Il Duomo di Palmanova
Il Duomo Dogale
Il Duomo di Palmanova
Portale del Duomo e statua del Provveditore Giovanni Pasqualigo
L'interno
Veduta dell'interno
L'interno
Giacomo Bonin, Altare del S. Rosario, ora del Santissimo, 1874
L'interno
Bottega veneta: Altare della Madonna del Carmine, 1905
L'interno
Bottega veneta: Altare delle Milizie, 1640/41
L'interno
Alessandro Varotari, detto il Padovanino: Pala delle Milizie, 1641
L'interno
Eugenio Pini, L'Annunciazione, 1643 (parete di fronte alla sacrestia)
L'interno
Altare della Sacra Famiglia, 1645, primo altare a destra
L'interno
Eugenio Pini: La Sacra Famiglia, 1645
L'interno
Altare dell'Annunziata, sec. XVII, primo altare a sinistra
Il Duomo di Palmanova
Nell’ampia esagonale piazza della città di Palmanova si impone con la sua maestosa facciata in pietra d’Istria il Duomo Dogale, la cui storia riflette le vicissitudini politiche, militari e sociali della fortezza fondata il 7 ottobre 1593 per volere del senato veneto. Il complesso architettonico è scandito da un ritmo di eleganti elementi strutturali, con due ordini sovrapposti di colonne ioniche e doriche, robuste cornici marcapiano e il frontone con il timpano che termina la facciata a capanna. La luminosità della pietra esalta, con un gioco chiaroscurale, le nicchie con le statue, i portali timpanati e gli stemmi aggettanti. te alla costruzione
Va evidenziato che in Friuli molti erano avversi alla costruzione di una fortezza ex novo: gli udinesi che vedevano accantonate le loro richieste di cingere la città con bastioni; i castellani che mal sopportavano la presenza delle truppe armate veneziane nel cuore della Patria del Friuli; i contadini della zona che vedevano distruggere le loro terre ed erano obbligati a fornire i carriaggi. I canonici di Aquileia alimentavano tali proteste, poiché a causa della devastazione di molti campi, necessaria per la realizzazione delle fortificazioni, venivano privati del quartese sui prodotti agricoli e di numerosi introiti su censi, livelli e affitti.
Alle origini del duomo
Nel 1599, dopo non pochi contrasti tra autorità politiche e religiose, fu presa la decisione di costruire una chiesa per la fortezza, conforme al progetto tratto dalla Chiesa di San Cosma e Damiano alla Giudecca di Venezia. Tuttavia, solo nel 1602, con la nomina di Girolamo Cappello a Provveditore Generale di Palma, si può parlare della posa della prima pietra per la costruzione del duomo.
Inizialmente, fu eretta in forma provvisoria una chiesa di legno, in piazza, al fine di ospitare il Santissimo Sacramento, e in essa fin dal 1602 fu celebrata solennemente la Festa del Redentore.
Il Provveditore Cappello fece gettare in fretta le fondamenta della chiesa e con rito solenne fu collocata la pietra inaugurale del duomo di Palma, dedicato, con licenza del Patriarca Francesco Barbaro, al Santissimo Redentore e ai compatroni Marco Evangelista e Giustina, martire padovana, considerata l’auspice della Vittoria di Lepanto, dove la flotta veneziana sconfisse i Turchi il 7 ottobre 1571.
Il culto del Cristo Redentore si era sviluppato a Venezia nella seconda metà del secolo XVI quando a seguito di una tremenda epidemia di peste, la città fece voto al Santissimo Redentore. Anche la fortezza di Palma, meta di passaggio di numerose truppe di mercenari provenienti d’oltralpe e oltremare, poteva essere esposta facilmente al contagio e in considerazione di ciò il Santissimo Redentore venne eletto protettore della città.
