La chiesa della Beata Vergine del Carmine a Udine
Udine
Il soffitto
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, soffitto della navata, sec XVII
Il soffitto
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, La Madonna del Carmelo offre lo scapolare a San Simone Stock, soffitto della navata, sec XVII
Il soffitto
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, La Madonna del Carmelo in gloria adorata da Papa Giovanni XXII e da Santi carmelitani, inizi sec. XVIII
L'altare maggiore
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, Altare maggiore
Le sculture dei Bonazza
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, facciata, La Madonna del Carmelo, Giovanni e Francesco Bonazza
Il monumento ad Antonio Savorgnan
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, Monumento funebre ad Antonio Savorgnan, Gerolamo Paleario (?)
L'organo
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, organo
Gli altari laterali
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, altare delle reliquie, particolare
L’Arca del beato Odorico da Pordenone
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, arca del Beato Odorico da Pordenone, Filippo De Sanctis, 1332
L’Arca del beato Odorico da Pordenone
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, arca del Beato Odorico da Pordenone, Filippo De Sanctis, 1332
Le vetrate delle cappelle del beato Odorico e di Sant’Antonio
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, vetrate, beato Odorico, Arrigo Poz, 2000-2001
I dipinti
Chiesa della Beata Vergine del Carmine, la Deposizione, particolare, Nicolò Bambini, sec. XVIII
La chiesa della Beata Vergine del Carmine a Udine
La storia della chiesa
La semplice, ma armonica facciata della chiesa della Beata Vergine del Carmine a Udine si affaccia sulla centrale via Aquileia, un po’ arretrata fra le case per la presenza di breve sagrato.
La strada, l’antico “Borg d’Olee”, era un tempo compresa tra la terza cerchia muraria, la cui porta fu demolita nel 1834, e la quinta cerchia di mura di cui rimangono ancora la torre e la muraglia merlata, con i tre fornici ad arco a tutto sesto, che concludono la via.
La chiesa presenta all’esterno la tipica facciata del tardo Seicento, con tetto a “capanna”, appena ingentilita e movimentata da due finestre con grate in ferro battuto e una nicchia al centro occupata da una bella statua in pietra che raffigura la Vergine col Bambino, eseguita, come le altre che fanno coronamento ai pilastri della cancellata, nella bottega dello scultore veneziano Giovanni Bonazza (1654-1736) che, assieme al figlio Francesco (documentato tra 1729 e 1770), opera anche all’interno.
Le semplici linee architettoniche dell’edificio sacro, eseguito da un ignoto architetto-capomastro capace di ripetere, pur semplificandoli, i dotti modelli della coeva architettura veneta, non lasciano certo trapelare la grande importanza che la chiesa ha avuto nella storia cittadina e neppure la ricchezza di opere d’arte conservate all’interno.
Infatti, un tempo era compresa nel complesso del convento dei frati Carmelitani, convento variamente rimaneggiato nei secoli, poi distrutto, di cui rimane il ricordo nel piccolo chiostro interno, che conserva, purtroppo poco leggibili, interessanti affreschi secenteschi con scene legate alla devozione del Carmelo, popolari nelle forme, ma testimonianza dei costumi del tempo.
I frati del Carmelo erano giunti ad Udine solo nel 1483, piuttosto tardi rispetto alle altre comunità religiose, e si erano stabiliti, con l’autorizzazione del Capitolo metropolitano, nel convento con annessa chiesa che era stato abbandonato dalle suore Benedettine in San Pietro in Tavella (Gervasutta).
Agli inizi del Cinquecento fu deciso di trasferire, anche per la loro sicurezza, i Carmelitani in città, e nel 1522 furono acquistati orti e case in via Aquileia.
Terminati i lavori, il 25 marzo 1525, nella festività dell’Annunciazione, fu portata in processione quell’immagine che ancora oggi è venerata sull’altare maggiore della chiesa.
Autorità, clero e popolo tutto seguirono in processione: ciò dimostra quanto incisiva, sul piano etico e sociale, doveva essere per la comunità udinese la presenza delle case religiose, sia maschili che femminili, “intra moenia”.
Nel 1770 per ordine della Repubblica Veneta furono soppresse le corporazioni religiose formate da meno di dieci componenti. Da tale sanzione furono colpiti anche i Carmelitani udinesi, che l’anno seguente abbandonarono il loro convento e si trasferirono a Venezia.
