La Chiesa di San Giacomo in Mercatonuovo

La Chiesa di San Giacomo a Udine

La Chiesa di San Giacomo in Mercatonuovo

Le origini

Nel cuore di Udine, compresa fra la prima e la seconda cerchia delle antiche mura, si apre piazza San Giacomo nel “Mercatonuovo” o piazza delle Erbe, come a lungo la chiamarono gli udinesi, oggi piazza Matteotti. Sobria ed elegante, percorsa su tre lati dai portici e limitata dalle restaurate case alte e strette, che ancora conservano sulla fronte le tracce degli affreschi geometrici del Quattrocento e del primo Cinquecento, la piazza si conclude con l’elegante facciata della chiesa di San Giacomo.

Le origini della chiesa sono antiche e legate alla presenza in Udine della Confraternita dei Pellicciai.

 

Approfondimento

Nel tardo Medio Evo le “confraternite”, le “fraglie”, si diffusero capillarmente a Udine ed in breve acquisirono notevole importanza. Formate da laici appartenenti tutti alla medesima “arte” esse erano ordinate da statuti che regolavano non tanto le norme lavorative, come in altre città comunali italiane, quanto piuttosto la solidarietà degli iscritti. Il loro carattere prevalentemente religioso faceva dunque delle fraterne un organismo devoto a un determinato santo, oppure legato alla chiesa dove la stessa confraternita aveva stabilito la propria sede. La Confraternita dei Pellicciai inizialmente si riuniva nella chiesa di San Pietro martire, in cui vi era una cappella dedicata a san Giacomo.

Nel 1708 la Confraternita fu unita a quella del Corpo di Cristo, già presente in chiesa dal 1605, costituendo la Comunità parrocchiale di San Giacomo. 

Alla fine del Trecento la Fraterna risultava così fiorente da consentirle di costruire una nuova chiesa “sotto il titolo di S. Jacopo” in Mercatonuovo, nel luogo chiamato “Campo di giustizia” in quanto sede delle esecuzioni dei malfattori. Il suo documento di fondazione è del 3 maggio 1401. Questa primitiva chiesa, non di notevoli dimensioni, era preceduta da un portico con altare.

Dalla sua costruzione la Confraternita dei Pellicciai si occupò di curare ed abbellire la chiesa: già nel 1461 diede l’incarico al maestro intagliatore e indoratore Stefano di Settecastelli di Transilvania, abitante a Udine, di scolpire un’Ancona lignea a due ordini sovrapposti, ricca di sette statue di santi.

Il programma di risanamento e di riqualificazione urbanistica del Mercatonuovo, attuato dal Comune cittadino, non poteva lasciare indifferente la ricca Confraternita dei Pellicciai, che nel 1521 decise di partecipare a tale rinnovamento abbattendo il portico con poggiolo davanti alla chiesa di San Giacomo per edificare una nuova facciata con torre dell’orologio, incarico che fu affidato quattro anni più tardi al luganese Bernardino Bortolini da Morcote.

                                    

Approfondimento

Tra la fine del sec. XV e l’inizio del secolo successivo la città di Udine, in piena espansione e sempre più centro principale del Friuli, fu oggetto di diversi lavori di urbanistica legati alla sistemazione di vie e piazze che furono così rettificate, ampliate e lastricate.

Piazza Mercatonuovo si trovò al centro di questi interventi di sistemazione e abbellimento, in quanto costituiva una delle zone della città più urbanizzate, con una popolazione dedita soprattutto ad attività commerciali: ben 102 unità “lavoranti”, cioè artigiani, e 113 “botteghieri”.

Il pozzo

Nel 1487 fu costruito, per volontà del Luogotenente veneto Tommaso Lippomano il pozzo che tutt’oggi ammiriamo anche per l’insolita forma: sulla cisterna ottagona s’impongono, infatti, quattro colonne che sostengono il coperchio sopra cui s’innalza una colonna isolata, mentre sul basamento si vede la scritta C.VT.F.F. (Civitas Utinensis Fieri Fecit).

L’opera fu eseguita probabilmente da maestranze lombarde, in quei tempi presenti in città a causa della saturazione del mercato veneziano. Ad uno di questi artisti è da attribuire anche la Colonna sormontata dalla coeva Vergine col Bambino, collocata sull’area sopraelevata. Curiosi e di qualche interesse sono i ferri che sporgono da essa: un tempo, secondo le antiche cronache, reggevano una campana i cui rintocchi si diffondevano alle ore nove per indicare la fine del “mercato libero”: dopo quell’ora, infatti, la compravendita era permessa “solo tramite i venditori di piazza”.

