Le chiese di Polcenigo

Polcenigo

Le chiese di Polcenigo

La chiesa di San Giacomo

Le origini

L’attuale parrocchiale di Polcenigo era anticamente parte dell’annesso convento francescano, il più antico della diocesi concordiese, in quanto nominato per la prima volta nell’agosto 1262. Il convento è stato fondato sul colle del castello di Polcenigo sicuramente grazie all’appoggio, se non addirittura per volontà diretta, dei giusdicenti locali, i di Polcenigo, dal Trecento anche “conti”. Permane invece qualche dubbio sull’origine della chiesa, che potrebbe anche essere precedente all’arrivo dei Francescani.

Approfondimento

Il titolo San Giacomo non sembra aver molto da spartire con i frati francescani. Si può dunque supporre che l’edificio sacro preesistesse alla fondazione del convento, costruito poi a fianco. Accettata l’ipotesi, si pone il problema di datare la prima chiesa e di chiarire le motivazioni della sua erezione. Si potrebbe pensare senza troppo sforzo ai signori di Polcenigo quali fondatori dell’edificio, forse nel XII secolo e forse a seguito di qualche loro pellegrinaggio (di persona o anche indiretto, come allora s’usava) a Santiago de Compostela in Galizia, dove si venerava la tomba dell’apostolo. Va tuttavia ricordato che il santo era anche particolarmente invocato al momento della morte ed era considerato pure uno dei protettori dei viandanti in generale, nonché degli agricoltori. 

La chiesa si mostra oggi nelle forme impresse da lunghi e complessi lavori di rifacimento avvenuti a metà del Settecento (altri erano forse intercorsi tra Quatto e Cinquecento), con tutta probabilità coevi alla riedificazione del sovrastante castello, tanto che si è ritenuto che il progettista della ristrutturazione della chiesa sia stato lo stesso de castello, l’architetto veneziano Matteo Lucchesi. Di certi si sa che la parte del coro fu restaurata intorno al 1758. 

Orientato ad est, il tempio si presenta con una faccia austera, alta e stretta, contrassegnata da una finestra rettangolare e da un frontone a timpano. L’antico ampio rosone, ora otturato, è stato posto in evidenza da recenti restauri, così come si è resa visibile l’altezza originaria dell’edificio, più basso dell’attuale di oltre due metri.

Il portale d’ingresso (fine ‘400 o inizi ‘500) è decorato a metà degli stipiti da due tondi a bassorilievo in pietra con il leone di San Marco e con l’effigie di san Giacomo reggente il modellino della chiesa, mentre sopra il portale è collocato il tipico stemma francescano (due braccia incrociate, una nuda e l’altra avvolta nel saio).

Chiesa di San Giacomo

La facciata

Orientato ad est, il tempio si presenta con una faccia austera, alta e stretta, contrassegnata da una finestra rettangolare e da un frontone a timpano. L’antico ampio rosone, ora otturato, è stato posto in evidenza da recenti restauri, così come si è resa visibile l’altezza originaria dell’edificio, più basso dell’attuale di oltre due metri.

Il portale d’ingresso (fine ‘400 o inizi ‘500) è decorato a metà degli stipiti da due tondi a bassorilievo in pietra con il leone di San Marco e con l’effigie di san Giacomo reggente il modellino della chiesa, mentre sopra il portale è collocato il tipico stemma francescano (due braccia incrociate, una nuda e l’altra avvolta nel saio).

L'interno

L’interno è costituito da un’unica navata slanciata, caratterizzata da nicchie laterali affiancate da semicolonne e da un presbiterio sopraelevato: armonioso complesso di orientamento ormai neoclassico, realizzato intorno alla metà del Settecento.

L’altare maggiore, in marmo e pietra, è assegnabile al primissimo Settecento (1708?) e può essere avvicinato ai modi di Alberto Bettanelli. Nel 1782 non era però ancora del tutto terminato.

Alle spalle si trova un pregevole coro ligneo in noce di forma semicircolare, risalente alla fine del Seicento o agli inizi del Settecento, i cui schienali presentano intarsi a motivi floreali differenti l’uno dall’altro, con una bicromia di piacevole gusto. L’opera, adattata e modificata, è stata forse eseguita per altra sede e poi qui trasferita. La data 1716 sul pannello centrale, che tra l’altro è probabilmente di mano diversa rispetto agli altri, potrebbe riferirsi alla nuova collocazione, mentre un’altra data – 1759 – rimanda chiaramente a un successivo restauro.

