Le chiese di Ampezzo

Ampezzo

Le chiese di Ampezzo

Le prime chiese di Ampezzo

Anticamente Ampezzo e le sue frazioni dipendevano dalla pieve di Santa Maria di Castoia sopra Socchieve, che fino al 1663 organizzava processioni al sacello di San Pietro, sito ad Ampezzo, la prima chiesa di cui si hanno notizie dal 1247 al 1674. 

Nel 1543 si nomina la chiesa battesimale di Santa Maria, che sarebbe diventata la parrocchiale. Nella visita pastorale del 1602 si ricorda solo quest’ultima, circondata da un cimitero abbastanza ampio con un campanile sulla destra. La cappella absidale era decorata con dipinti visibili a stento, aveva una mensa di marmo sopra cui era posta una ancona lignea scolpita e dorata e altri due altaroli. 

I burrascosi rapporti tra Socchieve e Ampezzo, portarono gli ampezzani a chiedere, il 17 luglio 1637, al Patriarca Marco Gradenigo una parrocchia autonoma, concessa il 20 febbraio 1642, in cambio di versamenti una tantum e di pellegrinaggi annuali all’antica matrice, che cessarono solo nel 1828, quando la cappellania di Ampezzo, istituita il 12 gennaio 1716, fu completamente affrancata dalla pieve di Castoia. 

La costruzione della Parrocchiale, una storia tormentata

Nel 1674 si cominciò a pensare di ricostruire la chiesa parrocchiale, che aveva bisogno di essere restaurata ed ampliata. Il proposito si concretizzò solo l’8 settembre 1785, quando i delegati di Ampezzo, Oltris e Voltois decisero di erigere una nuova chiesa parrocchiale. 

Probabilmente l'autore del progetto della chiesa di Ampezzo fu il barnabita Mario Cortenovis. Alla costruzione provvide Angelo Schiavi (1749-1825), figlio di Francesco, fratello del celebre architetto tolmezzino Domenico Schiavi, cui si devono le ristrutturazioni settecentesche di gran parte delle chiese carniche. 

I rendiconti ricordano anche un capo mistro Selva, identificabile con un modesto Agostino Selva, citato in numerosi documenti

Nel 1799 la struttura architettonica era stata completata, con la posa in opera delle cornici, delle basi e dei capitelli delle colonne doriche e persino delle 4 piramidi esterne. 

I lavori di completamento della chiesa furono però molto dilazionati e solo il 20 settembre 1868 l'arcivescovo Casasola inaugurò la chiesa e l'altar maggiore, consacrandola alla beatissima Vergine del Rosario e a san Daniele profeta, come contitolare. Tuttavia, l’opera non era ancora completata.

Nel 1901 fu ultimata la facciata, secondo il disegno del progetto originale, grazie al lavoro gratuito dei parrocchiani. 

Approfondimento

Mario Cortenovis (1735-1798), di origini bergamasche, fu un architetto progettista che soggiornò a Udine nel Collegio dei Barnabiti, di cui era rettore il fratello Angelo Maria. Progettò numerosi edifici, tra cui il Santuario delle Grazie di Udine, molto simile alla parrocchiale di Ampezzo nella soluzione delle colonne dell'arco trionfale che dividono la navata dal presbiterio. 

Approfondimento

Il pittore Marco Davanzo, appena diciottenne, dipinse sul timpano il volto di Cristo e i fregi, consolidati e ritoccati nel 1968. 

Marco Davanzo (Ampezzo 1872-1955), uno dei migliori pittori friulani, frequentò l’Accademia di Venezia e l’Accademia di San Luca a Roma. Bene inserito nell’ambiente artistico veneziano, presente più volte alle Biennali, alle esposizioni di Parigi, Milano e Monaco di Baviera, operò ad Ampezzo specializzandosi nella pittura di paesaggio. 

Anche la sua magnifica collezione di dipinti, ubicata nell'antico palazzo Comunale eretto nel 1871, merita senz’altro una visita.

La chiesa della Vergine del Rosario e san Daniele profeta

L'esterno della chiesa evidenzia la sua disposizione interna: una parte centrale longitudinale più alta di quelle laterali, un transetto e moderni ambienti di servizio nella parte retrostante (del 1956). 

La facciata dichiara chiaramente i due periodi di costruzione: la parte inferiore, più antica e conclusa dagli elementi piramidali e quella più alta, costruita tra 1900 e 1901. 

Dopo il terremoto del 1976 la diocesi di Stoccarda aiutò la parrocchia di Ampezzo a rifare il tetto della chiesa e la ridipintura del duomo. 

 

L'aula presenta tre navate di cui la centrale è molto più ampia e alta delle laterali, basse e piuttosto scure, con incassi nei muri laterali che ospitano il fonte battesimale, gli altari lignei e i confessionali. 

Il vasto transetto, coperto da una volta a crociera, si conclude con due altari inquadrati da due serliane, che si ripetono regolarmente lungo il perimetro della chiesa. 

Dal transetto si aprono a destra e sinistra due vani quadrangolari che immettono, rispettivamente, alla sacristia e alla cappella feriale. 

Il presbiterio, coperto da una volta a crociera, è sopraelevato con tre gradini e nettamente separato dallo spazio dei fedeli con due colonne d'ordine gigante che reggono l'imponente arco trionfale, soluzione simile a quella che Mario Cortenovis applicò anche nel Santuario udinese delle Grazie. 