 

Approfondimento

Un documento dell’11 giugno 1542 certifica la commissione da parte del Comune a Giovanni da Udine (1487-1561) per l’esecuzione della Fontana di Piazza, che l’artista eseguì, rivisitando e semplificando nelle forme, i modelli da lui visti durante i lunghi soggiorni romani. La fontana fu originariamente collocata all’angolo della piazza (verso via Canciani), in previsione, forse, di collocarne una gemella all’angolo opposto. Classica nelle forme la fontana è composta da una semplice vasca circolare poggiante su una triplice gradinata: all’interno un elegante gambo sostiene il catino sagomato con protomi leonine da cui sgorga l’acqua.

La riforma settecentesca

Dopo l’intervento cinquecentesco la chiesa, sia all’esterno che all’interno, rimase pressoché inalterata fino al 1710 quando fu affidato al capomastro Luca Andrioli il compito di riformare l’interno dell’edificio trasformandolo da gotico in barocco. Ancora una volta, dunque, la chiesa di San Giacomo si propone per un rinnovo conforme al gusto dell’epoca, condividendo con la cattedrale cittadina la medesima sorte di trasformazione e l’impiego delle stesse maestranze.

Dal 1667 in San Giacomo, oltre alla Confraternita dei Pellicciai, vi era anche la Pia Opera del Suffragio o Congregazione delle Anime Purganti, che assunse una fondamentale importanza nella riforma settecentesca della chiesa. Vi appartenevano i capi delle famiglie più importanti a facoltose, che si prodigarono per l’edificazione dei loro altari all’interno dell’edificio. Nel primo decennio del Settecento questa Congregazione fece realizzare, accanto all’altare maggiore, due altari posti uno dinnanzi all’altro e dedicati l’uno a San Fabio, l’altro alle Anime purganti.

Solo successivamente, nel 1724, furono eretti gli altri due altari, i primi entrando in chiesa.

In quel periodo furono anche eseguiti gli affreschi del soffitto ad opera del pittore udinese Pietro Venier, il quale firmò per la stessa chiesa anche alcune pale d’altare.

Sebbene la Pia Opera del Suffragio avesse nella chiesa ben due altari per la celebrazione delle messe in suffragio dei defunti, appena le fu possibile decise di erigere una nuova cappella da intitolare alla Madonna Santissima del Suffragio.

La Congregazione continuò, lungo tutto l’arco dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento, ad abbellire la cappella, per esempio con gli affreschi della volta, ma questi lavori non alterarono più l’aspetto dato alla chiesa di San Giacomo e all’adiacente cappella dalla riforma settecentesca.

 

La cappella della Madonna Santissima del Suffragio

 

La chiesa di San Giacomo era priva di adeguati spazi per il grande numero di sacerdoti che lì officiavano: la sacrestia era angusta e mancava un locale appropriato per le adunanze del Magnifico Consiglio Segreto. Sulla piazza del Mercatonuovo “dalla parte di tramontana” c’erano a quell’epoca due casette adibite a “bettola” e “osteria”, e un vicoletto largo “un piede ed oncie 10” di proprietà della Fraterna di San Giacomo: nel 1743 venne proposto l’acquisto di questi siti così da potersi espandere lungo quel lato.

Nel 1744 fu affidata l’esecuzione dell’opera a Francesco Andrioli e al figlio Luca junior, appartenenti alla famiglia di quel “mastro” Luca che aveva eseguito i lavori in San Giacomo nel 1710. La fabbrica della nuova cappella e dei luoghi ad essa annessi iniziò nel 1745 e si concluse nel 1748. Il 5 agosto 1748 la nuova cappella fu benedetta dal Patriarca.

La facciata

La facciata della chiesa di San Giacomo è da considerarsi uno degli esempi più belli di architettura rinascimentale esistente a Udine e, pur nelle sue modeste proporzioni, essa s’impone per eleganza e originalità delle linee.

Nell’ambito del rinnovo urbanistico promosso nel secondo decennio del Cinquecento, la Fraterna dei Pellicciai, demolito il portico (nel 1521) che fronteggiava l’edificio sacro, commissionò nel 1525 all’architetto Bernardino Bortolini da Morcote il progetto per la nuova facciata comprendente la torre con l’orologio.