La pala dell’altare maggiore

Dietro l’altare spicca una pregevole pala di ignoto pittore veneto databile tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700, nella quale un angelo mostra il Crocifisso a san Giacomo, inginocchiato in preghiera. Incuriosisce il fatto che il barbuto san Giacomo della pala non è il Maggiore, al quale è dedicata la chiesa, ma il Minore, come prova la mazza per follare i panni, strumento del martirio, sorretta, in basso a sinistra, da due angioletti: dettaglio che dà adito a qualche sospetto circa l’originaria appartenenza della tela al complesso polcenighese, per quanto non infrequenti siano le confusioni tra i due apostoli.

Gli altri altari

Quattro gli altari, tutti settecenteschi, simmetricamente disposti nella navata entro corte cappelle.

Quello di San Francesco d’Assisi e di Sant’Antonio di Padova (primo a sinistra entrando), opera del noto scultore e altarista Giovanni Battista Bettini (1714 – 1789), assai attivo in zona nel periodo (a Coltura, per esempio), fu realizzato a partire dalla fine del 1763. È ornato da una pala settecentesca, frutto di ignoto autore d’ambito veneto, raffigurante la Madonna col Bambino con san Francesco d’Assisi e sant’Antonio di Padova.

 

Segue l’altare della Natività della Vergine o di Sant’Anna, eseguito con gusto barocco tra 1711 e 1723 da uno sconosciuto, ma capace altarista per la famiglia dei conti Fullini, come dimostra lo stemma nobiliare che lo orna. La titolazione dell’altare alla Madre della Madonna, protettrice delle partorienti, va forse ricercata nei problemi di fertilità e di parto sofferti nel periodo da alcuni membri del casato Fullini. L’ara ospita una gradevole pala raffigurante la Natività della Vergine, opera di Egidio Dall’Oglio da Cison di Valmarino (1705 – 1784). La pala, databile al quinto o al massimo al sesto decennio del ‘700, presenta il fare tipico di Dall’Oglio: ambientazione “rustica”, personaggi grassocci, sapido e contrastato cromatismo di stampo piazzettesco.

 

Passando al lato opposto, presso il presbiterio sorge l’altare del Crocifisso, realizzato tra il 1584 e il 1601. L’attuale manufatto è forse avvicinabile allo stile di Francesco Fosconi (Fusconi), attivo nella prima metà del Settecento a Udine, Cividale, San Daniele del Friuli e San Vito al Tagliamento. Spiccano l’effigie dipinta del Sacro Cuore, che pare sostenere uno stemma precedente (forse quello dei conti di Polcenigo), le nere colonne tortili e i begli inserti di madreperla e pietre dure. Vi è collocato un Crocifisso ligneo e policromo, della fine del Cinquecento o dei primi del Seicento, caratterizzato dalla raffinatezza del modellato e dalla delicatezza dei tratti del volto. Un’iscrizione a lato ricorda che l’altare gode di un privilegio perpetuo per i Defunti, per concessione di papa Benedetto XIV del 4 ottobre 1751.

 

Dirigendoci verso la porta d’ingresso, troviamo l’altare dell’Immacolata Concezione, di proprietà dell’omonima confraternita, fondata forse bel 1588 e fusasi nel 1776 con l’antica confraternita del Santissimo Sacramento, a lungo operante nella parrocchiale di Ognissanti prima di trasferirsi a San Giacomo, quando quest’ultima divenne parrocchiale. Un’aggraziata statua policroma in gesso della Madonna, acquistata nel 1766, è inserita in una nicchia con fondale marmorizzato di un pregevole altare marmoreo, posto in opera nel 1763 e realizzato negli anni immediatamente precedenti da Alvise Copeta detto Saltariello, “taiapiera” di origine veneziana, ma da tempo stabilitosi a Polcenigo, dove morì nel 1785. Curiosamente, il Saltariello era allora “gastaldo” e scrivano del sodalizio committente e dunque pagava sé stesso a rate per l’esecuzione dell’altare.

La Madonna del Latte

L’opera forse più interessante della chiesa è un affresco trecentesco raffigurante la Madonna col Bambino o Madonna allattane, collocato sul lato destro dell’arco trionfale. L’opera è stata attribuita a un seguace o aiuto del pittore emiliano Vitale da Bologna, attivo in Friuli a metà del Trecento.