Pilastri di ordine gigante e colonne addossate ai muri laterali reggono imponenti e aggettanti cornici che delimitano i riquadri affrescati dal pittore Giovanni Moro. 

Gli altari lignei di Giovanni Saidero

A destra e a sinistra entrando si notano i due altari in legno dorato e dipinto, entrambi sono opera di Giovanni Saidero. 

Approfondimento

Giovanni Saidero (notizie dal 1611 al 1642) fu un intagliatore e pittore, nato a Venzone nel primo decennio del Seicento e più attento alla architettura e agli ornati, che alla resa delle figure. Sue opere si trovano a Moggio (1641), a Bagni di Lusnizza (1642), a San Tomaso di Majano, a Remanzacco e nella chiesa di Santa Anna a Venzone, ma gli altari di Ampezzo sono tra i pochi a lui attribuibili con sicurezza. Entrambi hanno una struttura a trittico e si trovavano nella parrocchiale prima della riforma settecentesca.

Sulla parete destra si trova l'altare di Sant’Antonio abate, protettore degli animali, importantissimi per l’economia carnica basata sull’alpeggio. 

Il paliotto, inquadrato da due specchiature laterali decorate con protomi umane e festoni, apparato decorativo comune a tutto il Seicento friulano, racchiude entro una cornice ovale la raffigurazione ad olio su tavola di san Antonio in preghiera nel bosco. 

La predella decorata con cartigli e fondi dipinti a finto marmo, racchiude la targa con l'iscrizione «Q[UE] STA. HOPER[A]. FU FATA. L.AN[N]O/ 1637.SOTO LA CAMERAR[I]A DAL M.[AG] I[STE] R/ PIERO DAL NEGRO. FU COMINC[I] ATA/ ET SOTO LA CAMER[ARI]A DAL S[IGNO]R GIO BATTA/ SPANGAR[O]. FU FENITA. ET IO ZUAN[N] E/ SAIDERO DI VENZ[ON]E FECCE». 

L’ altare è diviso in tre nicchie da colonne, nella centrale, più grande, è ospitato sant’Antonio, in quella a sinistra san Daniele, contitolare della parrocchiale, e a destra santa Caterina con la ruota del martirio, mentre i profili esterni sono decorati da volute e testine angeliche. 

Sopra il timpano che inquadra la nicchia centrale si alza una cimasa ad arco ribassato, decorata con il ritratto di sant’Antonio, opera novecentesca di Marco Davanzo, che riprese probabilmente una pittura precedente, mentre ai lati si incurvano due timpani spezzati. 

 

Sulla parete sinistra si nota un altare in legno dorato, opera del 1641, concordemente attribuita a Giovanni Saidero, autore anche dell'altare posto di fronte. I tre gradini che innalzano l'altare non sono originali. 

Il paliotto, riccamente intagliato con cornicette decorative, racchiude un dipinto ad olio su tela raffigurante al centro la Beata Vergine del Rosario tra san Domenico a sinistra e santa Rita a destra. 

I motivi decorativi, specie le testine angeliche, sono simili a quelli dell’altare della parrocchiale di Forni di Sopra, opera della bottega Comuzzo. Nella parte centrale della predella si legge l’iscrizione «ESENDO CAME.[RARO] IL SIG:[NO]R NICOL.[O]// DEL NEG.[RO] FU FATA LA. PR[ESENT]E OP[ER]A LA[NN]O.//1641.ALI. IO GIU[SEPP]O. ET IO ZU[AN]E SAI[DER]O FE[CERUN]T». 

La parte superiore dell'altare è strutturata a trittico con cornici laterali costituiti da volute e testine aggettanti (di cui una mancante), dai profili dorati con campiture marmorizzate. Il registro inferiore è tripartito con volute che reggono due cariatidi e con colonnine esterne decorate a bassorilievi romboidali. 

La nicchia centrale, più grande delle laterali, è contornata dai medaglioni con i Misteri del Rosario dipinti a olio su tela e racchiude la statua della Madonna con il Bambino, mentre quelle laterali ospitano a sinistra San Domenico e a destra Santa Rita. 

Più piccole della centrale sono sovrastate da due tondi raffiguranti santa Lucia e santa Agata. La parte superiore a timpano presenta una tavoletta dipinta ad olio con La Trinità su cui posa un angelo con cornucopia, più tardo, mentre i lati sono formati da un doppio registro di timpani spezzati. 

Le acquasantiere e il fonte battesimale

All'ingresso della chiesa sono disposte due pile per l'acquasanta, opere di scalpellini locali. La pila di destra, più semplice, si affida per l'effetto estetico alle venature della pietra; più elaborata e antica, è la pila posta a sinistra, imparentata con le opere dei lapicidi lombardi nella lavorazione della base quadrata a graticcio, nelle scanalature del fusto e nei delicati festoni curvilinei, che decorano la coppa. 

 

Nel vano della parete sinistra è ospitato il fonte battesimale con un fusto a pilastrino e una coppa in marmo rosso di Verzegnis, databile tra il 1684 e il 1735. 