Nella seconda metà del Seicento e nei primi decenni del Settecento la chiesa della Beata Vergine del Carmine, o di Santa Maria degli Angeli, assunse l’attuale assetto per il costante lavoro dei Carmelitani che l’arricchirono di opere d’arte di grande pregio.
Dopo che nel 1771 i Carmelitani lasciarono Udine, a seguito di un Decreto della Serenissima, i fabbricati che occupavano – chiesa e convento – furono acquistati dall’Ospedale Civile, che li cedette ai Frati Minori Conventuali di San Francesco di dentro, che così lasciavano il loro convento e chiesa per la costruzione del nuovo Ospedale di Santa Maria della Misericordia.
Nel 1806 in seguito a leggi napoleoniche numerosi conventi udinesi furono demanializzati, compreso quello di via Aquileia, così i Francescani lasciarono chiesa e convento.
Pochi anni dopo, nel 1808, la vicina chiesa di San Pietro presso porta Aquileia, edificata nel 1390 ed eretta a parrocchia nel 1595, fu ridotta ad uso profano e il titolo parrocchiale trasferito alla chiesa della Beata Vergine del Carmine, la quale nel 1831 fu riconsacrata dall’arcivescovo Emanuele Lodi con il titolo definitivo di Beata Vergine del Carmine e dei Santi Pietro e Paolo.
Il soffitto
Appena entrati lo sguardo corre al soffitto, opera unica in Friuli per dimensioni, con soluzioni degne del miglior barocco dell’Italia centrale. Entro una complessa intelaiatura architettonica dipinta a colonne, archi, volte, loggiati affollati di Angeli e terrazze che si prolungano nella parete di controfacciata e nell’arco trionfale per dilatare illusionisticamente lo spazio.
Al centro del soffitto dell’aula è rappresentata la Madonna del Carmelo che offre lo scapolare a san Simone Stock, superiore generale dell’Ordine dei Carmelitani.
Sulle pareti intorno corre il fregio a monocromo: tra figure di erme, putti e angeli, entro medaglioni, sono narrati Episodi dell’Ordine del Carmelo.
La decorazione a fresco continua nel presbiterio: sul soffitto, nell’ovato centrale, è rappresentata la Madonna del Carmelo in gloria adorata da santi carmelitani e da papa Giovanni XXII, al secolo Giacomo D’Euse vescovo di Avignone (1316-1334) che aveva avuto una visione della Madonna del Carmelo e che a Lei era particolarmente devoto.
Ancora elementi architettonici raccordano le cornici centrali al fregio delle pareti, composto da telamoni e ottagoni con le Storie del Carmelo.
Sulla parete di fondo lo spazio è dilatato illusoriamente da prospettive architettoniche che si interrompono in basso per l’inserimento degli stalli lignei del coro.
Ignoto è il nome dell’autore, o meglio gli autori, di questa complessa decorazione pittorica. Certa è sola la data dell’inaugurazione degli affreschi: il 1707. Tuttavia, nel corso del tempo sono state avanzate diverse ipotesi attributive, dalle quali spiccano i nomi del pesarese Giulio Cesare Begni (1579-1659), attivo in Friuli alla metà del Seicento, oppure del quadraturista bolognese Pietro Antonio Torri insieme al lucchese Pietro Ricchi (1606-1675), il quale fu chiamato a Udine proprio dai Carmelitani e per essi realizzò delle pale d’altare, forse nel 1665-1670. Probabilmente a quest’ultimi spettano gli affreschi del soffitto dell’aula, mentre ad altri pittori in una fase successiva spetta il soffitto del presbiterio.
L'altare maggiore
È sconosciuto il nome del maestro cui si deve l’altare maggiore, uno degli esempi più clamorosi di scultura barocca in Friuli.
La mensa quadrangolare presenta un raffinato paliotto finemente decorato con scene legate alla devozione della Madonna del Carmelo: al centro, la scena principale raffigura Un angelo che porta in cielo le anime purganti devote allo scapolare; nelle due scene laterali, a destra è rappresentato un uomo che sta per essere ucciso ed alza lo scapolare “salus in periculis” verso il suo assalitore, a sinistra una donna si piega verso un derelitto che alza lo scapolare “signum salutis”.