L’affresco, popolarmente detto Madonna del latte a motivo dell’iconografia, è stato staccato nel 1963 da un capitello posto al bivio fra via Gorgazzo e via Col Belit, dove era stato a sua volta trasportato, alla fine dell’Ottocento o ai primissimi del Novecento, dalla chiesa della Madonna della Salute (già Ognissanti).

La Madonna era stata dunque originariamente affrescata per Ognissanti ed è perciò databile post 1371, anno di costruzione della chiesa: circostanza che mette fuori gioco l’attribuzione a Vitale da Bologna, deceduto tra il 1359 e il 1361.

San Giovanni evangelista e Sant’Antonio abate

Sul lato sinistro dell’arco trionfale si rinviene un altro affresco ancora nella sua primitiva collocazione (forse a corredo di un antico altare), databile alla fine del Trecento o alla prima metà del Quattrocento e rappresentante San Giovanni evangelista e un Sant’Antonio abate, con il tradizionale maialino scuro e cintato (di un terzo santo, tagliato da modificazioni della parete, non s’intravvede altro che un lembo di veste). Anche per quest’opera si sono volute cogliere reminiscenze vitalesche, oltre che rapporti con attività di Tomaso da Modena.

Il battistero

Il battistero di pietra, con gli stemmi dei conti di Polcenigo, è situato in una nicchia a sinistra entrando, e dovrebbe risalire alla fine del Settecento.

La Madonna col Bambino in gloria

Sopra il battistero è collocata una pala dalla complessa iconografia, che raffigura la Madonna col Bambino in gloria, contornata da vari santi di devozione locale. Oltre a un santo non ben identificabile, compaiono infatti san Giacomo, san Giovannino con l’agnello, sant’Antonio di Padova, san Francesco d’Assisi, san Floriano (o san Giorgio?) e, in primo piano, san Sebastiano, san Rocco e un inatteso e vigoroso san Girolamo: opera non disprezzabile di ignoto pittore veneto di fine Cinquecento o inizi Seicento, che pare risentire di suggestioni provenienti da Palma il Giovane, ma anche di influssi di Tiziano e Tintoretto.

Il Cristo in gloria, la Madonna e santi

Sul lato opposto, in un’altra nicchia, al di sopra del confessionale, si trova una pala con Cristo in gloria, la Madonna e santi, proveniente dalla chiesa di Ognissanti dove fungeva da pala dell’altare maggiore.

Affollatissima di santi di culto locale, è stata attribuita a Francesco da Milano, effettivamente presente nel convento di San Giacomo come testimone di un atto notarile nel 1542 insieme con un altro pittore Nicola di Sacile. Parrebbe però posteriore al periodo di attività dell’artista lombardo, trasferitosi in Veneto e morto intorno al 1552, dal momento che sarebbe stata dipinto attorno al 1586.

Approfondimento

L’organo è opera del noto organaro Giacinto Pascetti, collocato sopra il portale d’ingresso in cassa armonica su di una ristretta cantoria. 

Costruito per la chiesa veneziana dei Santi Biagio e Cataldo alla Giudecca nel 1732-1733 e resosi disponibile dopo le soppressioni napoleoniche, lo strumento fu acquistato nella città lagunare per la chiesa di San Giacomo intorno al 1810. 


Chiesa della Madonna della Salute (già Ognissanti)

Nel 1371 veniva fatta richiesta al vescovo di Concordia di poter costruire una nuova chiesa a Polcenigo, in onore di Tutti i santi. La richiesta era motivata col fatto che la maggior parte dei parrocchiani risiedeva intorno e sotto il castello dei giusdicenti locali. Il vescovo concordiese concesse l’erezione dell’oratorio, precisando che questo avrebbe dovuto in ogni caso considerarsi filiale di e succursale di San Giovanni.

Quasi nulla sappiamo del primitivo edificio sacro medievale. Nel nono decennio del Cinquecento, durante radicali lavori di ampliamento e rifacimento, venne cambiato l’orientamento originale ad est: l’abside fu spostato a ovest e l’entrata a est. Nel 1586 la chiesa era finita, ma pareva piuttosto in difficoltà e mancava di cimitero. Nel 1599 il Vescovo Matteo Sanudo diede indicazioni per il completamento dell’edificio, con le necessarie suppellettili, e raccomandazioni per donargli la dignità che le spettava.

