffuso in modo preoccupante anche in Carinzia e nella Valcanale. L’esercito di Carlo V d’Asburgo, Sacro Romano Imperatore, aveva infatti sbaragliato il 24 aprile del 1547 a Műhlberg, in Sassonia, le truppe della Lega di Smalcalda, cioè della lega dei principi tedeschi che appoggiavano la riforma anticattolica promossa da Lutero.

L’affresco, al di là dei meriti storici, risulta è di modesta qualità pittorica, anche se vistoso, nella sua ingenuità, per quello svolazzare di angeli musicanti che reggono le colonne d’Ercole con la scritta PLVS VLTRA (“più oltre”), che era il motto personale di Carlo V (ed oggi è quello nazionale della Spagna), e per le diverse aquile bicipiti che riempiono lo spazio.

Nella stessa parete, sopra la porta della sacrestia (ambiente nel quale si insegnava il catechismo), un affresco del primo quarto del Cinquecento con la parabola ricordata dai vangeli di Matteo (19, 13-15) e di Marco (10. 13-16) in cui Gesù dice agli apostoli che rimproveravano i genitori: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli”. La scena ha un sapore decisamente domestico: in primo piano Gesù colto nell’atto di accarezzare un pargoletto benedicendolo, genitori che accompagnano i figlioletti e alcuni apostoli. Fanno da sfondo le montagne del tarvisiano coperte da fitti boschi.

Affresco dell’arco trionfale

Nel 1987 è stato rimesso in luce un affresco del XVII secolo di cui si era perduta memoria, con il sacrificio di Isacco. Parte della composizione, che riprende il noto passo della Genesi (22, 1-19), è andata perduta, ma rimane ben visibile il momento saliente della narrazione, quello in cui Abramo viene fermato dall’angelo mentre si appresta a sacrificare il figlio Isacco legato sopra una catasta di legna. Collocato in alto, sull’arco trionfale, e dunque ben visibile, l’affresco ha un indubbio significato dottrinale. Tra la metà del Cinquecento e l’inizio del secolo seguente si diffuse nel Tarvisiano il protestantesimo, secondo cui la salvezza eterna si poteva ottenere solo per fede (sola fide) in Dio, e l’autorità suprema in materia di fede e di morale era soltanto la Bibbia (sola scriptura). Quale episodio biblico avrebbe potuto dunque risultare più convincente del Sacrificio di Isacco che invita i fedeli all’ubbidienza totale della volontà divina con profonda, assoluta fede?.

Affreschi dell’arco della cappella di sinistra

Nella parte sopra l’arco che immette alla cappella di sinistra è visibile un affresco, in parte mutilo, raffigurante la parabola di Lazzaro e il ricco epulone raccontata nel Vangelo di Luca: (Lc. 16, 19-25). La parabola, che prevede uno sviluppo in tempi e luoghi diversi, viene narrata dall’ignoto pittore con una certa favolistica e “fumettistica” vivacità. L’ingenuità della narrazione dà un tocco di poesia all’affresco che peraltro, è quanto mai debole e mostra la mano di un pittore locale del XVII secolo.

Gli affreschi già nella facciata dell’edificio quattrocentesco

Come si è detto, quando negli anni Sessanta si procedette all’allungamento dell’edificio quattrocentesco, dalla facciata vennero staccati i riquadri a fresco che la decoravano, poi collocati all’interno della chiesa ad eccezione del San Cristoforo allogato nella facciata. Sono per lo più lacunosi e bisognosi di restauro.

Nella cappella di sinistra è stato collocato l’affresco con La consegna delle chiavi a San Pietro, fine sec. XVI, in origine nel lunettone al centro della facciata.

 

Nella cappella di destra gli affreschi, databilil alla metà del Cinquecento, raffiguranti la Trinità e la  Madonna con Bambino, già nella parte bassa della facciata.

 

Nella navata sinistra l’affresco con La Salita al Calvario, in origine collocato nella parte centrale della facciata, sopra la pietra trapezoidale con l’iscrizione del 1445 di maestro Oswald Rav. Le numerose lacune che nuocciono alla veduta d’insieme, dai colori sbiaditi (e bisognosi di restauro) non impediscono un giudizio positivo, che nasce dalla complessità della realistica scena, ambientata poco fuori la città di Gerusalemme, di cui si vedono, sullo sfondo, una grande porta, alcune torri ed altri edifici, animata dalla presenza di numerosi personaggi, maschili e femminili, variamente abbigliati alla maniera cinquecentesca, che si affollano intorno a Gesù caduto sotto il peso della croce. Lavoro di ignoto pittore carinziano operante intorno alla metà del sec. XVI.

