La chiesa di Sant’Antonio abate di Versutta

La chiesetta di Versutta

La chiesa di Sant’Antonio abate di Versutta

Pier Paolo Pasolini e Versutta

Luogo letterario legato all’opera e alla vita di Pier Paolo Pasolini, che nel 1943 vi aveva organizzato una scuola e, due anni dopo, fondato l’Academiuta di lenga furlana, Versutta è anche luogo simbolo della giovinezza friulana dello scrittore, che in Dedica, terzina che fa da proemio alla raccolta Poesie a Casarsa, esprime l’amore per la propria terra condensando nell’immagine della fontana e della purezza dell’acqua il senso di un rapporto quasi mitico. Così il termine aghe spesso ricorrente nei componimenti della raccolta diviene il simbolo della sua adolescenza, mentre l’odore della pioggia risveglia la nostalgia di se stesso giovinetto: O me donzèl, memòrie/ ta l’odor che la plòja/ da la tière ‘a sospire,/ a nas.’A nàs memorie/ di jerbe vive e roja (O me giovinetto, memoria nasce dall’odore che la pioggia ravviva dalla terra. Nasce memoria di roggia ed erba viva).

Tra i luoghi letterari presenti negli scritti del tempo emergono il “Casèl” o Casello che Pasolini ˗ sfollato a Versutta con la madre nel 1944 a causa dei bombardamenti ˗ poteva vedere dal ballatoio della sua casa: piccola costruzione campestre entro un’area di coltivi chiusa da una grande siepe e dominata da due pini neri, sito ove il poeta faceva scuola ad un gruppo di studenti e da cui nelle giornate terse si poteva scorgere «la linea dei monti».

E ancora “Li Fondis”, a quei tempi un grande specchio d’acqua sulle cui rive c’era il “Prȃt del Gialut”, «un bellissimo prato cinto da un filare di viti e da un fosso stracarico di piante». E indimenticabili, lo spazio erboso della chiesetta di Sant’A

Sant’Antonio, la “Beorcja” circondata da gelsi dove su un grosso tronco gli uomini si riposavano nelle sere estive dalle fatiche della giornata e dove «su quel lenzuolo d’erba che anche d’inverno manteneva il suo colore, i ragazzi giocavano le loro irruenti partite di calcio», mentre nella piazzetta la fontana, ora riattata e riqualificata, «mormorava oltre la stradicciola che lo rasentava; a sinistra cominciavano i campi, mentre dal lato della fontana si alzavano le case vecchie e grigie, coi loro lunghi cortili, gli stabbi e le tettoie». Oggi due piramidi di ferro immettono sul viottolo di ciottoli che conduce alla chiesetta e due panche in pietra su una delle quali è inciso il logo dell’Academiuta, sulla base del disegno del pittore di San Vito al Tagliamento Federico de Rocco, ossia un cespo di “ardjlut” (dolcetta) e il motto «O cristian Furlanut plen di veça salut».

 

Approfondimento

Acque e rogge da sempre caratterizzano il territorio casarsese seppure oggi profondamente mutato, inciso dal greto del Tagliamento, connotato dall’affiorare di acque sorgive, da boschetti di farnie e carpini, praterie e coltivi, segnato da siepi e filari di gelsi, di cui si intravvedono ancora discrete estensioni in ambiti protetti quali l’isola naturale della “Pulisuta”. 

Tale paesaggio pervade le liriche pasoliniane e i romanzi anni degli Quaranta ove la campagna, indagata nel vario scorrere delle ore e delle stagioni, offre «i suoi silenziosi miracoli»: il Tagliamento, Il Tilimint imens tra i mons e il seil compare in vari momenti: nelle prime ore del giorno «bianco come un immenso sudario…di un verde cenere così terso e leggero che a due metri di profondità si distinguevano i colori dei sassolini. E in fondo ai greti, ecco, sul verde cenere, il rosa dell’alba». La blança grava del fiume è anche testimone dell’assassinio di Agostino, vescovo di Concordia, per mano di Nicolò di Savorgnan e di alcuni complici, evento luttuoso del 1392 evocato nel componimento poetico Il vescul di Concuardia muart ai XXII di Zuin dal MCCCXCII e apparso sul primo numero de «Il Stroligut» dell’agosto 1945. 


