La chiesa dei Battuti a San Vito al Tagliamento

La chiesa dei Battuti a San Vito al Tagliamento

La chiesa dei Battuti a San Vito al Tagliamento

L’origine dell’oratorio dei Battuti

L’oratorio di Santa Maria Assunta, sorto alla fine del XV secolo, era la chiesa dell’Ospedale della confraternita dei Battuti, che, situato a ridosso della Torre di San Nicolò (lungo l’attuale via Andrea Bellunello), dal Tre all’Ottocento ha rappresentato il principale centro di assistenza sanitaria a San Vito. Di esso si ha una prima notizia documentaria nel 1369, ma già dal 1360 operava nella cittadina in virtù di un decreto del patriarca di Aquileia.

Non si conosce con esattezza il volto del primitivo Ospedale, tuttavia si può ipotizzare che esso fosse composto da un unico vano, in cui era pure inclusa una parte riservata al culto (di cui negli ultimi decenni sono riemersi resti di decorazioni), con l’asse maggiore parallelo all’attuale via Bellunello

La parte che si affacciava sulla strada principale era decorata con particolare cura (purtroppo pesanti modifiche rendono oggi assai difficoltosa la sua comprensione, nonostante i meritevoli sforzi del restauro tardo novecentesco, che ha riportato alla luce interessanti particolari), con eleganti finestre trilobate, una fascia a “grottesca” nel sottolinda e, sopra una non più esistente apertura ad arco che immetteva all’ingresso del ricovero, i resti di un affresco tardo quattrocentesco attribuito ad Andrea Bellunello (ma una corretta valutazione risulta assai ardua) che raffigurava la Madonna in trono con il Bambino in grembo, santi e, sotto al mantello, i confratelli.

La chiesa dei Battuti

L’ampliamento delle strutture ospedaliere nella seconda metà del XV secolo comportò l’edificazione di una nuova chiesa, attigua ma separata dall’ambito assistenziale e con un valore architettonico e artistico decisamente eloquente sulla ricchezza e l’importanza ormai raggiunta dai Battuti di San Vito.

Non si conoscono con esattezza le tappe che hanno portato alla costruzione della nuova chiesa, forse nata sulle strutture di un edificio precedente, ma sappiamo che essa era aperta al culto nel 1493, data che compare in un’iscrizione sull’elegante portale, opera del Pilacorte (1455-1531).

Il portale del Pilacorte

Giovanni Antonio da Carona, nei pressi di Lugano, detto il Pilacorte (1455-1531), uno dei protagonisti della scultura in pietra nel Rinascimento friulano, nel 1493 circa ha scolpito in bassorilievo il portale, raffigurando negli stipiti motivi vegetali e le figurine di San Vito e di San Modesto, mentre nella lunetta, inquadrata dalle statue dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine e coronata dalla figura dell’Eterno Padre, ha inserito una lastra che raffigura la Madonna della Misericordia, la quale con il manto protegge quattro oranti, forse i confratelli, ed è attorniata da volti di cherubini.

L’essenzialità della facciata tardo quattrocentesca non lascia supporre che all’interno si conservi un ciclo di affreschi considerato tra i più belli del Cinquecento friulano e certamente il più importante della produzione di Pomponio Amalteo, tanto da meritare di essere citato nelle Vite di Giorgio Vasari (nell’edizione del 1568).

In seguito l’ultimo grande intervento a favore della chiesa è dell’inizio del XVIII secolo: un nuovo altare maggiore, che esibisce le statue di San Giovanni Battista, della Vergine e di San Pietro, datate 1707 e siglate P. B. F., certamente dello scultore Pietro Baratta (1659/1668 ca. – 1727/1733 ca.). Allo stesso autore sono da assegnare anche i rilievi delle formelle posteriori, dedicate alla Visitazione e alla Presentazione al Tempio; mentre sono di Giovanni Bonazza (1654-1736) il dossale con la Mater Misericordiae, il cui manto accoglie i confratelli, nonché ai lati le sei formelle con angioli musicanti, non esenti da richiami rinascimentali.

Nel corso del XIX secolo la chiesa ha perso l’originaria funzione di cappella dell’Ospedale, tuttavia non è venuto meno il rapporto particolare esistente da secoli con la popolazione locale, come testimonia la destinazione dell’oratorio a luogo delle memorie civiche e patriottiche, suggellata nel 1937 con l’erezione, al centro dell’aula, di un monumento a ricordo dei sanvitesi caduti in Guerra (recentemente spostato), opera dell’allora soprintendente Ferdinando Forlati (1882-1975), cui si deve anche il progetto delle porte d’ingresso in ferro battuto.

Gli affreschi di Pomponio Amalteo

Approfondimento

Sanvitese d’adozione, poiché era nato nel 1505 a Motta di Livenza in una famiglia di letterati, Pomponio Amalteo è una delle più interessanti personalità pittoriche del Friuli nel XVI secolo, anche se la lettura critica della sua figura per molto tempo è stata schiacciata da quella del suo maestro e suocero Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone, rivestendo il ruolo di suo modesto imitatore, in grado solamente di replicarne le formule stilistiche, attraverso una cifra qualitativa piuttosto debole. Certo, le sue prerogative erano senz’altro inferiori a quelle del maestro, nondimeno è giusto notare, come ha fatto la storiografia più avveduta, che la stretta osservanza dei modi del grande artista non deve essere considerata come un rimedio alla propria incapacità espressiva, piuttosto è la consapevole adesione alle regole interne di molte botteghe rinascimentali, che prevedevano proprio la continuazione degli insegnamenti del caposcuola.