Il Provveditore Benedetto Tagliapietra nel 1612 riuscì ad ottenere dal cardinale Pietro Aldobrandini, durante una visita in fortezza, la facoltà di costruire un fonte battesimale a Palma, risolvendo, così, la controversia in merito alla possibilità di somministrare il battesimo, privilegio, fino ad allora spettante al pievano della vicina Palmada. Il 31 agosto 1614 fu inaugurato il battistero e sull’imponente vasca battesimale in pietra scura di Aurisina, il Tagliapietra fece scolpire: Marco Antonio Memmo Venet. Princ. Benedicto Taleapetra Prov. Gen.li A.D.MDCXIV
La costruzione del Duomo
I lavori per la costruzione del duomo ripresero nel 1615; la pietra collocata dal Cappello, nel 1603, fu rimossa e riposizionata con una cerimonia, all’angolo della piazza, verso contrada Donato. Sotto il provveditorato di Francesco Erizzo (1615-1616) in breve tempo fu elevata la facciata della chiesa fino al secondo cornicione. I mattoni furono cementati con calce idraulica e l’esterno venne rivestito con blocchi di pietra bianca giunti da Orsera d’Istria e lavorati in fortezza. Contemporaneamente furono elevati anche i muri laterali oltre il primo cornicione. Al Provveditore Antonio Grimani (1616) va il merito di aver abbellito la facciata della chiesa con un imponente portale e un altro, di dimensioni minori, che fu collocato all’esterno dell’ingresso sulla contrada Donato.
Negli anni 1617-1618 fu completata la parte settentrionale dell’edificio con il presbiterio, l’abside e due cappelle laterali. Ma nel 1619 i lavori del duomo subirono un’altra brusca interruzione. Improvvisamente la facciata si inclinò verso l’interno per circa un metro e mezzo, sugli archi del coro apparvero spaventose crepe e ci fu uno sbandamento del muro di destra: probabilmente le piogge della stagione primaverile avevano smosso il terreno ghiaioso con il conseguente cedimento delle fondamenta dovuto all’enorme peso dei grossi muri della costruzione. Immediatamente le parti pericolanti furono puntellate e l’Ufficio di Fortificazioni di Venezia inviò sul sito alcuni architetti di chiara fama, al fine di risolvere il problema. Fra questi si ricordano Giovanni Battista Rubettini, Francesco Smeraldi, Tommaso e Francesco Contin, Baldassarre Longhena, i quali avanzarono diversi suggerimenti. I lavori ripresero molto più tardi a causa anche della grande epidemia di peste che scoppiò nel 1630 su tutto il territorio della Serenissima. Dopo l’ennesima battuta di arresto, si adottò la soluzione dettata dal proto Iseppo Cavriolo, il quale sosteneva che la costruzione fosse definitivamente consolidata e che si poteva finalmente edificare il coperto. Sotto il Provveditorato di Francesco Pisani, nel 1636 fu finalmente portata a termine l’imponente opera. Ancor oggi si può ammirare la particolarità del soffitto formato da undici capriate di legno di larice dipinto, proveniente dalla Slavonia, che racchiudono la secolare esperienza veneziana nella scelta e nell’uso di questo materiale.
Nel 1664-1666 furono sistemate alcune pietre sconnesse della facciata, lasciando quella concavità, provocata dal cedimento, che ancor oggi alcuni pensano sia frutto di una progettazione basata su regole prospettiche rinascimentali. Nel 1683 fu collocata nella nicchia centrale della facciata la statua del Santissimo Redentore e il leone alato sul timpano, distrutto poi dai Francesi nel 1797 (il leone marciano, che oggi occupa l’occhio originale, è opera dello scultore palmarino Ferdinando Busetti eseguita tra il 1893 e il 1894). Dieci anni più tardi, nel 1693, furono inserite nella nicchia di sinistra la statua di San Marco e in quella di destra la statua di Santa Giustina.
La paternità del progetto del duomo è stata oggetto di vari studi; ma probabilmente il progetto dell’edificio può essere attribuito all’Ufficio di Fortificazioni di Venezia, dove esercitava il suo operato anche l’architetto civile Vincenzo Scamozzi, che influenzò indubbiamente, con la sua creatività, la progettazione delle linee fondamentali della spazialità di quest’opera d’arte.
Il campanile
Il campanile è disarmonico rispetto alla poderosa mole del duomo e riflette l’esigenza della fortezza di non esporre alcun tipo di costruzione alla gittata delle artiglierie avversarie. Sulla chiave di volta della porta d’ingresso del campanile si vede il monogramma del Provveditore Generale Giovan Benedetto Giovanelli che nel 1776 effettuò una ristrutturazione radicale, sostituendo la torretta di legno costruita nel 1645. Con i recenti restauri (terminati nel maggio del 2006) è stato consolidato l’interno della costruzione del campanile con strutture in ferro e con tiranti collegati al duomo e sono stati, inoltre, attuati degli interventi di rifondazione della fondamenta.
