Le chiese di Bagnarola

Bagnarola

Le chiese di Bagnarola

La chiesa di Ognissanti, parrocchiale

Le origini e la storia

Bagnarola, appare, nei primi documenti che la ricordano legata alla vicina potente abbazia di Santa Maria di Sesto. Mentre Ramuscello (parte della pieve di Tutti i Santi di Bagnarola fino al 31 dicembre 1926) viene nominato già nel maggio del 762 fra i beni destinati al monastero sestense, Bagnarola fa la sua prima comparsa nella bolla papale del 13 dicembre 1182, con la quale Lucio III, da Velletri, prendeva sotto la propria protezione l’abbazia sestense con tutti i suoi possedimenti.

L’organizzazione del territorio e il ruolo di Bagnarola sono precisati in un’altra bolla papale, del 1186, rilasciata a Verona da papa Urbano III al vescovo di Concordia Gionata. In essa il papa prende sotto la sua protezione non solo i beni temporali, ma anche le pievi del vescovado concordiese, tra cui Bagnarola.

A Bagnarola è collocata la chiesa madre alla quale fanno capo anche le popolazioni dei diversi insediamenti (Savorgnano, Gleris, Ramuscello, Versiola, Venchieredo, Stalis), alcuni dei quali possiedono pure luoghi di culto a servizio delle popolazioni.

In data ignota, ma tra 1177 e 1285, la pieve di Tutti i Santi era stata unita alla prebenda dell’arcidiacono del vescovo di Concordia. Solo nel 1781 il doge rese la pieve pienamente autonoma dal Capitolo concordiese. In ambito civile Bagnarola apparteneva all’abbazia di Santa Maria in Sylvis, mentre religiosamente dipese sempre dal vescovo di Concordia.

Il titolo di Ognissanti o Tutti i Santi non è molto diffuso nella diocesi concordiese e Bagnarola lo condivideva con la parrocchiale di Polcenigo, che poi lo perdette.

Un disegno del Catastico de 1800 presenta un edificio ad una sola navata, orientata, con cappella maggiore quadrangolare, sacrestia sul lato meridionale del presbiterio e almeno una cappella laterale. Due monofore voltate a tutto sesto nella navata, una terza nel presbiterio e una quarta sulla parete absidale consentono l’illuminazione del tempio, attorniato dal cimitero chiuso da recinto.

Dall’esame del disegno sembra di poter concludere per un edificio di fine Quattrocento o dei primissimi anni del Cinquecento, se non ancora precedente.

Sulla fiancata di mezzogiorno spicca un grande San Cristoforo (tuttora in parte esistente nel sottotetto tra il soffitto interno e le coperture interne) di Andrea Bellunello (1488).

All’interno, sotto l’arco trionfale, un travo sosteneva il grande Crocifisso, oggi collocato in piano tra la navata principale ed il presbiterio.

Approfondimento

Nel 1501 era stato realizzato il fonte battesimale. Si tratta di una vasca di pietra, ricavata da un unico blocco di notevoli dimensioni, che richiama nella forma una caldaia; è liscio all’infuori di un labbro a rilievo, che sottolinea il bordo superiore, sul quale è incisa l’iscrizione ICCCCCI.ADI.9 AVOSTO. Sotto si trova scolpito uno stemma gentilizio, che rinvia alla nobile famiglia Podacataro o Pedecataro, di cui un Giovanni Antonio era pievano a Bagnarola a inizio Cinquecento. Oggi il fonte, sorretto da un sostegno di ferro battuto, si trova nella cappella al termine della navata destra.

Le decorazioni

Dalla Visita Apostolica del 1584 risulta che la chiesa era dotata di cinque altari: il maggiore, dedicato a Tutti i Santi; del Santissimo Sacramento a sinistra, che aveva come pala l’affresco della Deposizione di Pomponio Amalteo, di Sant’Agata, di Sant’Antonio e della Madonna.