Quella di Bernardino da Morcote è una facciata in pietra bianca d’Istria e organizzata su due piani divisi da un aggettato marcapiano. Nella campata inferiore, scandita da paraste e limitata da colonne addossate, si apre al centro l’ampio portale affiancato da finestre timpanate. Nel registro superiore al centro e tra due finestre archivoltate, sporge un elegante poggiolo sostenuto da tre mensole e chiuso da una esile balaustra in pietra.

La parte superiore della facciata è costituita da una slanciata torre con grande orologio a quadrante circolare inscritto in una cornice quadrata. La torre si conclude con la cella campanaria aperta da una loggetta a due arcate e si raccorda alla struttura sottostante con quattro ampie volute legate da due conchiglioni che, oltre a costituire un elemento originale di grande raffinatezza decorativa, alludono anche all’attributo iconografico di San Giacomo, la conchiglia appunto, emblema anche dei Pellicciai.

Nel 1533 Bernardino da Morcote sospese la sua attività nella chiesa di San Giacomo. La Confraternita dei Pelliciai incaricò quindi il lapicida Benedetto figlio di Antonio degli Asturi, proveniente da Dossena nel Bergamasco ma abitante a Cividale, di condurre a termine gli ultimi lavori che riguardavano in particolare modo l’orologio.

Nel 1535 Bernardino riprese in mano le redini della fabbrica di San Giacomo ultimando l’elegante facciata. L’orologio, la cui parte tecnica si deve a Paolo di Villacco, fu inaugurato nel marzo del 1542, primo orologio pubblico di Udine: di piazza Contarena fu infatti collocato solo nel 1546.

 

Approfondimento

Figlio di “Maestro Martino”, lapicida attivo nel Ticinese, Bernardino da Morcote firmò in città due capolavori dell’architettura dell’epoca: la facciata della chiesa di San Giacomo e la Loggia di San Giovanni in piazza Contarena (oggi piazza Libertà). In queste opere egli si rivela intelligente interprete dei canoni rinascimentali propri dei lapicidi lombardi, mediati però, per il raffinato gusto decorativo, da Venezia dove forse Bernardino sostò prima di giungere a Udine.
L’attività di questo artista, documentata dal 1525 al 1542 anno della sua morte, si identifica solamente con i due esempi citati, ma non va esclusa l’ipotesi, supportata da alcuni documenti, che egli abbia eseguito altre opere in Friuli oggi purtroppo perdute. La commessa per San Giacomo comprendeva anche la sorveglianza della fabbrica e i viaggi in Istria per la scelta dei blocchi di pietra, compiti assolti da Bernardino da Morcote per tre ducati al mese.

La statua della Vergine

Sul balcone è collocato un piccolo altare e all’interno della nicchia è posta la statua della Vergine col Bambino un tempo posta all’interno della chiesa. È opera ormai concordemente attribuita a Giorgio da Carona lapicida dei laghi lombardi, giunto in Friuli da Venezia, il quale nel 1475, oltre a questa scultura, eseguì per la chiesa di San Giacomo anche figure di Apostoli in pietra, andate perdute. La statua che si può oggi ammirare sulla facciata dimostra una certa capacità compositiva non priva di imperfezioni, ma caricata di dolcezza nei volti e di grazia nelle forme.

 

La facciata della cappella delle Anime Purganti

A due secoli dalla conclusione della facciata della chiesa di San Giacomo, in occasione della riforma settecentesca dell’interno, tra il 1745 e il 1748 fu realizzata la cappella delle Anime Purganti la cui facciata fu commissionata all’udinese Simone Pariotti. L’opera, sobria e per questo lontana dal gusto propriamente barocco, doveva armonizzarsi e quasi fondersi con le classiche linee cinquecentesche della facciata di San Giacomo, di cui diventava naturale compimento.

La fronte della cappella si presenta articolata su due ordini sovrapposti, divisi da un’alta trabeazione in corrispondenza dei marcapiani della facciata di Bernardino, di cui segue i ritmi anche per la presenza delle lesene e delle finestre sormontate da timpani al primo piano e da archivolti al secondo: al centro, entro una nicchia limitata da paraste, è collocata la statua lapidea che raffigura la Vergine col Bambino.

Una elegante balaustra conclude l’edificio su cui s’impostano quattro statue: la Fede, con la grande croce, la Speranza e, ai lati, due Angeli. Sono opere documentate dello scultore veneziano Gaetano Susali (1696-1779).

L'interno

L’interno della chiesa si presenta a navata unica con coro: le pareti sono scandite da eleganti paraste scanalate che si concludono con capitelli corinzi, mentre ampi archi contengono i quattro grandi altari leggermente rientranti, quasi a suggerire l’idea di cappella.