Sulla copertura settecentesca in rame era posto come d'uso, un piccolo gruppo ligneo raffigurante San Giovanni che battezza Cristo, opera un po' sproporzionata di un intagliatore locale ottocentesco, attualmente riposta in altro luogo. 

L’altare della Beata Vergine Immacolata

A destra, l'altare della Vergine, che fu benedetto il 4 ottobre 1903. 

È opera in pietra artificiale del gemonese Elia D'Aronco in stile dorico per accordarsi alla architettura della chiesa, anche se la parte superiore con timpano e cimasa ricorda ancora esempi settecenteschi. 

Elia D'Aronco, altarista e pittore decoratore, era cugino di Gerolamo D'Aronco, padre di Raimondo il famoso architetto liberty italiano, la cui ditta di famiglia si era specializzata proprio nelle costruzioni in pietra artificiale e operò anche nella parrocchiale di Forni di Sopra. 

Nel 1909 con le offerte dei fedeli fu comprata la statua della Madonna di Lourdes dal laboratorio di Ferdinando Demetz (San Ulderico di Val Gardena 1842-1902) della Val Gardena. Specializzato nell'artigianato artistico, presente in molte chiese edificate dall’impresa D’Aronco, godette di ampi consensi in Ampezzo: nel 1920 realizzò anche la statua processionale della Vergine del Rosario, benedetta il 24 ottobre 1912 e che sostituì l'antica Madonna vestita. 

La statua della Madonna di Lourdes fu inserita nella grotta costruita dallo scalpellino veneziano Giuseppe Rosada, che praticò nel muro una apertura che consente l'illuminazione con luce naturale della statua. 

L’altare del Sacro Cuore di Gesù

Quello di sinistra, dedicato al Sacro Cuore di Gesù (1919), ha forme classicheggianti.

Già nel 1917 si era pensato di dotare la chiesa di una statua del Sacro Cuore di Gesù, cui, in ossequio alle disposizioni di papa Benedetto XV, era stata consacrata la parrocchia per implorare la pace. 

La statua, di interesse più documentario che artistico, è in cartone dipinto. 

L’altare maggiore

L'altare maggiore fu progettato nel 1796, in contemporanea dunque alla ricostruzione della chiesa, dal gemonese Francesco Aloi, attivo dal 1769 al 1795 in Friuli e in Carnia, ad Amaro, Tolmezzo e Lorenzago. 

L'esecuzione in marmo bianco, affidata in un primo momento a Bernardino Forgiarino, fu poi assegnata nel 1822 al gemonese Giacomo Pischiutti, cui sono assegnate anche le statue di San Pietro e San Paolo, condotte con notevole perizia tecnica. 

Il Pischiutti apparteneva a una famiglia di altaristi e scultori attivissima in Friuli, di lui si hanno notizie dal 1762 al 1805 e dunque l’altare di Ampezzo sarebbe una delle ultime opere. 

Tutte le parti dell’altare sono finemente decorate con eleganti motivi decorativi: in particolare il paliotto riquadra un ostensorio a sole tra eleganti rami ricurvi di acanto, grappoli d'uva e spighe (alludenti all’Eucarestia), presenti anche lungo i profili del tabernacolo insieme alle immancabili testine angeliche. La parte centrale a forma di tempietto, con cupolino a cipolla retto da colonnine corinzie, fu probabilmente aggiunta successivamente. 

La consacrazione della chiesa, il 20 settembre 1868, potrebbe indicare la fine dei lavori dell’altare. 

Il 3 giugno 1930 si procedette a una riconsacrazione o meglio alla ricognizione delle reliquie di Claro, Valente e Urbano e le cronache dell'epoca riportarono che l'altare sarebbe stato costruito con il tesoro di monete d'oro e d'argento, casualmente rinvenuto nella casa Nigris.

 

L'attuale altare postconciliare in legno e il pulpito sono invece opere recenti (1968) della bottega altoatesina Demetz.

 

Nel coro, sopraelevato con tre gradini rispetto al piano delle navate, gli stalli di noce addossati alle due pareti sono opera ottocentesca, attribuita allo stipettaio ampezzano Agostino Luca. Suddivisi da colonnine tortili, hanno al centro una cattedra sporgente, sovrastata da un coronamento semicircolare decorato da cornici traforate, simili a quelle dei confessionali.

 

Sulla adiacente parete sinistra si trovava il pulpito, costruito nel 1830.

La Via Crucis

Le Via Crucis che si trovano alle pareti della parrocchiale sono opera del pittore udinese Lorenzo Bianchini (1825-1892) e furono erette il 28 agosto 1875. 

Approfondimento

Bianchini (Udine 1825-1892) si specializzò nell'arte sacra e fu uno dei pittori ottocenteschi di maggior successo per la sua pittura tradizionale e descrittiva, di facile comprensione. 

Fu attivo nel Santuario delle Grazie di Udine (1870) e in molte altre chiese come frescante, ma numerose furono le commesse come pittore di stendardi e di via Crucis: oltre a quelle di Ampezzo lo studioso ricorda infatti quelle di Buja, Canebola, Carpeneto, San Marco del Friuli e San Giorgio a Udine. 

L'organo

Nel 1991 nel vano dietro l'altare maggiore è stato collocato l'organo. Prima del 1938 era invece collocato in controfacciata con la cantoria, che fu demolita nel giugno 1938.