Nei primi anni del Settecento gli altari saranno quattro: il maggiore, la Madonna del Rosario o Annunciazione, di Sant’Antonio abate e uno nuovo dedicato alla Beata Vergine della Consolazione o della Cintura, per il quale il pittore venzonese Giovanni Francesco Zamolo dipinse la pala raffigurante la Vergine col Bambino ed i santi Agostino, Monica, Giovanni Battista e Nicola da Tolentino.  

Alla metà del XVIII secolo in chiesa si aggiunse un altare per la Madonna del Rosario.

Nel XIX secolo la chiesa richiese notevoli lavori di restauro e ampliamento. La prima pietra del nuovo edificio fu benedetta il 17 novembre 1847.

Della decorazione del soffitto fu incaricato il pittore e patriota Domenico Fabris (Osoppo 1814 – 1901), che affrescò una visione dell’Apocalisse o una gloria dei Santi.

Approfondimento

Nel soffitto della parrocchiale di Bagnarola Fabris dipinse una visione dell’Apocalisse o una gloria dei Santi, con un contorno di decori e figure, oggi purtroppo cancellato. Il veggente san Giovanni contempla la gloria di Dio e di tutti i Santi, disposti quasi in un classico teatro a loggioni e palchi su su fino alla Trinità, pronto a scrivere e trasmettere ciò che vede. Sotto di lui la Chiesa, dagli apostoli al presente, in contemplazione e adorazione.

Uno dei personaggi, un vescovo preso di spalle, è rivestito dello splendido piviale del parato di proprietà della chiesa. Si tratta di un parato completo di pianeta, dalmata, tunicella, piviale e rispettivi accessori, risalente al periodo tra la fine del secolo XVIII e il XIX. Sulla sua provenienza molto è stato detto. La tradizione locale racconta che i paramenti siano giunti in zona al seguito di Napoleone e che siano finiti in proprietà degli eredi dei Flangini-Biglia, nella loro chiesa di Murlis, nella quale – in momenti bui – con essi si sarebbero celebrate anche parodie di messe, che portarono alla chiusura e poi al crollo della chiesa stessa. Altra leggenda narra che le ricamatrici sarebbero diventate cieche: tanti modi per dire la bellezza di questo capolavoro. Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso si ebbe notizia da una studiosa di Lione della presenza nella città francese dei cartoni-progetto dell’opera di Bagnarola.

La riforma di fine Ottocento

A fine Ottocento il progetto della nuova chiesa fu affidato al celebre architetto e ingegnere Pietro Saccardo (1830 – 1903), che era stato uno dei direttori dei lavori del quasi secolare intervento di restauro nella basilica veneziana di San Marco, fondatore dello “Studio del mosaico” per il restauro del tesoro musivo marciano, Proto della Scuola Grande di San Rocco e, dal 1887 alla morte, Proto della Basilica di San Marco. Ricercato di artefice di progetti di edificazione, restauro e trasformazione di numerosissimi edifici sacri soprattutto nelle diocesi di Venezia e Treviso, a lui spetta in zona il rifacimento della pievanale di Santa Maria Maggiore di Giais di Aviano.

Da Saccardo la chiesa di Bagnarola viene trasformata a tre navate, con transetto e cupola, si sventrano le pareti laterali, lasciando dei brandelli di muro che, con opportuna sagomatura diventano le colonne di divisione tra le navate; a metà delle navate laterali vengono edificate due cappelle con gli altari della Madonna dei fiori a sud e di Sant’Antonio abate a nord; le navi laterali proseguono ai lati del presbiterio, formando due ampie cappelle, dove vengono collocati gli altari, pure settecenteschi, della Madonna del Rosario (con statua lignea della titolare contemporanea del rifacimento della chiesa) a nord e della Madonna della Cintura a sud.

L’affresco della Deposizione della Croce di Pomponio Amalteo fu salvato e dopo essere stato staccato fu posto nella controfacciata della navata laterale destra.