L’opera di Pomponio è testimoniata dai tanti dipinti diffusi tra le chiese friulane (Valvasone, San Martino al Tagliamento, Casarsa della Delizia, Zoppola), ma in particolare a San Vito al Tagliamento, cittadina dove il pittore risiedeva e in cui venne a morte nel 1588, ha lasciato alcune delle sue realizzazioni maggiormente degne di nota (ancora presenti nel duomo e in Santa Maria delle Grazie a Prodolone), che godevano, tra l’altro, della particolare stima del patriarca di Aquileia Marino Grimani, su cui spiccano proprio gli affreschi per la chiesa dei Battuti. 

L’esecuzione degli affreschi, stando ai documenti conosciuti, impegnò Amalteo dal 1535 al 1546: undici anni di lavoro che ci consegnano la decorazione della parte absidale con un’articolata serie di scene dedicate all’illustrazione della vita della Madonna, seguendo gli spunti che derivano dai cosiddetti Vangeli apocrifi (testi non canonici, ma assai utilizzati, da cui deriva molta dell’iconografia cristiana), forse su suggerimento di qualche illustre personaggio (si è supposto il patriarca Marino Grimani).

Pomponio, forse con la collaborazione del fratello Gerolamo, raffigura i vari episodi attraverso un solido impianto formale, con un accentuato gusto per i particolari narrativi, per l’esotismo e per i richiami all’antico, nel ricco repertorio di grottesche, finti cammei e metope.

Lungo le pareti della cuba sono quindi effigiati, a partire dalla sinistra, in alto Il sommo sacerdote che respinge le offerte di Gioacchino e la Nascita di Maria; in basso la Presentazione di Maria al Tempio e lo Sposalizio della Vergine; nei pennacchi, entro medaglioni, la Fuga di Lot da Gomorra e il Profeta Abacuc che soccorre Daniele. Lungo la parete destra, in alto l’Annunciazione, la Visita ad Elisabetta, in basso l’Adorazione dei Magi e la Fuga in Egitto; il Sacrificio di Isacco e Melchisedech che benedice il pane e il vino, nei pennacchi.

L'ascensione

Sulla parete di fondo l’Assunzione, al cui centro stava l’altare maggiore, intitolato alla Vergine Assunta, dove in antico era collocata una scultura lignea, probabilmente del sanvitese Bartolomeo di Biagio, detto dall’Occhio (attivo dal 1466 al 1510), attorno alla quale l’Amalteo aveva appositamente ammassato gli apostoli.

Uno straordinario vortice di figure decora la cupola, accompagnando l’ascensione verso l’Eterno Padre della Vergine affiancata da Gesù e creando un effetto di notevole impatto visivo, che ricorda l’invenzione del Pordenone per Cortemaggiore, con l’illusionistico “sfondamento” del soffitto, il quale pare aprirsi verso un fantasmagorico mondo spirituale.

La decorazione è completata dalle monumentali figure di David e di San Paolo poste su finte mensole ai lati dell’arco trionfale; le pareti della navata sono invece abbellite da finte semicolonne ioniche e riquadri che imitano superfici marmoree, contribuendo a conferire all’ambiente un carattere classicista (ispirato alla decorazione esterna della chiesa veneziana di Santa Maria dei Miracoli), che sembra voler integrare le forme dell’antico con i messaggi della cristianità in una sintesi che allora appariva tra le più moderne e raffinate, collegandosi così idealmente con le eleganti e ricche aule delle scuole lagunari.

L'altare maggiore

All’inizio del XVIII secolo si situa l’ultimo grande intervento a favore della chiesa, dotata di un nuovo altare maggiore, che esibisce le statue di San Giovanni Battista, della Vergine e di San Pietro, datate 1707 e siglate P. B. F., certamente dello scultore Pietro Baratta (1659/1668 circa–1727/1733 circa), lavori di buona fattura e intrisi del gusto barocco per una plastica ricca di chiaroscuri nelle vesti delle figure, i cui volti hanno espressioni affettate e decisamente impersonali. Allo stesso autore sono da assegnare anche i rilievi delle formelle posteriori, dedicate alla Visitazione e alla Presentazione al Tempio; mentre sono di Giovanni Bonazza (1654-1736) il dossale con la Mater Misericordiae, il cui manto accoglie i confratelli, in un insieme animato e dal tono piacevolmente colloquiale, colmo di effetti pittorici (accentuati da un incavo profondo), nonché ai lati le sei formelle con angioli musicanti, non esenti da richiami rinascimentali. Il tutto era completato da altre due parti laterali del paliotto, raffiguranti putti angelici, trafugate nel 1918 dagli Austroungarici e poi giunte nel Museo delle Arti Industriali de L’Aja.