Lo strumento fu costruito a metà dell'Ottocento e trova un gemello nella chiesa udinese dell'Istituto Renati. 

La decorazione pittorica di Giovanni Moro

La decorazione pittorica della chiesa fu opera del pittore Giovanni Moro. 

Approfondimento

Il pittore carnico Giovanni Moro (1877-1949) fu tra i maggiori interpreti dell'arte sacra regionale, studiò a Berlino e all'Accademia di Monaco di Baviera e operò prima del 1914 in Baviera, Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia. Rientrato in Italia si dedicò con grande versatilità all'arte pittorica, ottenendo i migliori risultati nei ritratti e nei quadri di paesaggio. 

Più legato ai canoni figurativi tradizionali è invece nelle pale e nelle composizioni murali per le chiese, dove ottenne moltissime commissioni, numerose delle quali in Carnia e anche nell'alto Comelico a Candide e Sappada: Treppo Carnico (1900, 1924), Sutrio (1925), Vico di Forni di Sopra, Ravascletto, Enemonzo, Arta (1938), Castoia (1940). 

Le composizioni sono quelle tradizionali del purismo ottocentesco, figure facilmente riconoscibili inserite in quinte architettoniche rese con colori chiari, caratterizzati dalle tonalità ocra e gialle. I dipinti di Ampezzo sono tra le sue opere migliori: da notare nel San Giacomo e nel san Rocco, offerti rispettivamente dalle frazioni di Oltris e Voltois, la raffigurazione sullo sfondo delle chiese delle frazioni, dove si nota la chiesetta di Voltois, distrutta nel 1976.

Il Cristo Re in un campo di luce circondato dai 12 apostoli fu la prima opera murale dipinta da Moro nel luglio 1938 sulla lunetta sulla parete di fondo del coro, cui seguirono sulla parete destra San Daniele nella fossa dei leoni, completato il 30 agosto 1938, e, sulla parete opposta, il Trionfo della Beata Vergine del Rosario.
Questi primi lavori furono inaugurati il 9 ottobre 1938.

Nel maggio 1939 furono ripresi i lavori di decorazione della chiesa, che prevedevano ben 15 pitture murali.


Nella lunetta in controfacciata Moro compose una Disputa del Santissimo Sacramento, di raffaellesca memoria in cui inserì, secondo una tradizione ancora ottocentesca, le figure dei grandi italiani: Raffaello, Dante, Michelangelo, Manzoni, Leonardo da Vinci.


Nei riquadri verso la navata centrale furono disposti 14 quadri di santi, realizzati grazie al contributo delle famiglie del paese, che poterono così apporre il loro nome sotto il dipinto: nella zona presbiteriale si trovano San Giuseppe (Fratelli Nigris fu Giuseppe) e San Giovanni Battista (De Antoni cav. Umberto), nel transetto San Luca (Fratelli Nigris fu Luca), San Matteo (Benedetti Alfonso, Sante Arnaldo), San Giovanni Evangelista (Cugini Beorchia Nigris), San Marco (Fratelli Cadò fu Fravi e fratelli Cadò di Antonio) e a destra Santa Agnese, Santa Teresina dal Bambin Gesù (Nigris Gisella), Sant'Anna (Società Carnica Autotrasporti), Santa Cecilia (Dicarsi Pia), lungo la navata San Francesco (Dorigo Benedetto), San Giacomo (Frazione di Oltris), San Rocco (Frazione di Voltois) e Santa Caterina da Siena (Donne di Ampezzo).


Nel novembre 1939 i lavori furono inaugurati.


I dipinti, prevalentemente tempere su muro, furono accompagnate da una pesante ridipintura degli interni, peraltro consona al gusto del periodo.
Dopo i danni del terremoto, nel 1988 il pittore Arrigo Poz approntò un progetto di riforma che fu parzialmente attuato: fu tolto il pulpito, rimessa la Via Crucis del Bianchini e si pensò a una decorazione a tinte chiare, che dovesse sottolineare le membrature architettoniche ed evidenziare i dipinti del Moro.

I dipinti di Nicola Grassi

Sul lato sinistro del coro si apre la porta verso la cappella feriale della chiesa, dove dal 1956 sono conservati ben sei quadri di Nicola Grassi (1682-1748) il maggior pittore carnico del Settecento, documentato a Venezia dal 1691, ma legatissimo alla terra d’origine. Non sono opere documentate, ma certamente del Grassi, datate tra il 1725 e il 1730 periodo della sua piena maturità artistica. 

 

Il San Daniele nella fossa dei leoni è il dipinto più complesso: in basso la figura del profeta tra i leoni e in alto l'angelo che, miracolosamente, trasporta Abacuc, prendendolo per i capelli, a portare cibo e acqua a Daniele, dimostrandogli così la benevolenza divina. 

Prima del 1938 era collocato sul lato destro del presbiterio. 

In esso è presente una pennellata dinamica, che si ritrova anche negli altri evangelisti Matteo, Marco e Luca disposti sulla parete a destra entrando.

 

Nicola Grassi è autore anche della Madonna Addolorata, datata al 1728 oppure al 1745: il volto, il torcersi delle mani e la spada che la trafigge mostrano una intonazione pietistica che rimanda ai modelli del Reni e del Dolci, molto apprezzati in regione, originale è anche la contrapposizione cromatica tra azzurro e toni del bruciato. 