Approfondimento

Tra Quattro e Cinquecento era comune porre sull’altare del Sacramento l’immagine del Cristo della passione, spesso a mezzo busto, con le braccia allargate, collocato sopra il sepolcro o emergente da un calice. Per l’antico altare del Santissimo di Bagnarola si volle presentare al gran completo la scena della Deposizione nel momento fra la calata dalla croce e la deposizione nel sepolcro. Il Cristo morto è fra le braccia della Madre, così come l’Eucaristia è nelle mani della Chiesa.

L’Amalteo si esprime con un linguaggio che echeggia in parte il maestro Pordenone con un unico elemento di strazio e rigidità – il volto di Maria – che richiama la pittura nordica o i Vesperbilder della tradizione salisburghese. Per la madre ci si può riferire a Bartolomeo Montagna, ma per il resto si tratta dell’autentico Amalteo per cromatismo, gestualità, forme corpose, con l’aggiunta di un certo orientamento dinamico significante l’andata verso il sepolcro e verso la risurrezione.

Con l’intervento dell’ingegner Saccardo, sopra il presbiterio si volta la cupola e ai lati del coro si costruiscono due sacrestie, collegate fra loro da un corridoio.

La “nuova” chiesa fu consacrata dal vescovo di Padova (poi cardinale) Giuseppe Callegari, il 28 ottobre 1899.

A completamento dell’opera fu attuata una vasta decorazione con immagini legate all’Eucarestia, con angeli adoranti e santi cantori del mistero eucaristico ad opera di Antonio Casarini di Venezia e Angelo Pupulin di San Michele al Tagliamento per l’indoratura (1907).

Il terremoto del 6 maggio 1976 rivelò tutta la fragilità del corpo di fabbrica uscito dalla riforma Saccardo: le colonne non ressero e si incrinarono, gli archi si aprirono e le navate laterali si distaccarono. Un coraggioso e paziente intervento di restauro e rifacimento restituì lo splendore dell’edificio di forma basilicale.

L'interno della chiesa

All’interno la disposizione degli altari è rimasta sostanzialmente quella precedente al terremoto: all’inizio della navata di sinistra una lapide di marmo grigio ricorda l’arciprete Domenico Brovedani (1778-1861), originario di Clauzetto, professore nel Seminario diocesano di Provesano, predicatore e parroco di Bagnarola per 29 anni, autore del restauro della chiesa.

Nella cappella a metà navata si trova il settecentesco altare di Sant’Antonio di Padova, già dedicato a Sant’Antonio abate, come ricorda la tarsia del paliotto.

Nella cappella absidale della navata sinistra l’altare, già di San Francesco, accoglie una decorosa statua lignea della Madonna del Rosario con Bambino, risalente alla fine del XIX secolo, mentre sul timpano spezzato stazionano due paffuti angioletti e sulla trabeazione una statua di Sant’Antonio di Padova (o San Nicola da Tolentino?).

Adiacente alla gradinata del presbiterio è collocato il grande Crocifisso, quasi certamente l’antico Cristo del travo, che – spesso accompagnato dalle immagini della Madonna e di San Giovanni – si trovava nelle chiese sotto l’arco trionfale o arco santo che divideva la navata dal presbiterio. È una dignitosa scultura, che per alcuni versi (il trattamento dei capelli “a corda”, il perizoma a righe vivaci, la grande compostezza e serenità del volto) potrebbe rinviare al secolo XVI.

La cappella maggiore, sotto la cupola, accoglie l’altare con il grande tabernacolo e le statue degli apostoli Pietro e Paolo assegnate al veneziano Giovanni Contieri (1676 ca – 1762).

Approfondimento

Il tabernacolo è una “macchina” di mole notevole, articolato su diversi piani, in marmi bianchi e rossi venati. La custodia vera e propria si colloca al piano inferiore e presenta la porticina contornata da un volo di cherubini adoranti; alle spalle di eleva il tempietto su di una zoccolatura a specchiature rosse, dalla quale si innalzano quattro colonne di marmo rosso terminanti con candidi capitelli d’ordine corinzio contornanti il luogo dell’esposizione sul quale si stende un piccolo padiglione marmoreo. Al di sopra della trabeazione si imposta un complicato coronamento con angioletti marmorei, colomba dello Spirito Santo, statuette della Carità (che nutre alcuni bambini) e della Speranza (con l’ancona) ai lati e al vertice della Fede velata, reggente con la destra il calice con l’ostia e con la sinistra la croce.