Nel 1694 la chiesa contava un tabernacolo ligneo dorato all’altare maggiore, ma mancava il cimitero e si rilevava sempre più inadatta a svolgere le sue funzioni. Il concetto è ribadito nel 1699, quando il vescovo annotava che l’edificio sacro, tra l’altro non consacrato, era insufficiente per contenere i fedeli. Si lamentava poi il presule che i residenti e i passanti non di rado disturbassero le sacre funzioni. Pochi anni dopo (1704), Ognissanti appariva ancora non consacrata, dotata di tabernacolo ligneo dorato e di un altare laterale dedicato alla Madonna. Nel 1750 fu collocato un nuovo altar maggiore. Importanti lavori furono svolti nel 1755 e nel 1762. All’inizio dell’Ottocento secolo la chiesa mutò anche il titolo in Beata Vergine della Salute.

Nel 1937 fu incaricato l’architetto Domenico Rupolo di progettare la nuova facciata della chiesa. Nello stesso 1937 fu realizzata dallo scultore Giuseppe Scalambrin la statua lignea della Madonna della Salute. Arrivò anche dal duomo di Sacile un nuovo altare maggiore, che è quello ancor oggi visibile.

Il 2 febbraio 1945 un deposito di legname e carbone adiacente alla chiesa prese fuoco e le fiamme si propagarono all’edificio sacro, causando il crollo dell’altare maggiore e distruggendo la sacrestia, ricostruita nei primi anni Cinquanta. Dopo il sisma del 1976 la chiesa fu chiusa la culto. Nel 1994-1995 l’edificio fu sottoposto a totale restauro, durante il quale sono emerse tre nicchie di finestre strombate e tracce di antichi muri, che permettono di determinare la pianta della chiesa originaria, più piccola dell’odierna.

Attualmente la facciata è inquadrata da due lesene ed è spezzata in tre segmenti (i due laterali, obliqui, sono forniti di finestre rettangolari); presenta un piccolo rosone centrale, sotto il quale  altro, più antico e ampio, è stato evidenziato dai restauri ed è sormontato da un campaniletto a vela con bifora campanaria. Sul portale d’ingresso, riquadrato in pietra e sormontato da una  cimasa aggettante, è collocato un malandato stemma lapideo dei conti di Polcenigo e Fanna.

L’interno è costituito da un aula unica, senza presbiterio, con soffitto a capriate.

L’altare maggiore barocco, in marmi policromi, ospita la statua lignea dello Scalambrin, fortunosamente scampata alle fiamme del 1945. Interessante l’acquasantiera (XVII secolo?), formata da quattro petali con al centro un calice stilizzato con l’ostia e la croce.

La chiesa di San Rocco

La collocazione della chiesa all’ingresso dell’abitato polcenighese va spiegata con una funzione protettiva richiesta a san Rocco. Il santo, infatti, era tradizionalmente specializzato nei confronti delle pestilenze (peste vera e propria e atre malattie infettive), trasmesse da forestieri: la chiesa a lui intitolata doveva così fungere da “sentinella celeste” all’ingresso del nucleo urbano, com’è avvenuto per molte altre chiese dedicate al santo di origine francese, ubicate spesso in posizione limitare rispetto al centro abitato.

La storia

Secondo alcune ipotesi la chiesa fu eretta all’inizio del XVI secolo da una confraternita intitolata allo stesso santo; per altre andrebbe stata fondata nel Trecento e rifatta nel tardo Quattrocento. La documentazione reperita non va più indietro del 1549. In effetti la chiesa fu sempre mantenuta dalla confraternita di san Rocco, che esisteva ben prima della sua menzione nel 1577. La pia istituzione gestì con alterne vicende l’edificio sacro dal XVI al XVII secolo, ma purtroppo le carte pervenute possono fare ben poca luce sulla storia della chiesetta.

Dalla visita pastorale del 1584 sappiamo che allora l’oratorio serviva da parrocchiale, al posto della chiesa di Ognissanti, in fase di restauro. All’altare maggiore era collocato un grande tabernacolo ligneo.

Approfondimento

Al 1638 risalgono alcuni affreschi di stampo devozionale, commissionati dal ricco possidente Mario Viana, dei quali restano nell’intradosso dell’arcosanto alcuni sbiaditi lacerti a motivi floreali intrecciati rossi e bianchi e una piccola, malandata immagine (un barbuto san Rocco, a giudicare dal bastone che lo sorregge), tutti di mano non felicissima, nonché le iscrizioni


ANO DOMINI 1638 A DI 24 MARZO e MARIO VIANA FECE FAR PER SUA DIVOTIONE


Si era, giova ricordarlo, in anni di devastanti epidemie, e san Rocco costituiva un necessario approdo per le ansie di molti. 


