
Le chiese di Cervignano
Cervignano

Le chiese di Cervignano
Sebastiano Santi, L'Assunzione della Vergine, 1838, Chiesa vecchia di San Michele, Cervignano
Le chiese di Cervignano
La chiesa vecchia di San Michele
A Cervignano, l’antico praedium Cervignanum, secondo una pia tradizione la Badia fu edificata sui resti di una costruzione romana nell’anno 668, ma la prima notizia storica si può far risalire al 762.
Altra notizia storica è quella del 912 quando il re d’Italia Berengario confermò alla Badia di San Michele i beni e i privilegi già goduti, ma nelle successive incursioni degli Ungheri fu incendiata per non più risorgere: Combusta ab Hungaris saec. X, come si legge nell’epigrafe collocata sulla facciata della chiesa. Fino alla Prima Guerra Mondiale nelle rogazioni e litanie dei santi si pregava: Ab Hungarorum nefastis incursionibus libera nos Domine. In monaci dovettero quindi trovare rifugio in luoghi più sicuri. La villa rimase abbandonata e il patriarca di Aquileia Poppone ne fece dono alle Benedettine del Monasterium Sanctae Mariae extra muros Aquileiae. Siamo nel secolo XI. Le Benedettine con contratto di livello del 1401 affidarono la Villam de Cirvinia a liberi Homines, affinché lavorassero quelle terre rendendole coltivabili.
Dai documenti si apprende che Cervignano fu eretta a parrocchia nel 1296.
Lo sparuto numero di abitanti rimasti con la Badia distrutta, quasi tutti contadini, cercarono alla meglio di erigere una piccola rustica chiesetta su quelle rovine, in attesa di poter ricostruire nel tempo una chiesa confacente alle esigenze della popolazione, mantenendo la dedicazione all’Arcangelo dalla spada infuocata e la facciata verso il fiume Ausa.
Accanto alla chiesa nel secolo XI circa era sorta una torre, come vuole la leggenda, sulle fondamenta di una lanterna di mare esistente prima del Mille. Questa torre diventerà successivamente un campanile.
Il 1915, durante la Prima Guerra Mondiale, riserva per Cervignano l’inaspettata scoperta di lacerti musivi longobardi nella Badia Benedettina di San Michele, che ne confermano l’antichità. Si tratta di 10 metri quadrati con tessere bianche, rosse e nere che oggi si possono ammirare nella bacheca a fianco della chiesa, in piazza Marconi.
La chiesa dal Cinque al Settecento
Dettagliate notizie sulla pieve di San Michele si trovano nella relazione della visita apostolica fatta da Bartolomeo di Porcia nel 1570. Da tale documento apprendiamo che la chiesa aveva, oltre all’altare maggiore dedicato a San Michele, altri quattro altari laterali: due dedicati alla Vergine Santissima, uno a Sant’Antonio abate, con una statua lignea (ora conservata nel Castello di Gorizia), e l’altro ai Santi Rocco e Sebastiano. Inoltre, vi era un fonte battesimale in pietra, un Crucifixus magnus ligneus (ora conservato nella cappella Bresciani) appeso in alto sulla parete. Nel 1594 fu collocato nella chiesa un nuovo massiccio fonte battesimale in pietra.
Nel corso del XVII secolo la chiesa fu arricchita a più riprese e sono in parte testimoniati dall’architrave in pietra sul portone d’ingresso, sul quale è incisa la data 1662.
Agli inizi del Settecento, ad opera dello scultore e altarista goriziano Giovanni Pacassi, fu realizzato l’altare maggiore, ai lati del quale vennero collocate nel 1716 le statue dei santi Michele Arcangelo e Giovanni Battista, eseguite da Pasqualino Lazzarini, scultore veneziano a lungo operante in Friuli. Malauguratamente a metà Ottocento l’altare fu distrutto e sostituito da uno dello scultore milanese Stefano Argenti.
Nello stesso secolo giunsero anche due pale d’altare, oggi collocati sulle pareti laterali della navata.
Il primo raffigura Cristo crocifisso con i santi Sebastiano, Rocco, Carlo Borromeo e Giovanni della Croce. È un’opera impaginata con uno schema estremamente ordinato, forse fin troppo rigido (le teste dei quattro santi si situano al limite dell’ideale cerchio entro il quale campeggia la figura del Cristo), mostra popolaresca esuberanza cromatica ed iconografica. Può essere datato fra il 1730 e il 1740 ed attribuito a Pietro Bainville, pittore francese di gusto provinciale, vissuto tra il 1674 circa e il 1749, abitante a Palmanova, dove giunse poco più che ventenne.
L’altro mostra l’Immacolata e appartiene al Settecento avanzato, attribuibile ad un qualche “madonnero” austriaco
La nuova chiesa del 1780.
Per l’aumento della popolazione e la necessità di rinnovare l’edificio fu decisa la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale, la cui prima pietra fu benedetta l’8 giugno 1780 dal Reverendissimo Filippo Antonio di Strassoldo. Intanto nel 1782 l’imperatore d’Austria Giuseppe II soppresse il monastero delle Benedettine di Aquileia e la parrocchia di Cervignano fu incorporata nella diocesi di Gorizia.
Nel 1787 fu stipulato il contratto per l’edificazione della chiesa con Lorenzo Martinuzzi, che ne fu anche il progettista. Parte dei materiali impiegati derivavano dalla demolizione della chiesetta campestre di San Martino, che sorgeva in località “Viui”.