Sopra l’alzata in marmo giallo decorata da serti fioriti in marmo bianco, si ergono due grandi eleganti angeli, altri due sostengono un drappo in marmo giallo, che accoglie al centro l’ovato con l’antico dipinto che raffigura la Vergine del Carmelo.
La fastosa composizione si conclude con un grande baldacchino dorato che accoglie la colomba dello Spirito Santo. Ai lati si aprono due le due porte di accesso al coro, in marmo giallo, sopra cui sono posti i busti dei profeti Elia ed Eliseo, cari all’ordine Carmelitano.
Possiamo ritenere che l’anonimo artista avesse presente gli splendidi esempi lasciati in Friuli dal tedesco, poi trasferitosi a Venezia, Enrico Merengo o Heinrich Meyring/Heinrich Meiering (1638/1639-1723), il cui linguaggio echeggia anche in questa opera.
Le sculture dei Bonazza
La bottega degli scultori veneti Bonazza operò assiduamente nella chiesa del Carmine. Infatti, a Giovanni Bonazza (1654-1736) e al figlio Francesco (documentato dal 1729 al 1770) si devono le statue della facciata e inoltre due Acquasantiere e le quattordici statue delle Virtù poste sopra le mensole di marmo collocate lungo le pareti dell’aula (due che in origine erano poste ai lati dell’arco trionfale sono state successivamente tolte per dar spazio a due porte e sono state collocate nell’adiacente cappella di San Giuseppe, usata ora come cappella feriale).
Le due acquasantiere di Giovanni e Francesco Bonazza, con colonna a balaustro, presentano sopra la vasca in marmo grigio, due statue di elegante fattura in marmo di Carrara raffiguranti due santi Carmelitani: Sant’Alberto di Gerusalemme, primo legislatore dell’Ordine, e Santa Teresa d’Avila, fondatrice delle Carmelitane scalze.
Il monumento ad Antonio Savorgnan
A metà della parete destra è collocato il Monumento funebre di Antonio Savorgnan, il condottiero presente con le sue truppe nella guerra di Gradisca (1615-1617), signore di Pinzano e patrizio veneto. Il monumento fu fatti erigere dalla moglie Ortensia nel 1627, quattro anni dopo la morte di Savorgnan.
L’opera non è documentata, ma l’incisività della caratterizzazione fisionomica del ritratto e certe sovrastrutture nello spazio architettonico, come il coronamento con volute laterali, fanno pensare che l’opera derivi dalla bottega udinese dello scultore Gerolamo Paleario (documentato dal 1599 al 1622), attivo anche a Venezia, nella chiesa di San Giorgio. Egli eseguì diversi monumenti funebri e busti commemorativi, sia in legno che in pietra.
L'organo
Nella parte d’ingresso dell’aula, in cantoria, entro un cassone armonico, è installato l’organo settecentesco opera certa dell’organaro friulano Francesco Comelli, che fu allievo prediletto del celebre Pietro Nacchini, dalmata d’origine, ma veneziano d’adozione.
Lo strumento è giunto fino a noi quasi intatto (fu sottoposto solo a qualche lieve ritocco con l’applicazione delle dulciana e del concerto viole nel 1948), rispettato, per il suo valore, anche durante l’invasione austriaca nel 1917-1918.
Elegante è il parapetto del cassone originale con le specchiature dipinte a monocromo con strumenti musicali coronati da seri di alloro e di quercia.
Gli altari laterali
L’armonioso insieme dell’aula è dato anche dai quattro altari laterali, due a destra e altrettanti a sinistra, eseguiti tutti nello stesso periodo, nell’ultimo decennio del XVII secolo, da maestranze probabilmente venete, come dimostra l’impostazione architettonica e la decorazione marmorea policroma.
Ci piace ricordare, sul primo altare a sinistra, il bel Crocifisso ligneo appartenuto alla nobile famiglia Marchetti di Mantova e donato alla chiesa nel 1959.