Note storiche su Versutta

Il territorio posto tra il Tagliamento e le sorgenti del fiume Sile appena sotto la linea delle risorgive è stato oggetto già a partire dalla preistoria di intensa frequentazione, testimoniata da un notevole numero di affioramenti nelle aree dei comuni di Casarsa, San Vito al Tagliamento e Sesto al Reghena.

La villa de Versia oggi Versutta (dal latino vertere = voltare/ girare con riferimento alle varie anse della roggia Versa a monte del paese, o dal rio omonimo oggi scomparso che vi confluiva) è citata per la prima volta nella bolla di papa Urbano III del 1186 con la quale il pontefice confermava a Gionata, vescovo di Concordia, le prerogative temporali includendo anche la corte di San Giovanni, soggetta a investitura feudale e le sue pertinenze estese dal piccolo nucleo abitato di Versutta fino a Casarsa.

Versutta, appartenente alla contea di Prodolone, rimase sottoposta al potere civile dei conti Colloredo - Mels insieme a San Floriano fino al 1416, anno in cui venne acquistata da Thano Altan di Salvarolo. La nobile famiglia residente a San Vito ottenne quindi il giuspatronato sulla chiesetta di Sant’Antonio come testimoniano le insegne nobiliari sulle paraste che inquadrano l’affresco di Santa Lucia nel presbiterio.

Tutto il territorio ebbe a patire le scorrerie dei Turchi che invasero le campagne del Friuli una prima volta nel 1477 incendiando e saccheggiando le ville di San Giovanni, San Floriano, Sile e portando con sé molti prigionieri (i superstiti trovarono rifugio nel castello di San Vito) e nuovamente nel 1499; evento di cui rimane memoria nelle cronache e nell’iscrizione, oggi in Santa Croce di Casarsa, ma in origine nella chiesa della Beata Vergine delle Grazie fatta erigere dagli abitanti per lo scampato pericolo al quale Pasolini si ispirò (maggio 1944) per la redazione dell’opera teatrale I Turcs tal Friúl, dramma epico-contadino con allusioni ai drammatici momenti dell’ultimo conflitto mondiale e dell’occupazione nazista. 

Approfondimento

Approfondimento: Le antiche vie di comunicazione. 

Tutta l’area riceve un grande impulso al popolamento durante l’epoca romana in seguito alla fondazione della colonia di Julia Concordia (40-42 a.C.) ed alla conseguente centuriazione.

La zona del Casarsese era percorsa in direzione nord da due importanti assi viari locali diretti al Norico: la cosiddeta “via Giulia” che da Concordia, seguendo il corso del Lemene, toccava San Vito, Prodolone, San Giovanni di Casarsa, Spilimbergo, Lestans, Valeriano attraversando il Tagliamento a Ragogna; la seconda, la Via Augusta o per compendium, che ˗ dopo il guado del Tagliamento a Pieve di Rosa ˗ proseguiva per Codroipo in direzione di Artegna. Il tracciato trasversale, identificato con uno percorsi della Postumia ˗ il decumano massimo, l’asse principale della centuriazione di Concordia diretto al guado del Tagliamento nei pressi di Valvasone ˗ è oggi ancora in parte leggibile in località Roncs “di Sile” in un allineamento di strade campestri e fossi e nei comuni di Fiume Veneto e Azzano Decimo.


Approfondimento

Approfondimento: Versutta nel Medioevo. 

Nel corso del Medioevo la zona è suddivisa tra l’area di pertinenza dei vescovi di Concordia a sud-est e quella sottoposta all’abbazia di Sesto, a nord-ovest. La donazione nel 996 da parte dell’imperatore Ottone III al vescovo di Concordia Benno dei beni demaniali della grande selva che si estendeva dal Livenza al Tagliamento (compresi tra le sorgenti del Lemene e il suo decorso al mare e del fiume Fiume con lo sbocco al mare dopo la confluenza nel Meduna e poi nel Livenza, le corti, i castelli, i mulini, i diritti di caccia e di pesca) aveva incluso San Giovanni e Versutta. 



