
Le chiese di Azzano Decimo
Azzano Decimo

La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, navata centrale, Azzano Decimo

La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
San Pietro che riceve la tiara papale e san Paolo in ginocchio, XVIII sec, chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, Azzano Decimo

La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Giuseppe e Giovanni Mattiussi, Altare Maggiore, 1748-1750, chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, Azzano Decimo

La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Giuseppe e Giovanni Mattiussi, Altare di San Valentino, XVIII sec, chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, Azzano Decimo

La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Giuseppe e Giovanni Mattiussi, Altare del Rosario, XVIII sec, chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, Azzano Decimo

La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Giuseppe e Giovanni Mattiussi, Altare del Carmine, XVIII sec, chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, Azzano Decimo

La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Campanile nuovo, 1909-1921, chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, Azzano Decimo

La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Argentiere veneziano, Croce astile, sec XVII-XVIII, chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, Azzano Decimo

La chiesa di Santa Croce
Oratorio della Santa Croce, Azzano Decimo

La chiesa di Santa Croce
Francesco Pasiani, Vergine con il Bambino, san Francesco e santo martire, seconda metà del sec. XVI, oratorio della Santa Croce, vista dell'interno, Azzano Decimo
Le chiese di Azzano Decimo
Note storiche
Rogge, risorgive e corsi d’acqua – il Fiume, la Meduna e il Sile che per alcuni tratti ne segnano il confine – caratterizzano il territorio azzanese, ambiente favorevole agli insediamenti umani registrati sino dal Neolitico.
Determinante e duratura la presenza romana nel territorio come attesta la stessa toponomastica: Azzano da ACCIUS o ATTIUS titolare del fondo e Zuiano da IULIUS che riconduce all’epoca giulio-claudia. Con la fondazione della colonia romana di Julia-Concordia (42-40 a.C.) la zona venne a trovarsi al centro del territorio centuriato. Numerosi gli insediamenti del I secolo d.C. documentanti ville rustiche e padronali di un certo prestigio.
Una curtis in Hano, identificata come Azzano, è menzionata per la prima volta nel diploma di re Berengario I dell’anno 888 come possedimento dell’abbazia benedettina di Santa Maria di Sesto.
Nel corso dei secoli XII-XIII, con l’imporsi del patriarcato aquileiese sui domini degli abati di Sesto, si affermò la signoria degli Azzano investiti dal patriarca aquileiese di alcuni masi e del castello, probabilmente eretto su una piccola altura lungo un’ansa del Sile in località Colle, sulla quale insiste oggi la chiesetta di Santa Lucia.
Del maniero – distrutto una prima volta bel 1297 per il tradimento di Giovanni di Azzano nei confronti del patriarca e quindi ricostruito – è scomparsa ogni traccia, smantellato forse durante l’avanzata delle truppe veneziane e la conquista della Repubblica di San Marco (nel 1420), che determinò il passaggio della località al capitanato di San Vito.
Ecclesiasticamente Azzano appartiene alla Chiesa concordiese.
La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo
Le origini
L’intitolazione a san Pietro e la posizione lungo la strada verso Concordia, centro di diffusione del Cristianesimo, evidenziano le antiche origini della chiesa sorta tra il VI e l’VIII secolo e annoverata nell’elenco delle pievi della diocesi concordiese (nella bolla del 1186 di papa Urbano III).
L’antico edificio nel corso dei secoli XV-XVI fu completato con opere attestate ormai solo dai documenti. L’esterno era dotato di un portale scolpito da Giovanni Antonio Pilacorte (11524); sulla facciata – come d’uso – campeggiava un San Cristoforo eseguito da un maestro Bartolomeo. Tra 1535 e 1537 fu costruita la cappella dello Spirito Santo da parte di Francesco Valvason e maestro Domenico tagliapietre (probabile esecutore dell’altare). Gli interventi successivi riguardarono il fonte battesimale, realizzato tra 1545 e 1550. Inoltre, tra 1597 e 1599 per l’altare maggiore lavorarono il pittore Gaspare Narvesa e lo scultore Vincenzo de Onestis.
Delle relazioni delle visite pastorali del XVI e XVII secolo apprendiamo che la chiesa era dotata di numerose opere d’arte e anche alcuni documenti lo testimoniano.
La ricostruzione settecentesca
Di solenne aspetto è la ricostruzione settecentesca, iniziata nel 1748 e conclusa nel 1770. Il progetto spetta a Luca Andrioli.