Dietro l’altare è collocato l’organo, fabbricato dalla ditta Bazzani nel 1889.

Nella cappella di fondo della navata destra, sull’altare secentesco a due colonne di marmo rosso e capitelli di marmo bianco, si trova la pala della Madonna della cintura con il Bambino Gesù ed i santi Agostino, Monica, Giovanni Battista, Nicola da Tolentino e un angelo, opera di Giovanni Francesco Zamolo (1701).

Nella cappella della navata destra, l’altare della Madonna dei fiori, ospita una paletta accademica di fine Ottocento, raffigurante la Vergine del Rosario con il Bambino omaggiata con un serto di rose da un angelo inginocchiato sui gradini del trono.

Nella navata destra, in controfacciata si trova l’affresco della Deposizione di Cristo di Pomponio Amalteo discepolo e genero del Pordenone, già “pala” dell’altare del Sacramento, scialbato e ritrovato durante gli ottocenteschi lavori di restauro della chiesa e qui posizionato dopo lo strappo.

Il portale in bronzo

In occasione del restauro seguito al disastroso terremoto del 1976, su iniziativa del pievano monsignor Arduino Michieli, il tempio fu arricchito di nuove porte di bronzo, opera di Antonio Boatto (1992).

I due battenti della porta principale, chiamata Porta della Vita, sono divisi in tre formelle ciascuno. A sinistra, dall’alto in basso: Eva cacciata dal Paradiso (ma in certo modo accompagnata e protetta con tenerezza dall’angelo di Dio), Caino uccide Abele (la forza bruta che uccide la bontà, ma non può impedire che nasca un virgulto, che la vita continui), Giobbe abbandonato da tutti (dopo avere fatto esperienza di tutte le disgrazie e aver sperimentato la fragilità degli affetti umani, Giobbe sa che può continuare a discutere con un Dio che gli è accanto). Sul battente di destra la storia della Redenzione: Maria, nuova Eva, accoglie l’annuncio dell’angelo (l’angelo si pone quasi in venerazione della Vergine che riporta alla vita la storia dell’umanità), il Buon Samaritano (l’amore in Cristo diviene possibile ed è la rivelazione della verità dell’uomo), Lazzaro nel seno di Abramo (Dio che accoglie, ed è Padre e ha la tenerezza di una madre, ed il povero mendicante diventa un bambino sereno).

Il campanile

Di fronte alla porta principale, al di là della strada, svetta il bel campanile di cotto, alto 42 metri (di cui 22 di lineare e severa “canna”).

Chiesa di San Pietro di Versiola di Bagnarola

La chiesa di San Pietro di Versiola è situata nelle pertinenze della parrocchia di Bagnarola, in un appezzamento di terreno che fino alle confische operate dello stato italiano dopo il 1866 apparteneva alla parrocchia di Bagnara, oggi in comune di Gruaro e in provincia di Venezia.

Dedicato a San Pietro Apostolo, l’edificio presenta un’aula rettangolare di m. 5,80 x 7,50 e una piccola abside semicircolare romanica con apertura a sesto ribassato che suggerisce una datazione intorno all’XI-XII secolo.

 

Il paramento murario è caratterizzato da filari interposti di pietrame, pezzi di mattoni romani sesquipedali ed embrici della stessa epoca. La presenza di tale materiale denota chiaramente l’esistenza in loco di antichi insediamenti romani. La modalità di posa degli elementi di embrice a spina di pesce caratterizza altri edifici sacri coevi.