La chiesa di Sant'Antonio abate

Delle chiesette campestri comprese nel territorio e dipendenti dalla parrocchia di San Giovanni, Sant’Antonio abate di Versutta è senza dubbio la più antica come attestano le fondazioni del primitivo oratorio risalenti al X-XI secolo.

 

I lavori effettuati nel 1991 hanno messo in luce i resti di un edificio ad aula rettangolare di dimensioni ridotte rispetto all’attuale e dotato di abside semicircolare; situazione modificata nel corso del XIV secolo con l’ampliamento della fiancata a nord e nel secolo XV con l’aggiunta del nuovo presbiterio ad abside poligonale. 

Alla metà del Trecento ˗ periodo al quale vanno datati gli affreschi dell’aula e quelli esterni della parete sud ˗ si fa risalire l’impianto costruttivo. L’esterno con tetto a capanna sormontato da bifora campanaria dovuta a rimaneggiamenti posteriori, presenta in facciata e lungo i fianchi un motivo a dentelli in cotto e ad archetti lungo il presbiterio (prima metà del XV secolo).

Sopra la porta centrale un’edicola timpanata ospita nella nicchia la statua del titolare Sant’Antonio abate, opera dello scultore ticinese Carlo da Carona (1480 ca.-1545) intorno al quarto decennio del Quattrocento, realizzata secondo i tradizionali canoni nello spirito di una austera religiosità.

 

Gli affreschi esterni

Di particolare interesse il ciclo pittorico (secoli XIV-XV) che occupa la parete esterna a mezzogiorno, le due interne e gran parte della zona presbiteriale (volta a crociera, sottarchi, abside e lunette).

All’esterno, gli affreschi trecenteschi presentano la Madonna in trono che allatta il Bambino, San Cristoforo e un Sant’Antonio abate giusto leggibile. Poco significativi altri piccoli brani emersi a seguito del restauro (mano alzata e aureola di un santo, ricche vesti di un personaggio a mani giunte, forse un donatore) che con altri lacerti attestano di una più estesa decorazione.

Sant'Antonio abate

La figura dell’eremita Antonio, oggetto di grande venerazione in Oriente sin dal IV secolo d.C. è conosciuta attraverso la biografia tracciata dal vescovo di Alessandria, Atanasio suo contemporaneo e testimone diretto della vicenda terrena del santo. Spogliatosi dei beni materiali, vestito di una pelle di capra, Antonio si ritirò a vivere nel deserto in perenne lotta contro le tentazioni rappresentate dai demoni, ma non per questo estraneo alla vita della Chiesa, testimoniando durante la persecuzione di Massimino nel 311 la vicinanza ai martiri per la fede. L’ enorme diffusione del culto in Occidente avvenne in seguito al rinvenimento delle reliquie due secoli dopo la morte e al loro trasporto in Francia nel X secolo accompagnato da miracolose guarigioni da una grave epidemia di herpes zoster. La divulgazione della vicenda terrena fatta da Jacopo da Varagine nella Legenda Aurea contribuì alla fortuna del santo e della sua iconografia. L’origine del maialino che affianca Antonio risale ad un privilegio concesso all’ Ordine degli Antoniani di Vienne del 1095 in base al quale i monaci potevano allevare porci il cui lardo serviva per trattare il cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio” come volgarmente definito l’herpes zoster. La tradizione del “porco di Sant’Antonio”, il maialino girovago allevato a spese della comunità e venduto devolvendo il ricavato ai poveri, si estese anche nelle campagne friulane dove il santo abate è invocato contro epidemie, incendi e a protezione degli animali domestici. 

Nella prima metà del XVIII secolo si realizzano vari interventi, che hanno interessato le strutture, le campane, l’otturazione delle finestre (eccetto quella del coro), l’apertura di due finestrelle ai lati della porta maggiore, la sistemazione della parete sovrastante la porta piccola, il restauro dell’antepedio dell’altare maggiore e l’acquisto di un Crocifisso in legno a Udine (1629). In ottemperanza ai precetti vennero anche imbiancate le pareti dell’aula ricoprendo sotto uno strato di calce gli affreschi trecenteschi, messi in luce solo agli inizi dello scorso secolo. Agli inizi del Novecento si procedette al consolidamento delle strutture della volta e all’integrazione delle parti pittoriche.