Sulla parete di destra due arcate si aprono verso la cappella delle Anime ampliando lo spazio, mentre la terza arcata dà accesso al corridoio della sacrestia.

La disposizione attuale rispecchia esattamente quanto proposto con la riforma del Settecento (1710), su progetto di Luca Andrioli, proveniente da Vigo dei Grigioni, e al figlio Francesco. L’opera trasformò l’interno della chiesa da gotico in barocco, e venne portata a compimento in breve tempo.

 

Approfondimento

Nelle altre opere udinesi firmate da Luca Andrioli, come il Palazzo Patriarcale e la cattedrale, egli fu guidato da Domenico Rossi, architetto preferito dai committenti Manin e Delfino per quelle fabbriche. In San Giacomo l’Andrioli si trovò a lavorare in perfetta autonomia, dimostrando tuttavia nell’impianto classico dell’interno, nell’armonia dei volumi e nell’eleganza decorativa un rimando ai modelli tardo cinquecenteschi veneziani mediati dal Rossi e da Baldassarre Longhena.

 

L'affresco del soffitto

Concluse le opere murarie nel 1711 si procedette al compimento della parte decorativa assegnando l’esecuzione dell’affresco del soffitto a Pietro Venier (1673-1737), pittore nato e vissuto a Udine e della cui formazione artistica ancora poco si conosce. Attivo in molte chiese udinesi e friulane egli fu particolarmente presente proprio nella chiesa di San Giacomo, sia come frescante, sia come autore di dipinti su tela.

Pietro Venier dipinse sul soffitto le Storie della vita di San Giacomo: nel primo comparto della volta, entro una cornice mistilinea, è raffigurata l’Apparizione della Vergine a San Giacomo, in cui il santo è rappresentato in ginocchio con ai piedi il bastone e il copricapo da pellegrino, secondo l’iconografia tradizionale.

 

 

Nel comparto centrale è narrata La carità di San Giacomo e nel terzo La trasfigurazione, a cui assiste lo stesso santo titolare.

 

Nel lunettone in controfacciata, sopra la porta d’ingresso, è raffigurata la Madonna del suffragio con i Santi Giacomo e Fabio, ritratti nell’atto di intercedere per le anime purganti soccorse da Angeli in volo. La presenza di una simile iconografia è giustificata dalla commissione degli stessi affreschi, che furono assegnati e pagati proprio dalla Confraternita del Suffragio.

Gli altari

Nel 1712 venne affidato all’architetto, o meglio “tagliapietre” come spesso si legge nei documenti d’epoca, Antonio Gratij veneziano, ma in quel periodo abitante a Udine in quanto impegnato in molti cantieri in città, il compito di erigere gli altari della chiesa. Una operazione, questa, che si concluse nel 1714 per essere poi ripresa nel 1722 quando al Gratij fu data la funzione di supervisore, lasciando la realizzazione del progetto all’udinese Simone Pariotti qui attivo, come in cattedrale, assieme al figlio Francesco col quale firma i primi due altari entrando in chiesa.

L'altare di Santa Apollonia

Quello a destra è l’Altare di Santa Apollonia, opera di Simone Pariotti: sopra la mensa, con paliotto intarsiato a marmi policromi, s’impongono due colonne su cui poggia il timpano abbellito da tre angioletti. Sulla chiave di volta dell’arco della cornice marmorea è posto lo stemma della famiglia udinese Maioli. Su di esso è collocata la tela, proveniente da un precedente altare, eseguita intorno al 1650, che raffigura La Vergine col Bambino e Santi.

 

i piedi della Madonna si impone la bella figura di sant’Apollonia, titolare dell’altare, che regge in mano secondo l’iconografia tradizionale le tenaglie, simbolo del suo martirio. A sinistra è raffigurata sant’Agata che tiene il piatto con i seni che le erano stati tagliati prima della morte.

 

Belle le due figure maschili dei santi Gervasio e Protasio il cui culto in città è molto antico. In particolare il giovane Protasio, inginocchiato, sembra con le mani tese fare tra tramite tra i fedeli e la Vergine. È opera dell’udinese Fulvio Griffoni (1589-1664), seguace dei modi di Palma il Giovane si esprime con un linguaggio aggraziato e con una tecnica in grado di donare dolcezza e morbidezza alle figure.