Il nuovo tempio è ad unica navata rettangolare di metri 33 x 11,80, con presbiterio di metri 11,10 x 8,50, ed aveva la facciata rivolta verso la piazza, la sagrestia a sinistra e a destra un vano deposito addossato al campanile medievale.
Ancor prima della fine dei lavori la chiesa fu provvisoriamente aperta al culto il 26 luglio 1788, come ricorda la lapide sulla facciata:
S. MICHAELIS ARCH. ABBATIA
LONGOBARDORVM TEMPORE ERECTA
AB HVNGARIS SAEC. X. COMBVSTA
HIC AD ALSAM FVIT.
TEMPLVM HOC EIDEM DIVO ARCH
CERVINEANI PATRONO DICATVM
SVRREXITT A. MDCCLXXXVIII
(L’abbazia di S. Michele Arc. eretta in periodo longobardo fu qui nel secolo decimo bruciata presso l’Ausa dagli Ungari. Questo tempio dedicato allo stesso Arcangelo patrono di Cervignano risorse l’anno 1788).
Il tempio sarà consacrato soltanto l’8 settembre del 1833 dall’arcivescovo di Gorizia, Giuseppe Walland.
Le decorazioni del pittore Sebastiano Santi
a nuova chiesa fu impreziosita dalle decorazioni del pittore muranese Sebastiano Santi (1789-1865), che in due riprese affrescò il soffitto della navata e l’abside, rispettivamente nel 1838 e nel 1846-1847.
Pittore prolifico e frettoloso (dipinse il coro della chiesa di San Rocco a Gemona del Friuli in soli dodici giorni!), attardato rappresentante del Neoclassicismo, Santi usa solitamente colori pallidi e sordi per costruire figure snervate e spesso discutibili per l’impaginazione e non indugia nella descrizione dei particolari; ma talvolta sa dar vita a composizioni di una qualche – seppur superficiale – bellezza, come testimoniano anche i tanti bozzetti conservati nel Museo Vetrario di Murano.
Nel soffitto della navata, entro un apparato decorativo geometrizzante che si raccorda alle pareti attraverso fregi e riquadri di color giallo-bruno entro i quali campeggiano tondi dorati contenenti figure di angioletti o simbolici cuori, Santi dipinse nel 1838 una grande Assunzione della Vergine, e sopra le finestre i quattro Evangelisti.
L’Assunzione della Vergine, che mostra di rifarsi alla migliore tradizione veneta e che riprende l’analogo soggetto dipinto qualche anno prima da Santi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Trieste. È una composizione che vede al centro la Vergine in piedi su nubi cui fanno ala angioletti disposti orizzontalmente con strumenti musicali o simboli sacri.
In alto, tra monocrome evanescenti figure di santi seminascosti dalle nuvole, appare la Trinità – pure essa in monocromo – sull’arco superiore del globo terrestre e, ormai sotto la cornice, grandi colorati angeli in volo, che recano in mano canestri di fiori, gigli, rami d’ulivo.
Nella parte inferiore, oltre ad un turbinio di putti, le Virtù cardinali e teologali impersonate da sette figure di donna con i loro simboli bene evidenziati ed infine gli Apostoli disposti intorno all’urna con le braccia levate e lo sguardo ricolto al cielo.
Nonostante la complessità del discorso, peraltro privo di personali invenzioni, la narrazione appare lenta e la scena alquanto vuota, sia per lo stacco netto tra i vari registri, sia per la povertà del dettato coloristico, piatto e spento nello sfondo, che per la trattazione delle figure, spesso ridotte a solo disegno.
Sulla parete di fondo del presbiterio, decorata nel 1846-1847 (all’epoca in cui Santi lavorava nella parrocchiale della vicina Ruda), in tre riquadri alti e stretti sono raffigurati al centro il Redentore ed ai lati San Michele arcangelo e San Giovanni Battista. Un discorso teologico incentrato sulla salvazione, chiaro e comprensibile.
Un senso di vuoto si avverte nel riquadro centrale del presbiterio, occupato da uno statico Redentore benedicente e con il globo in mano, in piedi su nubi popolate di angioletti. Più dinamici appaiono i santi nelle specchiature laterali, l’allungatissimo San Giovanni Battista, sotto i cui piedi scorrono le acque del Giordano ed alle cui spalle si erge la montagna, e – tra alberi, cespugli, erbe e colline – San Michele Arcangelo, in parte nuovo nell’iconografia, in quanto raffigurato giovanissimo e con lunghi boccoli mentre, impugnando lancia e scudo a specchio, si avventa su Satana che, disteso a terra tra spini, ostenta una smorfia di dolore nel volto.
La chiesa nel Novecento
Nel secolo XX la vecchia chiesa di San Michele trovò il suo assetto definitivo: nei primi due altari laterali furono collocate le pale d’altare dipinte nel 1901 dalla goriziana Henrika Šantel (1874 - 1940), Santa Lucia a destra e L’educazione della Vergine a sinistra.
Negli alti due trovarono spazio a destra una statua lignea raffigurante il Redentore, acquistata dalla bottega di Ortisei del tirolese Ferdinando Perathoner nel 1912, e a sinistra la statua lignea della Madonna Assunta, pregevole opera dello scultore milanese Garda acquisita negli anni Trenta.
Alcuni lavori avviati nel 1941 comportarono problemi di stabilità dell’edificio, al punto che nel 1963 fu dichiarato inagibile.
Dopo nuovi interventi le funzioni religiose poterono riprendere il 29 settembre 1994, solennità di San Michele Arcangelo.