L’edificio è orientato. All’aula si accede dalla porta ad arco posta in facciata e da analoga apertura, più tarda, situata a metà della parete meridionale. La luce è assicurata da tre finestre a mezzaluna, due delle quali collocate in facciata, ai lati dell’ingresso, e una posta sulla parete sud, tra la porta laterale e l’abside. La copertura è con travi a vista, tavelline e coppi di recupero. All’esterno, tutto intorno al tetto corre una cornice di coronamento a dente di lupo. Sulla sommità della facciata è collocato un esile campaniletto a vela, in ferro battuto.

La storia dell’edificio è alquanto travagliata. Situata in parrocchia di Bagnarola, ma in un appezzamento di terreno di proprietà della parrocchia di Bagnara, filiale di Gruaro, San Pietro di Versiola viene menzionato in un testamento del 1332 con le altre chiese dipendenti dalla pieve di Gruaro. Nel 1565 passò alla neoeretta parrocchia di San Tommaso di Bagnara (alla quale sempre risulta appartenere sino alla fine del secolo XIX, con l’unica eccezione di una visita pastorale del 1693, nella quale si dice che la chiesa è sotto le cure di Bagnarola).

Nel 1366 l’interno venne dipinto, ma la decorazione è scomparsa.

I pochi brani di affresco, ricomposti dopo le rovine e i furti del recente passato, sembrano attribuibili a un allievo di Pomponio Amalteo, il sanvitese Giuseppe Furnio: richiamano infatti l’opera di analogo soggetto, Cristo e gli apostoli, eseguita dal pittore a Luincis si Ovaro.

Nell’abside sono stati ritrovati dei minuscoli lacerti risalenti al secolo XIII, mentre alla cerchia di Andrea Bellunello, risalente agli inizi del 1500, è da attribuire un affresco molto danneggiato raffigurante la Madonna in trono con il Bambino e accanto un diafano efebico San Sebastiano.

Stando alla documentazione delle visite pastorali l’oratorio è stato sempre poco curato. La catastrofe è di tempi recenti. Il 22 agosto 1868 il terreno su cui esso insiste è confiscato dallo Stato unitario italiano alla parrocchia di Bagnara e l’anno dopo trasferito al Demanio. Acquistato da un privato nel 1873, nel 1881 divenne proprietà dell’arciprete di Bagnarola e da quel momento anche la chiesa viene considerata a tutti gli effetti legata a Bagnarola. Passata per successione agli eredi dell’arciprete (che in qualche modo aveva rimesso in sesto l’edificio), la chiesa riprese a decadere. Nel 1992 il Comune di Sesto al Reghena riuscì ad entrare in possesso di terreno e chiesa.

Osservando la chiesa di San Pietro, nell’interno ormai spoglio si trovano i resti degli affreschi attribuiti al pittore sanvitese Giuseppe Furnio (un busto di Cristo al centro dell’abside, la testa di un apostolo sulla sinistra e la parte inferiore di altri due apostoli sulla destra). Più interessanti sono gli avanzi, per quanto compromessi e illeggibili, della decorazione a fresco sulla parete nord, sopra la quale si notano i tratti delle croci clipeate di dedicazione.

La chiesa è stata dotata di un altare di moderna concezione e di una statua in bronzo di San Pietro, opera dello scultore Fiorenzo Bacci (1998).

Oratorio della Visitazione di Versiola

Posto tra le case dell’abitato di Versiola, fra Bagnarola e Sesto al Reghena, il piccolo edificio dedicato oggi alla Visitazione di Maria, è lambito dalle acque limpide del rio Versiola.

Elementare nella sua struttura rettangolare, con tetto a capanna, modesto campanile a vela, presbiterio poco profondo, finestra rettangolare sulla parete sud e altra più piccola sulla parete meridionale del presbiterio, l’oratorio fa la sua comparsa nei documenti nel 1648. In quella data il vicario del vescovo si reca in visita all’oratorio, che risulta dedicato ai Santi Bernardino e Daniele profeta, con un unico altare.