Prima di visitare l’interno della chiesa, particolare attenzione merita un piccolo affresco di periodo veneziano raffigurante un leone marciano, collocato sul pilastro esterno verso Contrada Donato, probabilmente sfuggito alla furia iconoclasta francese. Interessante il proclama sotto riportato che ordina di non praticare azioni irriverenti contro la religione e la chiesa.
L'interno
Entrando in duomo l’immediata sensazione è quella di grandiosità e di armonia delle proporzioni.
La navata unica rettangolare (m.22 x 50) triabsidata riprende il doppio ordine della facciata con elementi architettonici rinascimentali e barocchi.
L’altare maggiore, in stile neoclassico, eseguito dagli scultori Giuseppe Turchetti e Fabio Candoni, risale al 1854. Il manufatto in marmo e diaspro siciliano fu arretrato di qualche metro verso l’interno dell’abside, sostituendo l’altare originale ligneo, ormai deteriorato, fatto costruire nel 1645.
Ai lati dell’altare sono collocate due statue, in legno laccato di bianco a finto marmo, già posizionate sull’altare del Civran, che raffigurano san Marco con il leone alato ai suoi piedi e la martire santa Giustina con la palma del martirio. Le opere furono eseguite da Pietro Pini da Udine, fratello del più noto Eugenio, che per il duomo dipinse la Pala della Sacra Famiglia e l’Annunciazione.
Nella fase di rinnovamento ottocentesco furono tolti anche gli stalli in noce del coro, riservati al Provveditore Generale e al Tesoriere della fortezza. L’attuale complesso ligneo, risalente alla metà del sec. XVII e recentemente restaurato, comprende schienali, inginocchiatoi e sedili ricchi di modanature, cornici e intagli.
Al centro dell’abside è collocata la pala raffigurante il Santissimo Redentore, dell’artista di Osoppo Domenico Fabris (1814-1901), autore di numerosi dipinti a soggetto sacro e di decorazioni per palazzi e teatri. Tra il 1878 e il 1882 furono realizzati gli affreschi dell’abside. Venne incaricato l’artista Pompeo Randi da Forlì (1827-1880), il quale realizzò i cartoni con le scene de La consegna delle chiavi, La guarigione del cieco, L’Ascensione di Nostro Signore, ma a causa della sua improvvisa morte, l’opera fu portata a termine da Leonardo Rigo (1846 – 1915) giovane artista udinese, che elaborò, completamente, l’affresco con la Crocifissione. Le decorazioni monocrome, ad ornamento degli affreschi, furono eseguite da Giuseppe Comuzzi di Udine (1839-1906).
Tra le opere d’arte mobili collocate sull’altare maggiore assume particolare interesse una base di leggio ligneo intagliato e dipinto eseguito probabilmente da bottega friulana nei secoli XVII-XVIII. Le tre facce della base sono dipinte con immagini devozionali, che, per iconografia ricordano la presenza di alcune fraglie di arti e mestieri esistenti a Palma, probabili committenti del manufatto.
La cappella del Santissimo
La cappella laterale situata verso contrada Donato era dedicata al Santo Rosario, ora al Santissimo. L’altare in marmo di Carrara, con gradini in marmo di Verona, colonne in marmo africano e predella in cubetti in marmo di Carrara e bardiglio, è opera dello scalpellino Giacomo Bonin, eseguito a Venezia nel 1875. L’opera sostituisce un precedente altare secentesco, intagliato e dipinto. L’attuale pala dell’altare è un bel dipinto raffigurante La Pietà eseguito nel 1958 dall’artista friulano Fred Pittino (1906-1991), che fu l’autore anche dei cartoni delle tre vetrate istoriate.
L’affresco sulla volta della cappella, eseguito da Domenico Fabris nel 1861, rappresenta la Comunione degli Apostoli; la composizione pittorica delle lunette evidenzia quattro soggetti eucaristici: La Prima Comunione di san Luigi Gonzaga, il Viatico di San Girolamo, la Comunione di santa Giuliana Falconieri, unico santo femminile dell’ordine dei servi di Maria e la Comunione di Stanislao Kostka, santo patrono della Polonia e considerato una delle personalità più significative dell’ordine gesuita.