Nella navata destra l’affresco cinquecentesco con la Preghiera nell’orto, in origine accanto a quello con la Salita al Calvario. L’ignoto pittore si è rifatto al Vangelo di Luca (Lc. 22, 39-47), descrivendo Gesù in angoscia, inginocchiato in preghiera nell’orto dei Getsemani, sul monte degli Ulivi, mentre i discepoli dormono e un angelo scende dal cielo a confortarlo. Da una porta aperta nella staccionata che delimita il podere entra una gran folla, preceduta da un soldato che regge una torcia, cui segue Giuda con la borsa dei denari in mano.

I dipinti

Nel 1962, durante l’abbattimento della vecchia facciata della chiesa, sotto l’intonaco furono rinvenute 45 tavole dipinte della fine del secolo XVI. Ricoperte da uno strato di malta, furono provvisoriamente ripulite e sistemate nella torretta del tempietto ossario; dopo il 1970 furono restaurate ma, non essendoci in chiesa lo spazio necessario per esporle tutte, si decise di metterne in mostra alcune sulle pareti laterali della navata e nel coro. Le rimanenti sono conservate in un deposito. Di formato pressoché quadrato, raffigurano, su sfondo giallo dorato, Cristo benedicente, Maria, Apostoli ed Evangelisti aureolati, per la maggior parte riconoscibili dai consueti attributi, angioletti che suonano antichi strumenti (la tromba, l’organo portativi, la viella, la cornamusa, il salterio…), altri che leggono ed altri atteggiamenti vari. Ogni tavoletta contiene un personaggio a mezzo busto e si caratterizza per una certa ricerca fisiognomica che raggiunge in alcuni casi risultati di una qualche importanza. I particolari peraltro sono spesso grossolani. Non è dato sapere dove in origine i dipinti (dovuti ad un pittore locale della seconda metà del XVI secolo) fossero collocati, forse componevano il soffitto a cassettoni della navata o quello della sacrestia o di una cappella laterale; nell’Ottocento erano collocati in un controsoffitto sopra l’antica cantoria.

Tra gli altri dipinti presenti in chiesa, un cenno particolare merita quello, in cattivo stato di conservazione, databile al XVII secolo, che rappresenta Sant’Antonio da Padova con il Bambino in braccio, inginocchiato ai piedi di una tavola con drappo rosso sotto lo sguardo amorevole della Vergine cinta di stelle (stella maris). I tratta della visione che sant’Antonio aveva avuto poco prima della sua morte nel castello di Camposampiero presso Padova dove era ospite del conte Tiso, amico dei frati francescani. Ne esiste una copia, in migliori condizioni (più tarda?), nella chiesa della Madonna di Loreto a Tarvisio Basso.

Le vetrate del presbiterio

Dono della signora Therese, contessa von Loë, nata von Arco-Zinneberg, le quattro vetrate del presbiterio sono state eseguite nel 1887 a Innsbruck e rappresentano santi della tradizione austriaca. In quella di sinistra compare San Leopoldo III di Babenberg (1073-1136), margravio d’Austria che rinunciò all’elezione a Re della Germania. Uomo assai pio, costruì alcuni monasteri, tra cui quello di Klosterneuburg. Canonizzato nel 1485, fu proclamato patrono dell’Austria nel 1663.

Nella vetrata centrale con i Santi Pietro e Paolo corre la scritta in tedesco: “La famiglia Arco-Zinneberg donò queste quattro vetrate nell’anno del Signore1887”. La vetrata di destra rappresenta San Massimiliano, vescovo di Lorch (Baden Württemberg), decapitato nel 284 a Cilli (oggi Celje). Secondo leggenda, dove cadde la sua testa sarebbe sgorgata una fonte curativa. La quarta vetrata colorata, priva di elementi ornamentali e figurativi, si apre sulla parete laterale destra del presbiterio.

 

Le vetrate della navata

Le quattro vetrate della navata, che contengono ognuna due personaggi, risalgono al 1992 e 1993 e sono opera di Alessandro Ricardi di Netro, artista di nobile famiglia, lontano discendente di Ippolito Nievo.