 

L'altare di Sant'Antonio abate

Il primo altare a sinistra dedicato a Sant’Antonio abate fu eretto nel 1724 ad opera di Simone Pariotti, che ripropose le forme classiche e sobrie utilizzate nell’altare di Santa Apollonia, creando così due complessi architettonici quasi identici.

Nel 1725 vi fu collocata la tela raffigurante La Madonna del Carmine fra i Santi Antonio abate, Antonio da Padova, Lorenzo e Giovanni Battista. Il dipinto, per lungo tempo attribuito erroneamente al pittore Giacomo Carneo, è in realtà di Pietro Venier, del 1725.

 

Anteriori di circa dieci anni agli altari finora citati sono quelli che li seguono. Posizionati accanto al presbiterio essi furono affidati al Gratij subito dopo la conclusione della riforma architettonica, tra il 1712 e il 1714 per una spesa di L. 7125:24, ripartita tra il tagliapietre (L. 6200) e le maestranze minori (L. 975:24).

L'altare delle anime purganti

Nell’altare a sinistra, commissionato dalla Fraterna delle Anime Purganti, Antonio Gratij costruì un insieme originale e mosso: al posto delle due tradizionali colonne sormontate dal timpano creò dei tendaggi in marmo nero “di gusto berniniano”, forse suggeriti dalla destinazione dell’altare alle celebrazioni per il culto dei defunti, tema ripreso anche dal paliotto su cui sono infatti scolpite le anime che si purificano fra le fiamme del Purgatorio.

Il complesso architettonico si qualifica in modo particolare per le due belle statue laterali che rappresentano l’arcangelo Raffaele, il guaritore di Tobia “che seppelliva i morti”, quindi nuovamente legato alla funzione dell’altare, e Sara, moglie di Tobia, la quale per alcuni studiosi potrebbe rappresentare simbolicamente il Lutto. Sono entrambe opere attribuite con certezza ad Antonio Corradini. La datazione di queste due statue è dubbia, in quanto una parte della critica antica le ritiene “venute da Roma” intorno al 1740, mentre più verosimilmente si possono collocare intorno al 1720, quando il Corradini eseguì la figura velata della Religione per la cattedrale di Udine.

 

La tela da collocare entro l’altare fu affidata al pittore Pietro Venier, il quale raffigura La Beata Vergine e le anime purganti. L’artista appare, anche in quest’opera, “sordo” alle innovazioni che avrebbe potuto trovare nella grande pittura veneta del Settecento e si attarda piuttosto in forme stereotipe e in figure bloccate in atteggiamenti convenzionali.

 

Approfondimento

Antonio Corradini (1668-1752), nativo di Este e uno dei più noti e studiati scultori veneti del ‘700, che godette ai suoi tempi di una meritata fama nazionale, simile a quella di uno “scultore di stato”. Fu un artista raffinato e legato, come prevedeva la cultura del tempo, agli stilemi neoclassici ed accademici che egli acquisì nei soggiorni romani e napoletani, andando così ad arricchire la sua cultura veneta. Questo si nota nelle vibrazioni cromatiche che egli sa donare al marmo, con i caratteristici giochi di luci e ombre e con l’altrettanto caratteristica “invenzione” delle figure velate: si osservi la figura di Sara la quale, anche sotto il velo trattato con straordinaria leggerezza, non perde mai la consistenza plastica del corpo accentuata dalla raffinatezza del panneggio, che rivela l’intensa ricerca tecnica dell’autore.

 

L'altare di San Fabio

Nell’altare dedicato a san Fabio, commissionato dalla Fraterna delle Anime, entro un’elegante e flessuosa cornice marmorea è collocata la pala di Pietro Venier che rappresenta San Fabio che supplica la Vergine per le anime purganti. Per la realizzazione di questo dipinto Venier ebbe come modello una stampa giunta da Roma nel 1676 assieme alle reliquie di San Fabio martire, provenienti dal cimitero di Prestano e donate alla Fraterna da Papa Innocenzo XI.

 

L’altare nella sua parte architettonica, opera di Antonio Gratij, ricalca le forme di quello che gli sta di fronte: il racconto scolpito sul paliotto interpreta il concetto tipicamente barocco della Morte, la quale munita di falce non perdona e risparmia nessuno né re (corona), né vescovi (mitra), né Papi (tiara). Sulla mensa poggiano due Angeli inginocchiati che, come i quattro Angioletti più in alto, reggono il tendaggio marmoreo risolto con insolita perizia tecnica. Al centro della mensa, entro una teca dalla fronte sbalzata e dorata, sono conservate le reliquie di San Fabio.