Nel 1630 la cappella era stata affrescata dal famoso pittore Secante Secanti (1571-1637), con dipinti poi scomparsi.
Nel 1957 per conservare l’Eucarestia, fu collocato sull’altare, il prezioso tabernacolo in oro e argento con l’immagine del Santissimo Redentore.
Sulla parete di sinistra della cappella si possono ammirare una serie di dipinti: La Natività (secoli XVII-XVIII) di attribuzione incerta; L’Assunta (secolo XVI), opera attribuita al noto pittore friulano Pomponio Amalteo (1505 -1588). Non ci sono notizie certe sul dipinto, che per similitudini stilistiche con altre opere dell’Amalteo, potrebbe essere ricondotta se non a lui personalmente, alla sua scuola o al genero Giuseppe Moretto. L’altra tela raffigura l’Estasi di san Filippo Neri e proviene dall’omonimo oratorio soppresso, istituito a Palma nel 1681. L’opera fu realizzata dall’udinese Giovanni Cosattini (1625-1699), canonico di Aquileia, che ebbe chiara fama lavorando come ritrattista alla corte di Vienna.
La cappella della Madonna del Carmine
La cappella verso la sacrestia, un tempo era dedicata alla Madonna del Carmine. L’altare originale in legno era stato edificato nel 1630 dalla omonima confraternita, su commissione del capitano di fanteria Michele Ciceri, che fece costruire all’ingresso della cappella una sepoltura per le figliolette Porzia e Francesca, che morirono rispettivamente all’età di quattro e sei anni. La stessa tomba, denominata in seguito “Arca degli Angioletti” fu utilizzata fino al 1806 come tumulo per tutti i bambini defunti in fortezza. L’attuale altare in marmo di Carrara risale al 1905.
Sulla parete di destra è visibile la pala denominata Regina Palmae, eseguita dal pittore friulano Ernesto Bergagna (1902-1991) nel del 1958. Il dipinto raffigura la Madonna con il Bambino che veglia sulla città di Palmanova. Lo stesso autore preparò anche i cartoni delle tre vetrate con motivi mariani.
L’iscrizione funeraria, posta sulla soglia della cappella, di fronte alla lapide dedicata alle sorelle Ciceri, è chiara testimonianza della presenza eterogena della popolazione civile e militare che abitava in fortezza. Proviene dall’Oratorio di San Filippo Neri da dove venne asportata nel 1840 e qui collocata. La lapide ricorda la vita del Governatore alle Armi, (importante carica di potere in fortezza) Principe Maurizio Ottomano morto il 17 novembre 1693. Il padre di Ottomano era il sultano Jacchia, a sua volta figlio del sultano Maometto III. La madre di Jacchia, Elena Commeno era cristiana, mai convertitasi alla fede islamica. Maurizio giunse a Palma nel 1682, dopo aver prestato servizio, come Governatore, in Dalmazia e a Padova, per conto della Serenissima. Nell’iscrizione si ricordano le due figlie gemelle Elena ed Anna Maria ed il loro tutore Pietro Paolo Petreio, protomedico fisico, cognato del Principe Maurizio.
La volta a botte della cappella fu affrescata da Domenico Fabris nel 1861, su commissione dei fedeli, che fecero voto alla Madonna della Salute in occasione di una epidemia di colera che colpì la Bassa Friulana nel 1855. Il Fabris fu chiamato a perpetuare questo episodio che mette in risalto la Vergine con il Bambino e ai suoi piedi le figure dell’Arcivescovo Trevisanato e di don Giuseppe De Franceschi, Arciprete a Palmanova dal 1832 al 1864, attorniati da alcune persone colpite dal contagio. L’atteggiamento dell’angelo, al centro della scena, sembra assicuri la protezione della Vergine. Tra le vele della volta sono rappresentate le Virtù cardinali, mentre motivi fitomorfi e rilievi in stucco dorato decorano le superfici di raccordo.
La scultura lignea collocata sull’altare della cappella e raffigurante Madonna in trono con Bambino è opera del Cinquecento, attribuita a Martino Mioni da Tolmezzo, fratello di Domenico da Tolmezzo (1448-1507). Il manufatto proviene quasi certamente da una delle chiese dei villaggi circostanti, Ronchis, San Lorenzo e Palmada, distrutti dai Francesi per ampliare le fortificazioni di Palma.