Sul primo altare a destra, detto “delle Reliquie”, nascosti tutto l’anno da una tavola dipinta, ma esposti alla pubblica devozione nella solennità di Ognissanti, è conservata una serie di preziosi reliquiari in argento, divaria fattura, contenenti le reliquie care alla religiosità popolare trasportate al Carmine dai Francescani, dopo il 1771: sono le reliquie della santa Croce, di sant’Antonio da Padova, di san Pietro, di sant’Isidoro e di santa Lucia, ma anche di san Gennaro, di san Nicola, di santa Colomba …
L’Arca del beato Odorico da Pordenone
Quando nel 1771 i Francescani lasciarono il loro convento per trasferirsi in quello liberato dai Carmelitani in borgo Aquileia, il Comune di Udine aveva loro garantito che potevano portare con sé mobili, reliquie e corpi di santi, pertanto essi trasferirono nella chiesa del Carmine le spoglie del confratello beato Odorico da Pordenone con l’arca marmorea che le conteneva.
Odorico da Pordenone era morto a Udine nel 1331 nel convento di San Francesco, dove si era ritirato dopo i lunghi viaggi dedicati alla predicazione in terra di Persia, in Caldea, in India e soprattutto Cina. Nel 1332 le sue spoglie furono collocate nella preziosa arca che il Comune aveva fatto eseguire dalla bottega veneziana di Filippo De Sanctis.
Il cassone marmoreo, ora collocato nella cappella di sinistra, poggia su quattro colonne lisce ed è concluso in alto da una elegante cornice scolpita a foglie.
Nella specchiatura maggiore, sulla fronte, è narrata la Morte del beato, il quale giace sopra un sudario sorretto da due angeli, venerato dal patriarca Pagano della Torre, dal gastaldo di Udine Bernadiggi, da tre frati e dal cameraro.
Sotto, suddiviso in tre formelle, il rilievo raffigura il busto di Odorico con due bandiere che simboleggiano i Continenti in cui si svolsero le predicazioni del beato; ai lati i busti di due angeli in preghiera.
Le antiche cronache udinesi raccontano la solenne processione che nel 1771 accompagnò il trasferimento dell’arca dalla chiesa di San Francesco al Carmine: precedeva la confraternita del Santissimo Crocefisso e le altre confraternite con le loro insegne e tutti portavano candele e torce. Seguivano i Cappuccini ed altri frati e poi i seminaristi, i cappellani, i mansionari, i cantori e i Canonici recanti ognuno un reliquiario del Convento. Seguiva l’Arca del beato Odorico portata da otto sacerdoti in pianeta e, sotto il baldacchino retto da quattro giovani nobili, procedeva l’Arcivescovo. E poi ancora il Luogotenente veneziano, i Deputati della città, i cancellieri, ognuno con un cero in mano, attorniati dai soldati del presidio. Alla fine il popolo udinese.
L’arca in marmo fu subito smembrata e adattata ad altare, le quattro colonne messe da parte (in seguito furono recuperate presso l’amministrazione dell’Ospedale) ed il bassorilievo posteriore rischiò, verso la fine dell’Ottocento, di essere acquistato da un antiquario.
Anche il corpo del beato, tolto dalla sua arca marmorea, subì varie vicissitudini. Infatti, quando nel 1806 anche i Francescani lasciarono Udine per tornare a Padova, per evitare possibili profanazioni da parte dei soldati francesi che avevano occupato il convento, il guardiano nottetempo lo fece trasportare nel duomo cittadino. Soltanto parecchi anni dopo l’Arcivescovo di Udine Rasponi concesse, con il permesso del Capitolo della Chiesa Metropolitana, di riportare nuovamente al Carmine il corpo di Odorico.
Finalmente nel 1931, in occasione del VI centenario della morte del beato pordenonese, l’Arca fu ricomposta nelle sue forme originali e collocata nella cappella laterale di sinistra, progettata dall’architetto Cesare Miani (1891-1961) proprio in perfetta corrispondenza con la cappella dedicata a Sant’Antonio da Padova, il cui culto era stato introdotto nella chiesa dagli stessi Francescani.
Nel riquadro posteriore è raffigurato Odorico che predica ad una folla di fedeli. La lastra, compresa tra due di alabastro, a differenza di quella posta sulla facciata, si sviluppa in senso verticale per permettere di campeggiare alla figura in piedi del beato, che alza la mano benedicente e stringe con la sinistra il libro dei Vangeli. In alto, iscritto in un semicerchio, un angelo ispira le parole e le azioni del frate francescano.