Ciò che caratterizza la tela, legandola alla Carnia del Settecento, è la raffigurazione sull'estrema destra di una anziana in preghiera, forse la committente, certamente una abitante del luogo, tenuto conto dell abbigliamento e in particolare del fazzul, una striscia di tela bianca che nel Settecento era molto diffuso come copricapo, sostituendo il più moderno fazzoletto. 

L'Estasi di san Domenico di Giuseppe Angeli

L'altro dipinto qui conservato, l'Estasi di san Domenico, di levatura inferiore alle opere del Grassi, è opera attribuita a Giuseppe Angeli (1712-1798), allievo del Piazzetta, ancora memore di schemi rinascimentali nell'impostazione delle figure. 

Vi sono rappresentati santa Rita inginocchiata di sguincio, san Domenico in estasi con un saio chiaro, mentre in alto si nota la Madonna tra angeli, che gli dona il rosario. 

Prima del 1938 si trovava appeso sopra l'altare maggiore ed è datata al 1758-1760 evidenziandone la derivazione dal san Vincenzo Ferrer del Piazzetta ai Gesuati e facendo notare analogie con le opere dell’Angeli ai Frari e a Monte Ria. 

La sacrestia

Nella sacristia sono conservate alcune tele sulla parete sinistra: la prima, anticamente posta nel presbiterio, raffigura al centro san Giovanni evangelista, tra san Rocco a sinistra e san Sebastiano sulla destra. Opera databile tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento, di un pittore accademico, che seguirebbe schemi di Palma il Giovane. Potrebbe appartenere alla chiesa precedente all’attuale. 

Segue una pala centinata di carattere devozionale, la Madonna Immacolata al centro è sovrastata dalla santissima Trinità, sul lato sinistro si riconoscono san Pietro e san Giovanni Battista, sulla destra san Paolo e san Daniele, mentre al disotto è dipinto San Floriano

 

Entro una fastosa cornice dorata e traforata è, invece, inserito il ritratto di monsignor G. B. Leone Nigris, donato nel 1940 da Giovanni Moro, autore della decorazione del duomo, e che ritrae il presule, nominato nel 1938 vescovo di Filippi e delegato apostolico in Albania. 

 

Tra gli arredi mobili conservati dalla parrocchiale si devono menzionare due piacevolissime insegne processionali o pinelli: furono commissionati dalla Confraternita del SS. Rosario di Ampezzo e si datano al 1796. Il primo presenta, entro una cornice mistilinea con cartigli e racemi dorati, la statuina della Vergine con Bambino al centro tra i santi Domenico e Rita; il secondo ha una elaborata cornice a traforo con volute, rami di rose stilizzate e testine angeliche, simili a quelle degli altari lignei, chiusa in alto da un baldacchino a corona, all' interno si dispongono la Madonna tra un santo vescovo e una santa. Dipinti a vivaci colori, sono probabilmente opera della stessa mano e dimostrano tutta l'abilità degli scultori locali. 

Di difficile datazione e collocazione critica è il grande Crocifisso collocato dietro la sacrestia, anche per le ridipinture che ne impediscono una giusta valutazione. Con la cautela del caso può essere confrontato con il grande Crocifisso trecentesco di Forni di Sopra per la semplificazione del volto privo di orecchie, l'anatomia e il perizoma a pieghe. Potrebbe essere stato appeso sopra l'arco trionfale della chiesa preesistente di santa Maria. 

 

Una curiosità è anche il cero pasquale dipinto a motivi floreali e che reca la data 1848.

Il campanile

Una leggenda afferma che il campanile di Ampezzo fu edificato con i materiali di una antica torre di vedetta: il manufatto aveva una base quadrata, mentre la cella campanaria era coronata da un pinnacolo conico per una altezza totale di circa 29 metri.

Nel 1864 la statica del campanile era precaria, tanto che fu abbassata la cuspide, mentre nel 1881 furono rifatti la cella e il pinnacolo. Le campane furono abbattute dai soldati austroungarici il 22 aprile 1917, nel 1921 queste furono rifuse, ma poiché, ancora una volta, la statica del campanile lasciava a desiderare furono appese all’esterno. 

Dopo il terremoto del 12 maggio 1924, i danni consigliarono di non installare la campane. Le campane, accordate dalla ditta De Poli, furono sistemate nel 1934. 

Dopo il terremoto del 1976, nel 1981 il campanile fu rinforzato e finalmente nel 1984 vi furono issate le campane.

La Maina o chiesa dell’Addolorata

Indicata dagli ampezzani come la Maina e intitolata alla Deposizione della croce, si trova all'ingresso del cimitero alla fine del lungo viale alberato verso Socchieve.

Non ricordata da alcun documento, la Chiesa si può datare al Sei Settecento. 

Ha una pianta singolare formata dall'intersezione di un ottagono con un esagono. Restaurata nel 1854, quando nel 1862 fu benedetto il nuovo cimitero, la Maina divenne camera mortuaria e solo nel 1890 fu restituita al culto diventando la cappella del Cimitero. Nel 1923 fu dotata di due campane.

L'esterno presenta il tipico campaniletto a vela con due bifore e rosone centrale. 

Nel 1964 si abbatté il portico costruito negli anni Venti. 