 

La devozione a san Daniele profeta si sviluppa in concomitanza con l’apparire di branchi di lupi affamati che non hanno timore di assalire bambini e adulti. Anche a Bagnarola il fenomeno getta la popolazione nella paura, a volte nella disperazione e proprio per Versiola i registri dei morti della pieve riportano la notizia una bimba quasi completamente divorata dai lupi. Si ricorse così alla protezione della Vergine e di alcuni santi, soprattutto Daniele per il noto racconto biblico del profeta gettato nella fossa dei leoni e rimasto illeso.

A quello stesso momento sembrano appartenere gli affreschi, molto rovinati, che si collocano sulle lesene e sull’arco dell’absidiola: l’arcangelo Gabriele a sinistra, la Vergine che riceve l’annuncio sulla destra, ed in alto l’Eterno Padre.

Qualche anno dopo, l’oratorio risulta intitolato a San Bernardino, per passare nel 1700 con il nome «della Visitazione della beata Vergine Maria»: un’alternanza di titoli che ricorre fino al 1889 circa, allorché fu restaurato e dedicato alla Madonna di Lourdes, devozione recente e di grande presa emotiva tra i fedeli della fine del secolo XIX e nel XX.

Gli interventi di salvaguardia e conservazione della metà degli anni settanta del XX secolo hanno comportato, tra l’altro, alla ricollocazione della restaurata pala ad olio su tela con i santi titolari. Essa, costruita su due registri, propone nella lunetta in alto la scena della Visitazione della Vergine alla cugina Elisabetta: Maria presenta i segni d’una avanzata (ed esagerata) gravidanza, mentre viene accolta dalla parente, tra i gesti solenni e un po’ teatrali del muto Zaccaria e di san Giuseppe. Sul piano inferiore, entro duplice archeggiatura, si collocano a sinistra San Bernardino da Siena con il monogramma di Cristo (IHS) e a destra il giovane e nobile Profeta Daniele, che con l’indice della mano destra addita Maria e con la sinistra regge l’asta di un candido vessillo sul quale si può leggere: Ecce in Uteri Virginis Quem Praedixi (Ecco nel grembo della Vergine Colui che ho profetizzato); accovacciato ai piedi del profeta un mansueto leone sembra voler leggere l’annuncio.

Di una pala per l’altare parlano i verbali delle visite pastorali del 1690, 1700, 1726. Negli anni successivi all’ultima data, la pala dovette venire realizzata poiché successivamente non se ne parla più.

Oratorio di San Rocco di Vissignano

L’oratorio di San Rocco si trova sulla strada che da Bagnarola conduce a Savorgnano, nella borgata di Vissignano. Il santo titolare (pellegrino di origini francesi, vissuto in Italia, dedicatosi alla cura degli appestati e infine morto pure lui di peste) godette di grandissima devozione popolare, soprattutto negli stati veneti, dopo che Venezia poté affermare d’essersi procurata le reliquie, oggi custodite nella stupenda Scuola Grande di San Rocco, famosa per le opere di Tintoretto. Dalla metà del Quattrocento in poi non c’è località che non abbia una chiesa, un capitello, un altare e immagini ex voto del santo, con san Sebastiano (anche con san Giobbe) degli appestati.

Posto in un trivio, l’oratorio (che nella muratura presenta elementi quattrocenteschi) nel 1610 aveva già bisogno di restauri. Sull’architrave della porta rimane la memoria dell’intervento: RESTAUR. DAL CAM.° D. MARC’ANT.° SAVONARO / MDCX.

Agli inizi del secolo XIX l’oratorio – detto a volte di patronato comunale, ma più spesso di proprietà della confraternita – è confiscato dal Pubblico Demanio che lo mette sul mercato. Nel 1817 fu acquistato e dotato della necessaria suppellettile grazie alla devozione di Girolamo Variola, che lasciò memoria del proprio intervento sull’architrave della porta d’ingresso: 1817 / GIEROLAMO VARIOLA ACQUISTÒ DAL REGIO DEM.°.

All’interno, sull’altare settecentesco, c’è una piccola pala ad olio su tela raffigurante la Vergine col Bambino e i santi Rocco e Bartolomeo, databile tra la fine del Sette e gli inizi dell’Ottocento.