Nella vetrata della parete di sinistra, accanto all’ingresso sono raffigurati il santo Vescovo Ottone I (1103-1139) che al suo rientro da Roma riorganizzò civilmente e religiosamente la Valcanale, fondando le prime cappelle in valle, di S. Geltrude a S. Leopoldo e di S. Egidio a Caporosso, e l’Imperatore Enrico II (1002-1024), che fondò nel 1007 il Vescovado di Bamberg e donò allo stesso le terre della Valcanale, assieme ad altre nella Carinzia superiore (Villach) ed in quella inferiore (Wolfsberg).

La seconda vetrata della stessa parete vede dall’alto i Santi Ermacora (vescovo) e Fortunato (diacono), protomartiri aquileiesi (70 d.C.) e patroni della chiesa di Aquileia.

Nella parete di destra la prima vetrata raffigura il patriarca Paolino d’Aquileia (784-802), uomo di cultura, e l’Imperatore Carlo Magno, che nell’811 stabilì i confini tra Patriarcato di Aquileia e l’Arcidiocesi di Salisburgo. Nell’altra vetrata, il monaco Cirillo (826-869) e il vescovo Metodio (815-885) i quali evangelizzarono i popoli della Pannonia e della Moravia e sono indicati come gli “apostoli degli slavi”.

L'organo

L’organo, collocato in controfacciata, è stato costruito nel 1962 dalla ditta Francesco Zanin e Figli. Il mobile dell’organo è addossato alla parete di fondo ed è in stile “ceciliano”, ossia senza copertura lignea sopra le canne di facciata. E’ l’ultimo, in ordine dei tempi, degli organi della chiesa. Il primo “privo di canne” è menzionato in un inventario del 1594; un organo “positivo” è documentato nel 1633. Una nuova cantoria ed un nuovo organo vennero donati da Matheus Kuglmann attorno alla metà del XVII secolo ma nel 1848 si constatò che, a causa della vetustà, lo strumento era diventato pressoché inservibile. Fu sostituito con un organo costruito da Bartlmä Hörbeger a Villach nel1849. Divenuto inservibile anch’esso, fu commissionato l’attuale alla ditta Francesco Zanin di Codroipo che lo eseguì nel 1963 e che nel 2014 ha provveduto a ripararlo dai danni subiti a causa del terremoto del 1976 e dei lavori di ristrutturazione della chiesa negli anni Novanta.

Sacrestia

In sacrestia si trova in buono stato di conservazione uno splendido armadio ligneo intarsiato, datato 1732, destinato a contenere le vesti talari ed i vasi sacri. Munifico dono della famiglia von Rechbach, ha un inginocchiatoio su ogni lato con cartagloria e i dipinti di Santa Maria Maddalena e San Carlo Borromeo.

Il lapidario

Lo straordinario lapidario della parrocchiale di Tarvisio, unico nel suo genere in tutta la regione, testimonia la secolare storia della Chiesa e quella della sua gente. Le lapidi tombali dicono di più di un intero trattato di storia e soprattutto quelle eseguite dalla seconda metà del XVI fino alla seconda metà del XVII secolo, con le loro citazioni bibliche ed evangeliche, costituiscono la migliore e più genuina testimonianza delle tormentate vicende religiose di quel particolare periodo. Alcune lapidi cinquecentesche, ornate da bassorilievi con figure umane, paesaggi ecc., possono essere considerate vere e proprie opere d’arte scultorea e trovano rispondenza in consimili lapidi tombali  presenti in altri centri della Carinzia. Il lapidario è stato restaurato grazie al recente generoso contributo della Fondazione Crup di Udine.