Danneggiata dal terremoto del 1976 fu restaurata tra il 1980 e il 1985.

Il vano centrale con tetto in travi a vista, è diviso dal presbiterio esagonale, rialzato di due gradini, con un arco trionfale in tufo e coperto con una volta a vela. 

In essa è custodito un altare ligneo in pino con colonne tortili e una parte superiore complessa, memore di quelli del Saidero. È opera di metà Ottocento di Agostino Luca e Vincenzo Nigris, costituita da motivi vegetali, cornici, testine angeliche, telamoni. 

Le statuette degli angeli, di Cristo e di Dio Padre poste sul fastigio sono state riposte in luogo sicuro, dopo un tentativo di furto. 

Ampezzo: Cappella degli Alpini

Sulla strada statale 52, oltrepassato l'incrocio per Sauris sulla destra si trova un'altra piccola cappella di architettura moderna, opera dell'architetto Mario Tedeschi, e dedicata ai Caduti di tutte le guerre. 

Fu costruita dalla sezione dell’Associazione Nazionale Alpini nel 1959 e vi si accede a piedi dalla strada. 

È decorata con un rame sbalzato (1959) raffigurante Cristo che sostiene un caduto, opera dello scultore tolmezzino Giulio Cargnelutti (1912-2007). 

 

Ampezzo è ricchissimo di ancone e cappelle votive, basti pensare a quelle sulla strada che porta a Oltris e soprattutto a Voltois, dove circa a metà strada sorge una grande maina dedicata alla Madonna, luogo non solo di devozione, ma anche di eventuale riparo lungo la strada, che un tempo era percorsa a piedi.

Oltris: chiesa della Santissima Trinità

L'attuale chiesa settecentesca dedicata alla Santissima Trinità, fu preceduta da una antica chiesetta, filiale della matrice di Ampezzo, di origine quattrocentesca, se non trecentesca. Lo schema doveva essere quello tradizionale con porticato d'ingresso e campaniletto a vela.

Nel 1766 la chiesetta fu allungata e restaurata, come si legge nella cornice della trifora lapidea, conservata attualmente in sacrestia. 

La chiesa fu consacrata il 16 agosto 1771 sotto il titolo della Santissima Trinità con una solenne cerimonia. 

Nel 1928 fu sottofondata e fu rifatto il tetto, ripavimentata nel 1959, dopo gli interventi del 1961, è stata totalmente ripristinata nel 1977, mentre nel 1999-2000 è stata risistemata la sacristia.

L'esterno della chiesa è ancora quello settecentesco, in tempi recenti Ermes Burba ha realizzato la porta intagliata e il rilievo ligneo superiore che rappresenta, partendo da sinistra: la vecchia chiesa di Voltois, la chiesa di Oltris, la nuova chiesa post terremoto di Voltois, lo stemma di Ampezzo e la parrocchiale settecentesca del capoluogo.

 

L'interno a navata unica è caratterizzato da una cornice molto modanata e da un arco trionfale che divide l'aula dal presbiterio, coperto come la navata da volte a crociera. 

La decorazione pittorica del soffitto del coro e dell'aula si data al 1767 e fu voluta dal fabbricere Gio. Daniele Burba, come si legge in un cartiglio. 

Nel coro si raffigura La Trinità, e sul soffitto dell'aula l’Assunzione della Vergine e l'Adorazione dei Magi dipinte in modi poveri e sgrammaticati, né il livello si alza con l'Educazione della Vergine, datata 1848, vicino all'ingresso, un soggetto che ritorna anche in una tela conservata in sacrestia. 

L'autore della decorazione potrebbe essere Valentino Zorzini di Artegna. 

Più pregevoli delle figure sono le decorazioni degli anni Quaranta, dipinte da Osvaldo Bullian che eseguì anche quelle, poi cancellate, della parrocchiale. 

Il 25 gennaio 1520 Giacomo di Martino Mioni, fratello di Giovanni Mioni, vi eseguì un altare ligneo, probabilmente un trittico, stimato l'8 febbraio 1521 dal pittore intagliatore Antonio Tironi e da Lorenzo di Bartolomeo dall'Occhio. 

I documenti parlano di un altare della Trinità già nel 1684 e di alcuni santi, che si potrebbero identificare con quelle inserite nell'altare di Sant’Antonio nella parrocchiale, mentre una Madonna con Bambino di ambito tedesco, finì nella collezione del pittore ampezzano Marco Davanzo e risultava inserita, fino ai recenti restauri, nell'altare del Rosario della parrocchiale. 

Il presbiterio è ora dominato dall'altare in marmo bianco, dalla struttura classicheggiante, ma in cui timpani spezzati e cimasa presentano assonanze con quelli lignei della parrocchiale. In base alle visite pastorali, l’altare si può datare con una certa sicurezza tra il 1766 e il 1771. 

Racchiude quello che è considerato il dipinto più antico di Ampezzo, raffigurante La Trinità, simboleggiata da Cristo reggicroce, dalla colomba dello Spirito Santo in alto e da Dio padre tra nubi e cherubini, mentre disinvoltamente si appoggiano sul globo terrestre. Le tipologie assomigliano a quelle di Incoronazione della Vergine per la chiesa della SS. Trinità di Mortegliano, dipinta intorno al 1643, da Gian Pietro Fubiaro, pittore poco noto della metà del Seicento udinese, cui viene assegnata la pala di Oltris. 