In quest’opera Filippo De Sanctis inserisce, sulla tradizione plastica veneziana, resa più evidente dal contrasto cromatico tra il candido marmo e l’alabastro, le innovazioni della statuaria toscana, di Giovanni Pisano in particolare. A tal proposito si noti il concitato racconto della Predica ai pellegrini, e soprattutto le belle statue poste agli angoli del cassone, come San Francesco, Santa Chiara, la Vergine annunciata e l’Angelo annunciante, che mostrano la leggera curvatura all’indietro, tipica del Pisano.
Le vetrate delle cappelle del beato Odorico e di Sant’Antonio
Le cappelle dedicate al beato Odorico e a Sant’Antonio da Padova sono state arricchite, nel 2000 e 2001, da belle vetrate di Arrigo Poz (1929-2015).
In quella del beato l’artista racconta tre momenti della sua vita di Odorico: nel tondo centrale è raffigurato Odorico, nella vetrata di sinistra la predica in Cina e in quella di destra la processione per trasferire l’Arca dalla chiesa di San Francesco a quella del Carmine in borgo Aquileia.
Nella cappella di fronte Poz illustra due storie che raccontano episodi della vita di Sant’Antonio da Padova.
Il particolate effetto decorativo deriva essenzialmente dalla trasparenza dei colori accostati con sapienza e tali da creare una vera e propria “pittura contro luce”.
I dipinti
Nel coro, occupato lungo le pareti dagli stalli lignei riccamente intagliati a conchiglioni, foglie e grifi, sul retro dell’altare maggiore si può ammirare un grande quadro che raffigura la Deposizione dalla Croce, eseguito dal pittore veneziano Nicolò Bambini (1651-1736), artista presente anche nel palazzo arcivescovile di Udine, nella cappella e nella biblioteca.
Sulla parete a destra si trova il dipinto dell’abate Francesco Grillo con La Vergine che appare a san Giuseppe da Copertino, membro dei Francescani conventuali, beatificato da papa Benedetto XIV nel 1763 e canonizzato nel 1767. L’opera fu quindi eseguita dopo il 1771, in seguito all’arrivo in borgo Aquileia dei Francescani. Poco si sa del pittore Grillo (ritenuto originario di San Martino di Valvasone, oggi San Martino al Tagliamento), ma certamente conobbe la pittura veneziano del suo tempo, avendo visto disegni e stampe di Gaspare Diziani e soprattutto di Francesco Fontebasso.
Sulla parete sinistra è presente un’altra tela di Francesco Grillo, che raffigura il Beato Odorico da Pordenone che benedice la folla. Uomini, donne e soldati sono ai suoi piedi. È evidente che il pittore si è ispirato al rilievo marmoreo eseguito da Filippo De Sanctis nell’arca del beato nella vicina cappella, mantenendo quasi uguale la disposizione delle figure, che nella pittura possono essere inserite in un ambiente naturale fra alberi e piante verdi.
Al periodo dei Carmelitani riale invece l’altra bella tela sulla parete sinistra del coro, che raffigura Sant’Alberto Carmelitano che risana un infermo, eseguita dal lucchese Pietro Ricchi (1606-1675) nell’ultimo periodo della sua vita trascorso a Udine. È un’opera particolarmente interessante per il concitato chiaroscuro, per il luminismo esasperato risolto non in chiave plastica, ma lirica, con una suggestiva gamma cromatica.
Ricchi è ritenuto anche l’autore degli affreschi del soffitto dell’aula e a lui spettano altri tre quadri, uno perduto e due conservati nei Civici Musei di Udine, che i Francescani avevano rimosso rappresentavano due sante (santa Teresa d’Avila e santa Maria Maddalena de’ Pazzi) lontane dalle loro esigenze devozionali.
La stessa fine fece una serie di dodici ovati (ora nel Museo diocesano di Udine), raffiguranti personaggi sacri cari ai Carmelitani, opere considerate di mano di Pietro Venier (1673?-1737). Di questo pittore si può ancora vedere, nel corridoio che porta in sacrestia, il dipinto con le Stimmate di san Francesco.
Vanno anche ammirati due piccoli quadri appesi alle pareti del presbiterio, uno dei quali raffigura la Natività, cui fa da pendant, sulla parete di fronte, la Deposizione dalla Croce: dipinti assegnati alla scuola di Antonio Carneo (1637-1692).