L'altare maggiore

La riforma settecentesca della chiesa si concluse nel 1738 con la costruzione dell’Altare maggiore affidata a Simone Pariotti, che già aveva lavorato negli altari di Santa Apollonia e di Sant’Antonio abate. L’ingente spesa per quest’opera fu sostenuta, ancora una volta, dalla ricca Fraterna delle Anime Purganti.

 L’altare nel suo aspetto monumentale presenta la mensa con un paliotto in cui vi è il racconto della Cena in Emmaus: intorno al tavolo, compreso entro una quinta di colonne, Cristo spezza il pane e si rivela, per la prima volta dopo la Resurrezione, ai due apostoli Cleopa e Luca. 

Al di sopra della mensa poggia il tabernacolo sotto un elaborato tempietto a colonne, che si conclude con un “aereo baldacchino” con la statua del Redentore. 

Ai lati dell’altare sono poste le due statue di San Filippo e di San Giacomo, titolari della chiesa, eseguite dallo scultore padovano Giovanni Giacomo Contiero (doc. dal 1749-† 1784ca.), che le firma: “JACOBUS CONTERIUS PATAVINUS SCULP.”

Il presbiterio

Al 1805 risale l’ultimo intervento architettonico importante che interessò il presbiterio, la cui decorazione a fresco fu realizzata solo molti anni più tardi.

Le figure dei quattro Evangelisti, poste sulla volta, sono attribuite ad Antonio Fantini pittore ancora quasi sconosciuto, nato a Udine nel 1813 e morto a Parigi nel 1860, dalla vita molto travagliata e artisticamente legato ai dettami dell’Accademia di Venezia. Non è inoltre da escludere l’ipotesi che certe assonanze cinquecentesche palesi nei suoi dipinti gli derivino anche dalla sua attività di restauratore.

 

 

Alle pareti del presbiterio, a sinistra, sono collocate due delle quattro tele seicentesche che raffigurano I miracoli eucaristici. L’autore dei quadri, certamente friulano ma ancora sconosciuto, usa un linguaggio intimo e familiare con qualche notazione bassanesca, adoperando colori spenti che tendono a bloccare le figure.

Nel primo dipinto, del 1629, è narrato il Miracolo di Torino

Il riferimento è a quanto accaduto il 6 giugno 1453, quando, durante una guerra, le truppe piemontesi ad Exilles saccheggiarono il villaggio rubando in chiesa anche la suppellettile sacra, compreso l’ostensorio col Santissimo. Il quadro raffigura il momento in cui un cavallo inciampando lascia cadere i sacchi con il bottino, mentre l’ostia si eleva luminosa verso il cielo. A sinistra il vescovo Ludovico di Romagnano raccoglie l’ostia nel calice e in processione solenne la riporta in chiesa. L’ignoto artista racconta l’accaduto con dovizia di particolari soffermandosi anche nella descrizione del paesaggio urbano.

Nel secondo dipinto, di difficile lettura iconografica, il racconto si svolge in due momenti, seguendo in questo lo schema tipico degli ex voto: a sinistra, entro elementi architettonici, un gruppo di fedeli assiste alla Prima Comunione di un bambino; a destra lo stesso bambino sta per essere gettato nelle fiamme.

A destra, rimosse le altre due tele seicentesche (ora collocate nell’attigua cappella delle Anime), si può ammirare l’attuale organo relativamente recente (1943).

 

Le Stazioni della Via Crucis sono state dipinte dal friulano Giovanni Moro (1877-1949).

La statua della Madonna di Fatima, opera della bottega romana dei Rosai, figura sacra venerata nella chiesa di San Giacomo e qui collocata sulla parete sinistra, fra i due altari. La scultura fu benedetta in Vaticano da Papa Pio XII il 16 dicembre 1942 in occasione del venticinquesimo anniversario dell’apparizione della Madonna a Fatima.

La Cappella delle Anime o Oratorio del Suffragio

Attraverso le due grandi arcate sulla parete destra della chiesa si accede alla Cappella delle Anime, nota anche come Oratorio del Suffragio, voluta dalla ricca Confraternita delle Anime Purganti.

 

L'altare maggiore

L’opera di maggior pregio che si può ammirare Cappella delle Anime è senza dubbio l’altare maggiore eseguito nel 1747 dall’altarista e scultore Santo Trognon, veneziano, appartenente ad una numerosa famiglia di tagliapietre.