Delle 14 lapidi esistenti all’interno della chiesa, datate dal XVI al XVIII secolo, tutte interessanti sul piano storico, vanno segnalate la lapide del funzionario doganale di Tarvisio Erasmo Englhart von Helsplach  (1502, nella navata sinistra, in pietra, con stemma di famiglia in bassorilievo); di Lucretia von Rechbach, prima moglie di Mathes Carl von Rechnbach (1658, nella navata destra, in pietra grigia, a forma di rettangolo timpanato con stemma della famiglia Rechbach all’interno di una corona d’alloro con ai lati quattro cherubini); la lapide celebrativa della dinastia von Rechbach, di straordinaria bellezza (1702, posta sulla colonna che regge il pulpito; in marmo bianco con riempimenti in piombo, arricchita da motivi vegetali e da un ovale con la Madonna con Bambino secondo l’iconografia di Maria Hilf; al centro un ovale contenente il fastoso stemma della famiglia Rechbach. In basso, lunga scritta in latino); lapide di Maria Anna, austera moglie di Martin Joseph, barone von Rechbach, nata contessa di Gaisruck (1758, nella navata sinistra, con stemma in elegante tarsia di marmi bianchi, gialli, rossi, marrone).

Più di 120 le lapidi all’esterno  della chiesa, poste nel muro dell’edificio sacro, nell’antico muro di difesa, nella torre rotonda o nel parco alberato. 

Tre lapidi sono di epoca romana: di esse, due recano solamente un’iscrizione che ricorda il defunto (rispettivamente Aquilinus e Vitalis) mentre la terza, un cippo in pietra arenaria che Quintus Mutilius Crestus, ancora vivente, fece fare per sé, per la giovane moglie Fiorentina Secundina, la madre Mutilia Fortunata e la nipote Mutilia Crispina, presenta nella facciata laterale destra una baccante in bassorilievo nuda e saltellante con in mano un tirso, nella facciata destra un’altra con in mano una nacchera.

 

Delle altre, databili dal secolo XVI al XIX, si segnala in primo luogo quella del 1574 dedicata al consigliere Joachim Schinigin, vera e propria opera d’arte, in marmo rosso, con la parte centrale occupata da un grande crocifisso attorniato a sinistra dal sole e a destra dalla luna. Ai piedi della croce il teschio, simbolo della morte, ai lati la figura dell’illustre consigliere inginocchiato in eleganti vesti, lo stemma di famiglia e due donne anch’esse inginocchiate. Interessante, sullo sfondo, a destra la veduta di una città con edifici turriti, a sinistra la raffigurazione di un paese in fiamme con accanto un uccellaccio dall’aspetto di gufo con la scritta: livor fortunae inimicus (il livore è nemico della fortuna).Nella parte inferiore, un riquadro con scritta in gotico tedesco entro un cartiglio.

 

Altra lapide di assoluto valore artistico è quella del 1577, in marmo rosso, fatta fare da Johel Seenus in onore delle sue legittime spose e di tutta la parentela. In alto, tra nuvole, il Padre Eterno benedicente, la colomba dello Spirito Santo e due cherubini; al di sotto, sullo sfondo di una città con torri, una delle quali è sormontata dall’aquila imperiale, l’altra dalla mezzaluna, tre scudi di famiglia, quello di sinistra con elmo e camoscio, gli altri due uniti da vincolo matrimoniale. In basso, in ginocchio e in preghiera, a sinistra il nobile, di fronte le due mogli con le due figlie; sulla cornice, corre una scritta in gotico maiuscolo.

Ancora, la lapide di Antonio Pauer, 1735, in pietra arenaria bianca, con delicati fregi in bassorilievo, e la lapide del 1884 di Caterina L.B. Scaray nata nobile del Stahlberg con una scritta in latino e gli stemmi delle due famiglie.

Le torri medioevali rimaste

La torre ottagonale di origine medioevale e di proprietà del Comune dal 1857, fu pesantemente modificata alla fine del XIX secolo dai Pompieri Volontari di Tarvisio, che l’utilizzarono per i propri specifici usi, con aperture e sovrastrutture lignee. Venne gravemente danneggiata dai bombardamenti italiani nel settembre 1915. Nei lavori del 1999 vi furono rinvenuti interessanti reperti del passato religioso della comunità. Con gli ultimi importanti restauri e modifiche, la torre ha assunto la funzione di spazio espositivo sulla piazza principale di Tarvisio.

La torre rotonda aveva nel tempo acquisito la funzione di cella mortuaria. Dopo due anni di lavori, eseguiti su incarico della parrocchia e su progetto dell’arch. Giacomo Della Mea, il 22 settembre 1957 venne destinato a tempietto ossario per accogliere degnamente i resti di militari italiani deceduti in loco durante la seconda guerra mondiale. All’interno venne in seguito allogato un artistico gruppo marmoreo con la Crocifissione, opera dello scultore udinese Max Piccini.