 

Alle pareti del presbiterio si possono notare le tele raffiguranti I quattro Evangelisti, palesemente ispirati a quelli dipinti dal Grassi per la parrocchiale. Sono attribuibili a Silvestro Noselli (1696-1777), pittore e ritrattista carnico nativo di Raveo. 

Allo stesso Noselli è attribuito il ritratto di don Leonardo Benedetti della famiglia Sclavina, curato della pieve matrice di Santa Maria  Maggiore di Fagagna dal 1723 al giorno della morte, il 18 settembre 1751. 

Nel presbiterio si conserva anche un piccolo dipinto nella sua cornice originale raffigurante la Madonna con Bambino, opera del 1825 di Francesco da Manzano. Il dipinto è l'unica opera nota dello storico Francesco di Manzano, più noto per i suoi studi storici, cui si dedicò quando dovette abbandonare quelli pittorici all’Accademia di Venezia per una malattia agli occhi. La tela fu donata dallo stesso Manzano a padre Bonaventura Burba, cappuccino e custode di Terra santa, originario di Oltris, che la regalò alla chiesa, insieme alla Croce palestinese (1797) in ebano con intarsi di madreperla con gli strumenti della Passione, disposta a destra dell'arco trionfale. 

A sinistra dello stesso si nota un dipinto con una tenera Madonna con bambino, inserita in una gradevole cornice ottocentesca, che nei fregi a festoni e nella cornice traforata della cimasa curvilinea ricorda la fattura dei mobili neoclassici carnici. 

Le stazioni della Via Crucis, dipinte ad olio su tela con forme di gradevole impostazione neoclassica, furono realizzate nel 1822 e donate da una signora udinese grazie alla intermediazione di padre Bonaventura Burba.

Sulla parete sinistra un Cristo dei dolori, sembra di provenienza nordica.

 

In controfacciata si nota la grande Ultima cena assegnata a Francesco Pellizzotti (1740-1818) di Paularo. La tela di fine Settecento e vicina ai modi del Grassi, di cui Pellizzotti fu allievo, segue i modelli rinascimentali veneti e si nota per il realismo con cui è dipinta la tavola imbandita, trovando confronti con numerosi quadri del Pellizzotti di analogo soggetto a Paularo e Tolmezzo. 

Per quanto riguarda gli arredi dell'aula degno di nota è lo stendardo Sclavina, che su fondo bianco ripropone la Trinità, un gradevole confessionale in legno di noce lavorato in curvo e dal fregio a giorno che conclude la parte superiore, l'acquasantiera a baccellature ricavata da un conglomerato lapideo. 

La chiesa conservava anche, in rinchiusa in una teca di legno, una piccola statua in cera raffigurante Gesù Bambino, del 1790 circa. 

Voltois: chiesa di san Rocco

Anche la chiesa della frazione di Voltois ha origine antica, risalirebbe al 1348, quando per difendersi dalla peste fu eretta una chiesetta votiva a San Rocco, protettore contro la malattia, con pronao e campaniletto a vela. 

Danneggiata dal terremoto del 1700, fu ricostruita nel 1702. Fu ancora un terremoto, stavolta quello del 12 maggio 1924, a “sfasciare” il sacello, che la comunità ricostruì. 

La prima pietra fu posta il 10 maggio 1925, nel 1926 fu completato anche il campanile gettato in cemento armato e piuttosto “tozzo” per paura di altre scosse sismiche che in effetti, già nel 1928, fecero delle lesioni impressionanti. Nel giorno di san Rocco, il 16 agosto 1926, la chiesetta fu inaugurata, sebbene priva dell'altare, che fu acquistato nel novembre 1937 dalla pieve di Ragogna. Già dedicato a santa Agnese, in marmo di Carrara, aveva una semplice alzata decorata da colonnine e un frontone curvilineo. 

Nel maggio 1938 fu benedetto l'altare e la decorazione della chiesa, opera di Aldo Bearzi.

Il terremoto del 1955 danneggiò gli intonaci e ancora una volta il terremoto del 1976 diede il colpo di grazia alla chiesa, decorata nel 1954 da Filippo Bullian, che fu abbattuta nel 1977. 

Stavolta, poiché sorgeva su una faglia gessosa all'inizio del paese, si decise di spostarla su un terreno più sicuro, in località Pocis, in una bella posizione panoramica nella parte alta di Voltois. 

Il 24 maggio 1987 fu benedetta la prima pietra della chiesa progettata da Lorenzo Pevere ed eseguita in cemento armato. Fu inaugurata nell'agosto 1988 da Mons. Muhlbacher della diocesi di Stoccarda. 

L'esterno della pieve di Voltois, rivisita in chiave moderna le antiche chiesette votive con un loggiato e una trifora lapidea in facciata, mentre Ermes Burba intagliò nel 1988 il portone d'ingresso in legno con 6 pannelli raffiguranti gli Evangelisti, l'Agnello pasquale e il Cristo eucaristico. Il campanile invece ha una cuspide piramidale in rame. 

Il vano interno ha una pianta rettangolare con due corpi laterali, di cui quello sinistro è adibito a sacristia. 