La facciata – ispirata a soluzioni dell’architetto veneziano Giorgio Massari e in stretto rapporto con quella dell’oratorio della Purità a Udine (1757-1760) dello stesso autore – è scandita su due piani, spartiti verticalmente da paraste tuscaniche intervallate da specchiature, portale centrale con timpano arcuato, finestrone al registro superiore, terminazione a frontone triangolare.
L’iscrizione in facciata riporta la data della dedicazione (1763), mentre quella interna, ora in sacrestia, tramanda la consacrazione (1771).
L’interno a navata unica è sottolineato da paraste con capitelli ionici affiancanti le grandi nicchie che accolgono gli altari ed è concluso da un presbiterio a pianta quadrata, illuminato dagli alti finestroni, dai quali penetra una diffusa luminosità.
Sul soffitto, entro una cornice modanata, è posto il grande affresco (restaurato nel 1995), che raffigura San Pietro che riceve la tiara papale e san Paolo in ginocchio (del XVIII secolo).
Tra il 1748 e il 1750 agli altaristi Giuseppe e Giovanni Mattiussi, padre e figlio (impegnati anche nel duomo di San Vito al Tagliamento), fu affidato l’incarico per il monumentale altare maggiore e l’esecuzione delle statue laterali dei Santi Pietro e Paolo.
Le imponenti figure di San Pietro e San Paolo, ai lati dell’altare, sono una trascrizione della contemporanea statuaria di Giacomo Contieri (documentato tra il 1748 e il 1787-1788).
A mezzo dell’altare si eleva il ciborio ottagono (alterato nelle proporzioni), cupolino a cipolla e statuetta del Redentore al vertice.
Più tardo il paliotto con calice eucaristico entro cartiglio, acquistato nel 1891.
Gli altari laterali
Quattro gli altari laterali di gusto rococò completano la nuova configurazione architettonica: a destra gli altari di San Valentino e della Madonna del Carmine, a sinistra quelli di Sant’Antonio di Padova e della Beata Vergine del Rosario, attribuibili agli scultori Giuseppe e Giovanni Mattiussi, padre e figlio.
L’altare di San Valentino reca la pala settecentesca dei Santi Valentino, Sebastiano e Nicolò (con la tiara pontificia in testa come a rafforzarne il potere taumaturgico), firmata dal pittore e sacerdote sacilese Sebastiano Valvasori (1744-1818) e datata 1782, come recita l’iscrizione.
Del tutto simili gli altari dirimpettai del Rosario e della Madonna del Carmine, provvisti di mensa sagomata ornata da volute laterali, alzate con cimasa a fronte spezzato sorreggenti angeli ad ali spiegate, corpo centrale emergente con la colomba dello Spirito Santo nella cartella sovrastata da due putti.
All’altare del Rosario vennero rifatte mensa e gradinate in pietra viva nel 1678; il paliotto del tardo Settecento, dovuto ancora a Giuseppe e Giovanni Mattiussi, mostra a bassorilievo nella cartella centrale la Vergine col Bambino tra i santi Domenico e Rosa; il simulacro ligneo della Beata Vergine del Rosario è opera di Giovanni Costantini di Latisana, inaugurato nel 1913, mentre corona e padiglione sono lavori di Benedetto Montini di Udine (1865).
L’altare del Carmine, anch’esso con iscrizione relativa alla ricostruzione in materiale più solido (1720), ospita la pala della Vergine del Carmelo ed i santi Giovanni Battista e Vincenzo Ferreri, siglata I.G.F., acronimo di Giuseppe De Gobbis (attivo a Venezia tra 1772 e 1783), che si avvale di spunti e intonazioni cromatiche del veneziano Giovanni Battista Piazzetta.
Nel primo altare a sinistra trova posto la tela effigiante Sant’Antonio di Padova con i santi Biagio e Floriano, firmata Giuseppe Cherubini e l’indicazione Venezia 1907.
Il coro
Alla fine degli anni Venti del Novecento fu realizzata da Luigi Salvadoretti (1872-1957) la decorazione del coro a finto mosaico su fondo oro, secondo il gusto Liberty, sulla base delle indicazioni dell’architetto di Caneva Domenico Rupolo (1861-1945).
Le pareti del presbiterio sono state decorate nel 2006 con due grandi tele di Giulio Belluz raffiguranti la Resurrezione e la Pesca miracolosa.
Il campanile
La costruzione di un nuovo campanile su progetto dell’architetto Domenico Rupolo, in sostituzione del vecchio risalente al XVI secolo, prese il via nel 1909 e si concluse nel 1921 con la posa delle campane.
La scelta del sito, sul fianco del presbiterio, permise di dare maggiore risalto ai volumi della chiesa e al corpo dello slanciato manufatto in mattoni di 74 metri di altezza, che si erge su basamento a bugne, lunga canna a triplice archeggiatura cieca, cella campanaria con apertura a “serliana” di gusto palladiano, tiburio ottagono snellito da nicchie, balaustra e pinnacoli angolari in pietra bianca.
Numerosi gli interventi alle campane a partire dalla fusione del 1752 di Domenico Badandi cui seguirono una seconda tra il 1871-1872 e quindi una terza nel 1920 della fonderia Cavadini di Verona, dopo la requisizione degli austriaci nel 1917.
La suppellettile liturgica