La vista pastorale del 1654 segnala l’esistenza di due altari laterali, uno dedicato a san Valentino e l’altro a san Biagio. 


La documentazione sette e ottocentesca registra poche novità sostanziali. La chiesa fu seriamente danneggiata dal terremoto del 18 ottobre 1936 e nel 1938 crollò improvvisamente il tetto. Il restauro dell’edificio fu realizzato solo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta.


Approfondimento

Interessanti i titoli: se la dedicazione a san Valentino si inserisce in una “moda”, ben attestata già nel Cinquecento e ancora in voga nel secolo seguente, collegata soprattutto alla protezione dall’epilessia, quella un po’ meno a san Biagio può forse essere spiegata con l’attività in loco di vari folli da panni mossi dalle acque del paese e la conseguente presenza di parecchi lavoratori della lana (compresi alcuni “foresti”, come certi bergamaschi), i quali vedevano il loro naturale protettore nel santo di Sebaste, raffigurato con il pettine dei cardatori in mano, strumento con il quale fu, secondo la tradizione, martorizzato. Il protettore dei lanaioli cederà presto il posto sull’altare a sante femminile, forse per la crisi che sembra colpire la manifattura laniera polcenighese nella seconda parte del XVII secolo. Un altare riservato a questo santo ricomparirà nel Settecento.


Nel 1694 gli altari erano dedicati, uno alle sante Apollonia e Agata, protettrice rispettivamente del mal di denti e dei problemi al seno; l’altro a san Valentino, affiancato da san Gottardo, specializzato nella protezione di attraversamento dei guadi, così comuni in una zona ricca di corsi d’acqua come quella polcenighese. Insieme con san Rocco, si presentava ai fedeli una nutrita schiera di santi protettori r taumaturghi, ai quali affidarsi per mali (peste, malattie dei denti e dei seni, epilessia) e ansie varie (varcare fiumi insidiosi). 


La facciata e l'interno

L’edificio, coperto a coppi, ha una facciata liscia con occhio al centro del frontone; la porta principale ha la cornice lavorata e il timpano in pietra, mentre a sinistra si trova un ingresso laterale, pure riquadrato in pietra.

L’interno è un aula unica a pianta rettangolare con bel soffitto a travi scoperte, dal presbiterio, pure rettangolare, si accede a una piccola sacrestia situata a sinistra del coro.

L’altare principale, in marmi policromi con gradevoli intarsi, è un garbato esempio di arte barocca, probabilmente del tardo Seicento o degli inizi del Settecento. Vi spicca un’intensa opera dell’artista Pierino Sam, datata 1985, raffigurante la Resurrezione.

 

A destra un altare settecentesco, ravvivato da intarsi di marmo policromo, con il tondo centrale in bassorilievo finemente eseguito raffigurante la Madonna fra gli angeli benedicente san Pietro. Poiché il soggetto è estraneo alla storia devozionale dell’oratorio, si può ipotizzare che il tondo in questione (se non l’intero altare) provenga dalle rovine della chiesa castellana di San Pietro. All’altare si trova collocata una statua di San Rocco, realizzata dall’officina artigiana di Carlo Pancheri (Ortisei) e acquistata nel 1943.

 

Alle pareti dell’aula si allineano le “stazioni” di un’energica e vivace Via Crucia, in terracotta, opera di Pierino Sam, datata 1965.

L’elegante acquasantiera, con largo fusto e catino decorato a motivi floreali, pare frutto di rifacimenti e integrazioni e dovrebbe risalire nelle sue varie parti al Cinque-Seicento.

Sulla finestrella a sinistra in facciata una curiosa “manina” in pietra, ora assi malandata, indica la fessura nella quale versare le offerte, corroborata dall’iscrizione DEVOTI DI S. ROCHO FATE L’ELLEMOSINA.

Il campanile

Interessante il vicino campanile, a canna quadrata e cin quattro ampie monofore: la sua struttura tozza e inconsueta ha fatto ritenere che in origine fosse una torre medievale appartenente a una cerchia muraria difensiva del borgo, poi riciclata come torre campanaria. In effetti nei pressi della chiesa è anticamente attestata una porta del borgo, detta appunto “Porta di San Rocco”, che chiudeva l’abitato verso ovest.