Cinque finestre longitudinali rifinite in pietra sono decorate con raffinate vetrate policrome opera di Alessandro Ricardi di Netro (Torino 1924-Strassoldo, 2003), uno dei maggiori artisti in regione di questo particolare genere. Realizzate nel 1988 sulle pareti dell'aula furono donate dai fedeli del paese e creano una illuminazione di grande suggestione. 

Le vetrate, suddivise in una parte superiore e inferiore, raffigurano: 

1) la Parabola del Buon Pastore in basso e quella della semente in alto.

2) Il ricco Epulone in basso e Il Buon Samaritano in alto. 

3) la Parabola del Figliol prodigo in basso e della Dracma perduta in alto. 

Nell'abside le finestre sono dedicati ai santi patroni: sulla destra san Rocco cui il cane reca il pane in basso e la classica iconografia del santo con la piaga della peste in alto; sulla sinistra si nota quella dedicata a san Bartolomeo e al suo martirio per scuoiamento.

 

L'altare centrale con l'Agnus Dei è opera di Giovanni Patat, il bravo scultore in pietra di Artegna, ed è ben inquadrato dalle stazioni della Via Crucis, che si concludono nel Crocifisso di legno intagliato, probabilmente scolpito da Ermes Burba. 

 

Dalla chiesa distrutta rimangono uno stendardo dipinto che raffigura da una lato san Rocco e dall'altro san Bartolomeo, una pila per l'acquasanta in marmo rosso di Carnia nonché la statuina della madonna del Rosario.

Cima Corso, Chiesa di San Antonio

Trecentesca è anche la chiesetta di Sant’Antonio, che si trova alcuni chilometri dopo Ampezzo sulla destra della strada per i Forni Savorgnani, prima della omonima galleria. 

Il 15 febbraio 1366 il patriarca Marquardo autorizzò infatti il pievano di Socchieve ad erigere una cappella in onore di Sant’Antonio e santa Caterina. 

Le offerte alla chiesa dovevano essere però versate alla pieve di Socchieve, testimoniando la dipendenza di Ampezzo da quest'ultima fino alla definitiva separazione nel 1642. Doveva essere poco più di una ancona e le processioni da Socchieve cessarono solo verso il 1840. 

Distrutta nel 1855 per costruire la strada verso i Forni Savorgnani, si iniziò la ricostruzione nel 1857. Il sacello racchiudeva una piccola statua raffigurante Sant’Antonio, ma non era mai stata consacrata. Durante la ritirata del 1917 i soldati tedeschi la danneggiarono gravemente. 

Fu ricostruita quasi radicalmente nell'aprile 1924 secondo il progetto dell'ingegnere Valentino Marioni: il progetto mostra una facciata con campaniletto a vela, un rosone e il portico sopra l'ingresso, l'interno prevedeva un vano centrale quadrato su cui si apriva l'abside semicircolare all'interno e poligonale all'esterno. 

Il 13 giugno 1924 la chiesa fu aperta al culto dopo il restauro del pavimento, dei serramenti e dell'altarino su cui fu posta la statua di Sant’Antonio, decapitata durante la guerra e restaurata. 

Nella Pasqua del 1944 le statue di Sant’Antonio e Santa Anna furono colpite da colpi di mitra, attribuiti ai partigiani, che però si discolparono con un biglietto trovato nella cassetta delle elemosine della chiesetta e tuttora inserito nel Libro storico della parrocchia. 

Il 26 maggio1944 altro episodio bellico riguardò la chiesetta: una mina scoppiò al passaggio della colonna tedesca in marcia verso il Cadore e uccise un capitano, immediata la ritorsione con il sequestro di 13 persone che lavoravano nella zona, di cui due proprio alla chiesa. Gli ampezzani temendo ritorsioni e la distruzione del paese il 28 maggio fecero voto a Sant’Antonio di recarvisi in processione per venti anni, il 13 giugno di ogni anno, con qualunque tempo, cantando le litanie dei santi e di abbellire la chiesuola. Dato che l'attentato avvenne in territorio di Forni di Sotto, come annotano le carte, la rappresaglia dei tedeschi si scatenò sul vicino comune di Forni di Sotto, che fu interamente bruciato. 

Decorata da Osvaldo Bullian, danneggiata dal terremoto del 1976, fu ristrutturata nel 1985 da Marino Bearzi di Oltris, che ne curò le piacevoli decorazioni figurative e floreali. L'interno non ha nulla di significativo: una mensa di marmo con statua di Sant’Antonio e ai lati Sant’Antonio e Santa Caterina.

Cappella dei Cacciatori: incrocio della ss. 52 carnica con la strada del Pura

Continuando lungo la statale verso Forni di Sotto all'altezza della deviazione che porta al passo del Pura, da cui si discende verso Sauris, proprio all’ingresso della Foresta di Ampezzo si trova la cappella dei Cacciatori, dedicata a Sant’Uberto, inaugurata nel 1994. 

Costruita in legno e coperture di rame con campaniletto a vela in località Maifò, ha la parete di fondo decorata da Romano Martinis con la figura del cervo che appare a sant’Uberto. 

Salendo poi al passo del Pura nelle vicinanze del rifugio si trova un'altra cappella votiva, con lo stemma dei cacciatori di Elio Martinis e una Madonna gardenese.