Di certo pregio il patrimonio della suppellettile liturgica rappresentato per primo da due croci processionali in argento. L’una – insegna ufficiale della parrocchia – mostra al recto il Crocifisso e nei quadrilobi le consuete immagini di Dio Padre, della Maddalena, della Vergine e di San Giovanni ai lati, e al verso la figura centrale di San Pietro e degli Evangelisti nelle terminazioni. Sul nodo, a doppio corpo e baccellato e mosso da testine di cherubini a fusione, corrono le iscrizioni riguardanti l’epoca di fattura (1693) e i nomi dei fabbricieri, nonché i punzoni che attestano la provenienza veneziana.
Contrassegni veneziani ricorrono anche nel secondo esemplare in argento sbalzato e in parte dorato della metà del Seicento – più tardi aggiunto di nodo e impugnatura – caratterizzato da terminazioni ovate ospitanti al dritto le immagini dell’Eterno Padre, della Maddalena, della Vergine e San Giovanni Evangelista e del Crocifisso al centro, condotto nei modi di Guglielmo della Porta; al rovescio della Madonna del Rosario respirante la produzione plastica del tardo Cinquecento veneziano.
Agli inizi del Seicento appartiene una pisside a coppa espansa, adorna di elementi nastriformi intrecciantisi verso l’alto con motivi vegetali su piede e nodo a oliva. Al tardo Sei primo Settecento un calice decorato a sbalzo con angioletti recanti sul piede e sottocoppa “a giorno” gli strumenti della Passione.
Di bottega lagunare sono ancora un incensiere dalla consueta struttura a vaso sagomato, coperchio cupoliforme di sapore orientalizzante a pressacchio strozzato e tre cartegloria in argento su anima in legno, con ricche cornici a volute, conchiglie, fiori sbalzati e cesellati; nonché un ostensorio “a sole” della stessa epoca, con piede a doppio corpo, nodo strozzato a sezione triangolare, mostra a gruppi di raggi lineari e sommitale statuina del Risorto.
Tra i reliquiari meritano citazione quello della Croce con angioletto in fusione reggente la stauroteca contornata da testine angeliche e i due ottocenteschi dell’Immacolata e di San Pietro (in argento), probabilmente usciti dai laboratori Bertarelli di Milano tra 1859 e 1862.
Al 1855 infine risalgono i sei candelieri per l’altare maggiore in metallo argentato e dorato, riccamente decorati alla base, dovuti a Domenico Bertaccini di Udine.
La chiesa di Santa Croce
Sorto sull’area di un edificio di età romana con pavimento in cocciopesto e tessere in mosaico bianco e nero addossato al muro esterno del presbiterio, l’oratorio di Santa Croce è stato ritenuto dalle cronache l’antica pieve che riuniva Azzano, Fiume, Cimpello e Praturlone.
L’edificio, in mattoni con motivi di archetti pensili che corre sotto gli spioventi delle fine del XV secolo e monofora campanaria al vertice, è menzionata per la prima volta nel 1522 e successivamente come chiesa campestre della parrocchiale di Azzano nel 1586. Nel corso del Settecento ha subito la ricostruzione pressoché totale del presbiterio e l’aggiunta di un portico rettangolare ad archi a sesto coperto a padiglione.
Sull’architrave della porta secondaria, inquadrata in pietra con cimasa, corre l’iscrizione: AVE MARIA GRATIA PLENA D(ominus) T(ecvm).
Alla fine del XVII secolo erano presenti tre altari, successivamente demoliti.
Nella seconda metà del Settecento fu trasferito dalla parrocchiale l’altare ligneo di San Valentino, con la pala della Crocifissione, che però furono entrambi distrutti da un incendio nel 1968.
Nella chiesa è conservato in Crocifisso ligneo, dono delle vedove della Prima Guerra Mondiale.
Da segnalare il tabernacolo del XVIII secolo in marmo bianco e rosso, con decoro a girali e testina di putto sulla sommità.
L’interno si presenta ad aula unica con travi a vista, abside quadrata e soffitto a vele.
Negli anni Sessanta del Novecento lungo le pareti della navata sono stati rinvenuti brani affrescati raffiguranti sulla destra un San Valentino, invocato contro epidemie ed epilessia, mentre a sinistra un robusto San Giovanni Battista.
Sul lato destra dell’arco santo, un’edicola di carattere architettonico ospita l’affresco della Vergine con il Bambino, san Francesco e santo martire, e sull’opposto, analoga struttura inquadra la Trinità con la croce sorretta dal Padreterno, esemplata da Giovanni Maria Zaffoni detto il Calderari: partito pittorico che va distribuito tra Giuseppe Moretto, Francesco Pisani e altre maestranze pordenonesi.
Sui lati dell’abside si hanno le immagini di carattere popolareggiante di Sant’Antonio di Padova e San Francesco d’Assisi (secolo XVIII), precedute da un lacerto di primo Cinquecento con la Vergine e Bambino con una torre campanaria sullo sfondo.
Degna di attenzione la pila di inizio Seicento immurata in controfacciata la quale reca la scritta di carattere purificatorio: ASPER(GE ME D)OMINE ET MUNDABOR.