La pala della Vergine

Alla seconda metà del XVIII secolo va collocata la pala raffigurante La Vergine in gloria e Sant’Antonio abate in preghiera di maestro friulano della seconda metà del Settecento. Una densa nuvolaglia su cui è assisa la Vergine circondata da angeli suddivide la composizione che vede nella parte inferiore, contro lo sfondo di un’aspra rupe il santo eremita inginocchiato con a lato i tradizionali attributi, aggiunti di un teschio e della clessidra alludenti alla caducità della vita terrena.

 

 

Gli affreschi medievali

All’interno, una serie di riquadri occupa la fiancata meridionale a partire dall’ingresso.

La prima scena ritrae l’Ascensione con il Salvatore assiso entro mandorla e il palmo delle mani aperto mentre alla base si collocano gli Apostoli guidati dalla Vergine e da San Pietro: raffigurazione che associa il tema del Giudizio suggerito dalla Majestas Domini e dalle architetture dello sfondo allusive alla Gerusalemme celeste. Analogo soggetto si rinviene ˗ ad opera dello stesso frescante ˗ nella chiesetta di Santa Maria dei Battuti di Valeriano, dove Cristo in mandorla è affiancato dagli Apostoli.

Segue il Trionfo di Sant’Orsola con la martire circondata dalle compagne, scena finale e culminante delle Storie.

 

Approfondimento

Le raffigurazioni delle Storie di sant’Orsola derivano dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (Varazze), composta tra il 1260-1298, il tema trova ampio sviluppo negli affreschi di Tommaso da Modena a Treviso, in quelli del maestro di Vigo di Cadore, del Carpaccio a Venezia e discreto seguito anche in Friuli. Vi si narra la vicenda della bretone Orsola che, promessa sposa al figlio del re d’Inghilterra, pone come condizione un pellegrinaggio a Roma, durante il quale il giovane riceve il battesimo; al gruppo si uniscono undicimila vergini, lo stesso papa Ciriaco, vescovi e personaggi di rango. Nel viaggio di ritorno presso le mura di Colonia la folta comitiva viene assalita dagli Unni e Orsola, resistendo alle richieste di matrimonio del re unno, verrà trucidata insieme alle undicimila vergini da lei battezzate. 

 

L’apertura di una porta laterale ha distrutto la figura di Orsola (di cui rimane il vessillo svolazzante, un frammento del nimbo e parte del capo) e il corteo delle vergini sulla sinistra, mentre ben leggibili sono le sante del corteo sulla destra le quali mostrano precisi riferimenti alle opere trevigiane di analogo soggetto di Tommaso da Modena.

Il successivo riquadro ospita al centro la figura di Santa Caterina d’Alessandria con la ruota strumento di tortura, affiancata da una Santa martire coronata reggente un libro (Margherita?) e da San Nicolò vescovo. Fanno da cornice una sontuosa fascia con motivi geometrici nella parte superiore ed una più semplice nella sottostante ove si accampano le figurine dei donatori inginocchiati (un nobile riccamente abbigliato ed un soldato).

 

A seguire, il profeta Daniele dal volto giovanile, identificato dal copricapo e dal cartiglio (scritto alla rovescia), spesso ricorrente nel programma iconografico degli edifici di culto friulani (secoli XIV-XV) in riproposta della sua dimensione profetica (specie quando in affianco o in affronto al Battista), forse, non senza rapporto con attese millenaristiche. Nonostante le ridipinture, la figura esile ed allungata è partecipe del gusto “cortese” di inizi ‘Quattrocento.

 

Sulla parete opposta, a seguito di restauri è apparso un grande affresco alquanto lacunoso raffigurante San Giorgio che libera la principessa la cui datazione pare risalire al primo Quattrocento.