Sulla fronte del manufatto il paliotto, leggermente bombato, si articola ai lati con lastre marmoree, sottolineate da cornici in marmo bianco con decorazioni a festoni e ricci. Paraste e colonne sostengono l’alto fastigio quadrangolare mosso ancora da cornici mistilinee su cui spiccano, al centro, due angioletti.

Le linee geometriche dei coevi altari veneziani sono qui superate dalla propensione al verticalismo e dall’esuberanza decorativa, forse per influenza del “barocchetto austriaco”.

Lateralmente l’altare si rialza per creare un supporto alle due belle statue raffiguranti, a sinistra, la Verginità e a destra l’Umiltà, attribuite allo scultore Gaetano Susali ed eseguite dopo la conclusione, da parte dell’artista, delle cinque statue della facciata.

Al centro dell’altare s’impone il bel dipinto che raffigura la Madonna del Suffragio col Bambino e Angeli, opera di Pietro Rotari del 1750 circa.

 

Approfondimento

Il conte Pietro Rotari (1707-1762), nacque a Verona e fu allievo dei più celebrati pittori del tempo, da Antonio Balestra a Venezia e a Roma, a Francesco Solimena a Napoli.

Dopo un soggiorno veneziano ricco di prestigiose commissioni, tra il 1734 e il 1751 intraprese un lungo viaggio soggiornando presso le corti di Vienna, Dresda e San Pietroburgo, dove morì nel 1762. Fu un artista legato al proprio tempo, abile disegnatore tanto da essere considerato dai suoi contemporanei “più corretto dello stesso Tiepolo”.

Questo dipinto può essere datato intorno al 1750, ossia prima della definitiva partenza dell’autore per l’Europa orientale. Come negli altri numerosi ritratti del Rotari il volto di questa Madonna è studiato per creare un effetto di grande dolcezza: lo sguardo rivolto al cielo, il rossore appena velato delle guance, l’elegante mano portata al Figlio, memore degli schemi accademici del Balestra, mentre l’Angelo di destra sembra richiamare Solimena, mentre i colori preannunciano il neoclassicismo di Anton Raphael Mengs.

 

I miracoli eucaristici

Sulla parete dell’aula sono appesi i quadri seicenteschi raffiguranti episodi legati ai Miracoli eucaristici e posti in origine sul lato destro del presbiterio della chiesa di San Giacomo, nel luogo in cui ora è collocato l’organo.

Nel dipinto a destra è narrato il Miracolo di Ettiswil. Sulla parete di fronte si può ammirare la tela che raffigura Santa Chiara che salva il monastero dai Saraceni.

Il Miracolo di Ettiswil

Nella cittadina presso Lucerna il 23 maggio 1447 una donna indemoniata rubò l’Ostia consacrata che divenne di colpo pesantissima. Non potendola più reggere la gettò fra le ortiche dove la trovò una giovane contadina che pascolava i maiali: la particola si era rotta in sette pezzi, sei formarono la corolla di un fiore e il settimo si piegò sopra; il fiore così creato emanava una grande luce.

In questo dipinto è colto il momento in cui il curato del paese rimette l’ostia nel calice e in processione la riporta in chiesa.

Santa Chiara che salva il monastero dai Saraceni.

L’avvenimento, ampiamente documentato nell’arte, risale al 1240 quando Federico II con l’esercito composto principalmente da mercenari saraceni assediò Assisi. Santa Chiara, seppur ammalata, alzando l’ostensorio fece fuggire l’esercito nemico salvando così, con l’aiuto delle consorelle, convento e città. L’ignoto pittore dipinge qui una scena concitata: in primo piano soldati e scale si aggrovigliano, mentre alcuni saraceni scappano colpiti dalla forza divina e altri cadono al suolo.

 

Le decorazioni dell’Ottocento e Novecento

Fu soprattutto nell’Ottocento e nel secolo successivo che si continuò ad abbellire la Cappella del Suffragio. Intorno al 1877 il Battistero dall’attigua chiesa di San Giacomo fu trasferito nella Cappella delle Anime: il pittore Rocco Pitacco (1822-1898) decorò la piccola abside con Angeli in contemplazione dello Spirito Santo. L’artista, formatosi in un contesto di periferia, si esprime con un linguaggio semplice, facile e a destinazione popolare, come spesso avviene per i pittori di temi religiosi del nostro Ottocento.

 

Nel 1885 si attuò la decorazione della volta ad opera di Giuseppe Comuzzi “valente pittore di fioristica e natura morta”, coadiuvato forse nell’impresa da Lorenzo Bianchini (1825-1892) in quell’anno attivo in sacrestia.