Approfondimento

Già conosciuti all’inizio del secolo scorso (1908), i riquadri delle Vergini e degli Apostoli giusto allora messi in luce, sono stati successivamente oggetto di indagini stilistiche da parte della critica e inseriti all’interno della cultura figurativa trecentesca che accoglie spunti iconografici e stilistici da importanti personalità pittoriche quali Vitale da Bologna, presente a Udine alla metà del secolo, e Tommaso da Modena, attivo nella Marca Trevigiana. In particolare in Sant’Antonio abate intorno alla metà del XIV secolo (1355-1360) avrebbe operato una bottega di frescanti sotto la guida del “Maestro di Versutta” che nella Gloria di Sant’Orsola e nelle figure dei Santi si dimostra aggiornato sulla lezione di Tommaso da Modena di cui ripropone il linguaggio narrativo in modo personale, mentre il cosiddetto “Aiuto” responsabile dell’ Ascensione, della Vergine con il Bambino, San Cristoforo e del Sant’Antonio abate della parete esterna, mostra di declinare in termini impoveriti il lessico vitalesco del duomo di Spilimbergo.

Approfondimento

«La chiesetta di Viluta [Versutta] era molto antica, anche i banchi più recenti dovevano essere almeno del ‘700; la pila dell’acqua santa, che sorgeva isolata sul pavimento consunto dai secoli, era invece vecchia come la chiesa, cioè di almeno seicento anni. Degli affreschi, giotteschi e tolmezzini, guardavano coi loro occhi di tedeschi la povera gente di Viluta che cantava le litanie dietro la voce lamentosa di Stefano. Lo scarlatto tramonto invernale riverberava dentro la chiesetta, tra le fiammelle delle candele. Poi i ragazzi, senza aspettare che si esaurisse il minuto di raccoglimento finale, si mettevano a tirare a tutta forza la corda della campanella che pendeva davanti alla porta. E la campanella assordava l’aria scura ed avvampante, più acuta del gelo». (Pier Paolo Pasolini, Amado mio). 

Così nell’evocare momenti di intensa religiosità della piccola comunità lo scrittore affida al ricordo le brevi notazioni sugli affreschi che egli, sotto la guida del pittore Federico De Rocco e la collaborazione degli studenti, contribuì in parte a mettere in luce anche se con metodi artigianali. 


 


Le decorazioni del Quattrocento

Un’ampia decorazione ad affresco della prima metà del Quattrocento interessa la zona presbiteriale (sottarchi, volta a crociera, parete absidale, lunette settentrionale e meridionale).

L’intradosso dell’arcosanto ospita busti di Apostoli e Santi (riconoscibili San Giovanni, San Pietro, San Paolo e San Gregorio papa) entro cornici mistilinee potenziate e integrate con campiture a tralci vegetali. Identici decori contornano le Sante del secondo sottarco che introduce alla parte absidale, ove sono collocate le Sante Dorotea, Caterina di Alessandria, Barbara e Margherita con i rispettivi attributi e simboli del martirio (cestino di fiori, ruota, torre, drago).

 

 

Nelle vele della volta suddivisa da costoloni decorati a motivi vegetali e losanghe, diafane figure angeliche emergenti dai peducci delle vele sorreggono formelle trilobate dai lobi espansi entro le quali sono campiti gli Evangelisti seduti in cattedra, intenti alla scrittura dei Vangeli.

Sulla parete absidale l’Incoronazione della Vergine, mostra Cristo nell’atto di porre la corona sul capo di Maria, mentre alle spalle tre figure angeliche biancovestite dalle ali iridate in delicato contrappunto cromatico sostengono un lungo drappo verde a guisa di baldacchino. Soggetto più volte presente nel territorio concordiese (abbazia di Sesto al Reghena, duomo di Spilimbergo, Madonna della Tavella a Fiume Veneto, San Floriano a Polcenigo), l’Incoronazione di Versutta si impone per eleganza e finezza cromatica.

 

Nelle vele della cuba ai lati dell’Incoronazione, entro tondi appaiono due eleganti Angeli intenti a suonare il liuto e il violino; nel retrocoro, altri due, ritratti di profilo, dalle forme allungate e dalla lunga veste bianca, impugnano una tromba. La presenza di strumenti musicali è indice della diffusione della cultura musicale nel XV secolo presso le classi colte e nello specifico di quella sanvitese.

Il partito decorativo del presbiterio prosegue sulle lunette cui sono affidati alcuni momenti della vita del santo titolare. Nella lunetta meridionale, nonostante l’apertura di una finestra, è ben leggibile la suggestiva e alquanto surreale scena, ambientata contro uno sfondo roccioso, del Trasporto del corpo di Sant’Antonio abate, il quale più che sostenuto dal confratello, pare levitare nell’aria mentre due monaci ne attendono l’arrivo sulla porta del convento.

Gli affreschi della parete settentrionale del coro propongono il soggetto delle Tentazioni di sant’ Antonio nettamente percepibile nonostante le lacune. Seguono altri episodi frammentari: un Sant’Antonio benedicente in vesti vescovili affiancato da monaci in preghiera; l’interno di un edificio sacro ad archeggiature con monaci che assistono ad un evento e, sempre entro quinte architettoniche, un giovane orante in primo piano con altri personaggi sullo sfondo.

 

Approfondimento

La critica più recente individua negli affreschi di Versutta echi della pittura toscana di Masolino da Panicale il quale avrebbe soggiornato in Friuli nel corso di un viaggio in Ungheria nel 1425 a seguito del condottiero e mecenate Pippo Spano, ma anche riflessi dell’arte di Antonio Vivarini. 

Indirizzi avvertibili nelle figure angeliche allungate e di notevole eleganza formale, nelle velature chiare del colore e nella tipologia dei volti delle sante dei sottarchi. 


Approfondimento

Il frescante attivo a Versutta era dotato di notevole personalità, la cui formazione avviene nell’ambito della pittura tardogotica in stretto collegamento con le maestranze che tra il terzo e quarto decennio del XV secolo attendevano al ciclo di palazzo Altan a San Vito al Tagliamento su commissione dell’insigne prelato e diplomatico sanvitese Antonio Altan II. Incaricato di varie missioni presso importanti corti europee e in stretti rapporti con il cardinale Giordano Orsini durante il suo soggiorno romano (1431-1434) presso papa Eugenio IV, l’Altan era a conoscenza dell’impresa pittorica di Masolino nella residenza del porporato romano e quindi in grado e di proporre le novità artistiche provenienti dall’Italia centrale. 

Thano [Altan] podestà di San Vito nel 1415 aveva acquistato l’anno seguente la villa di Versutta. Pur nell’assenza di documenti si può fondatamente supporre che la committenza degli affreschi databili intorno agli anni Trenta del XV secolo spetti ai nobili Altan; situazione ribadita nei primi decenni del Cinquecento dall’insegna nobiliare (rosa vermiglia nel campo bianco superiore e teste di leone poste in faccia o “in maestà” nell’ inferiore secondo concessione del 1434 del cardinale e principe Giordano Orsini ad Antonio Altan II) sulle candelabre che inquadrano la Santa Lucia della parete sud del presbiterio. 



L'affresco della Madonna con San Rocco

Contigua a santa Lucia, dall’ aspetto longilineo e dall’insistito grafismo, è una Madonna con Bambino e San Rocco, composizione ingenua, dall’impianto prospettico incerto e dalle accentuate tonalità rossicce che avvicinano l’ignoto frescante ai modi di Pietro da San Vito di cui ripete il formulario (Madonna con il Bambino e San Rocco di Provesano).

 

Il Sant'Antonio abate

Pesantemente ridipinto sulla parete destra di imposta dell’arcosanto è un Sant’Antonio abate in cattedra che ha ai piedi alcuni donatori in preghiera, forse dovuto al pittore-decoratore casarsese Giuseppe Peloi.

Commissionato nel 1945 dagli abitanti del borgo al Peloj, è infine il San Liberale della parete opposta, ritratto con vessillo ed elmo ai piedi entro un’edicola che ricalca il trono di Sant’Antonio, condotto come il precedente in termini corsivi criticati da Pasolini.