Nel 1911 il pittore di Recanati Biagio Biaggetti (1877-1948) affrescò la volta della Cappella raffigurando San Odilone, l’abate di Cluny consiliere di papi e re, a cui si attribuisce la diffusione in occidente della commemorazione dei defunti il 2 novembre. Completò la decorazione dipingendo le due maestose figure della Religione e della Giustizia.

Nella Cappella del Suffragio il Biaggetti firma anche il dipinto, sulla parete sud fra le due arcate, che raffigura Cristo risorto che mostra le piaghe a S. Tomaso.

 

 

Biaggetti sono attribuite anche le due raffinate sovrapporte raffiguranti l’una il Sacro cuore di Gesù, l’altra la Sacro cuore di Maria, collocate sui due ingressi laterali all’altare maggiore.

Approfondimento

Il pittore di Recanati Biagio Biaggetti (1877-1948) giovanissimo divenne allievo di Ludovico Seitz, di cui assimilò pienamente la lezione con tutto l’eccesso decorativo e una religiosità manierata che diventa talvolta retorica, come in queste due figure. Visse per lo più a Roma dove nel 1921 Benedetto XV lo nominò direttore artistico per le pitture dei Palazzi Apostolici, carica che mantenne fino al 1945. Conoscitore del “buon fresco” e delle varie tecniche pittoriche istituì nei Musei Vaticani un moderno laboratorio di chimica per le analisi dei materiali impiegati in antico nell’opera d’arte, avvertendo così il problema scientifico che sta alla base di ogni intervento conservativo. Il Biaggetti fu considerato l’esponente ufficiale della contemporanea arte cristiana, solenne e didascalica, ricevendo prestigiose commissioni in particolare come freschista.

 

Il Cristo del Carneo

Il bel dipinto con il Cristo della moneta del friulano Antonio Carneo (1637-1692) è un’opera che per l’impostazione, per il cromatismo “ombrato”, ma soprattutto per il luminismo che esalta le teste arditamente scorciate dei personaggi, può essere collocata cronologicamente al rientro del pittore dal suo soggiorno veneziano e dunque verso il 1670, in un periodo ancora “eclettico”, fatto di ricerca continua. Lo dimostra, ad esempio, il profilo dell’apostolo a sinistra, che sembra tratto da Tiziano, mentre certe “opulenze tecniche” rimandano a Bernardo Strozzi.

La Vergine di Grigoletti

In controfacciata, sopra la porta d’ingresso, è collocato il grande dipinto di Michelangelo Grigoletti (1801-1870) datato 1865 con La Vergine del Suffragio che intercede presso la Trinità per le anime purganti.

Le due parti del quadro sono collegate dall’Angelo in volo che solleva verso il cielo un’anima redenta. I colori sono un po’ “porcellanosi”, tipici della pittura religiosa del Grigoletti, che fu abile soprattutto nei ritratti, mentre qui appare motivato da intenti puramente illustrativi risultando eccessivamente condizionato dal gusto corrente.

           

Il crocfisso ligneo

Sulla parete di destra il bel Crocifisso ligneo, di anonimo intagliatore friulano del Settecento, è considerato dai fedeli, che numerosi quotidianamente si raccolgono in preghiera, il “Crocifisso della speranza”: decine di cuoricini d’argento, a guisa di ex voto, sono appesi intorno.

La sacrestia

Dalle porte ai lati dell’altare maggiore si accede all’ampio locale della sacrestia, arredato da eleganti armadi eseguiti dal maestro stipettaio Antonio del Pedro.

Raffinato è il soffitto dipinto a fresco nel 1885 dall’udinese Lorenzo Bianchini (1825-1892) che lo firma. È raffigurata, entro una cornice mistilinea, la Condanna al martirio di San Giacomo. Le figure in primo piano sono disposte su di un alto podio per colpire l’attenzione di chi guarda: la vasta architettura orientaleggiante sembra abbracciare la scena e il cielo, sereno, è animato da festosi cherubini. Pittura gradevole, seppur accademica, propria di un pittore, il Bianchini, autodidatta che si ispira a più dotti modelli, senza uscire però dai canoni convenzionali della pittura sacra ottocentesca.

Fra i dipinti degno di attenzione è quello che raffigura il Noli me tangere con la bella figura della Maddalena, che si ferma in estatica adorazione davanti al braccio alzato del Cristo risorto. È opera di ignoto pittore seicentesco a cui può essere attribuita anche la tela che racconta la Cena in Emmaus.