L'altare delle Milizie
A ridosso delle pareti laterali del duomo, già in epoca veneziana, furono costruiti quattro altari.
Particolare rilievo assume l’altare collocato ai piedi della gradinata, vicino alla porta della sacrestia, denominato Altare delle Milizie. Fu edificato nel 1640 per volere del Provveditore Generale.
L’impianto architettonico presenta quattro colonne di marmo nero fiorito di Timau, sormontate da altrettanti capitelli dorici. Il frontone ad arco contiene un timpano spezzato con al centro una decorazione. Sulla cima della pala è raffigurato lo stemma della famiglia Gradenigo. L’altare presenta nella parte inferiore un paliotto intarsiato di stucchi policromi su fondo nero; commissionato dal Provveditore Girolamo Gradenigo durante il suo generalato a Palma (1680-1682). All’interno dell’altare è collocata la pala più rappresentativa del duomo, cosiddetta delle Milizie. L’opera fu eseguita nel 1641 da Alessandro Varotari detto il Padovanino.
Fra i pittori veneti dell’epoca, il Varotari era il più strenue ammiratore del Tiziano giovane e assertore convinto della necessità di un recupero della tradizione cromatica cinquecentesca. Infatti, con un colore denso e pastoso vengono rappresentati i santi protettori delle milizie venete e dei rappresentanti della famiglia Gradenigo. Nel modulo costruttivo a sistema piramidale dell’opera emergono al vertice le figure di san Bartolomeo che alza il coltello, strumento del suo martirio e san Girolamo, che appoggiato sul leone dormiente guarda ispirato verso il cielo. Nella parte inferiore spicca la figura di guerriero di san Teodoro che porta il vessillo della vittoria. Santa Barbara, protettrice degli artiglieri, in atteggiamento estatico, è adagiata su un cannone e alle sue spalle si vede san Michele con le ali spiegate. Tipicamente tizianeschi i quattro putti che giocano ai loro piedi, tra le palle di bombarda.
La tela è stata oggetto di interventi di restauro, il primo venne eseguito nel 1863 dall’Accademia di Venezia e il secondo nel 1968; va inoltre ricordato, che durante il primo conflitto mondiale, l’opera fu trasferita a Venezia per preservarla dai bombardamenti e ritornò a Palmanova nel 1920.
L'altare del Crocefisso
L’altare di fronte a quello delle Milizie era dedicato, in origine, al Crocefisso. Venne edificato nel 1645 da Giovan Battista Gabrieli, che fece scolpire lo stemma della famiglia alle basi delle colonne. La pala originale è andata perduta e nel 1833 fu sostituita con una tela raffigurante la Madonna del Rosario di Pietro Bainville.
Pietro Bainville, artista di origine francesce, arrivò nella fortezza di Palma, forse chiamato dai frati francescani o dalle confraternite religiose esistenti in loco, che come attestano i documenti, gli commissionarono diverse opere d’arte. Pur mancando di rilevante personalità artistica, il Bainville operò attivamente nella Bassa Friulana elaborando in particolare dipinti a tema religioso. Aprì bottega in fortezza ed avviò all’arte della pittura Giacomo Leonardis (1723-1797) che divenne incisore di chiara fama e Francesco Pavona (1697-1777) pittore ritrattista che operò alla corte di Lisbona. Morì a Palma nel 1749 all’età di 75 anni circa, come si legge nei registri dei morti conservati nell’archivio parrocchiale di Palmanova.
La sacrestia del duomo conserva altre due opere di Pietro Bainville, una tela con San Marco e Santa Giustina e un dipinto raffigurante Le Reliquie di san Spiridione, protettore delle milizie greche.
Nella parete di fronte alla sacrestia è collocata la tela dell’Annunciazione, opera del pittore udinese Eugenio Pini (1600-1654) ed eseguita nel 1643 su commissione del nobile Lodovico di Varmo, per l’altare dell’Annunziata. La costruzione pittorica, ancorata a schemi cinquecenteschi, mette in risalto la Madonna che guarda verso il cielo, sul lato sinistro l’arcangelo Gabriele inginocchiato su una nuvola, che tiene con la mano destra il giglio, simbolo di purezza, d’innocenza e di veriginità, che termina in tre fiori alludendo alla tripla verginità di Maria, prima, durante e dopo il parto. La mano sinistra dell’arcangelo indica verso l’alto la colomba dello Spirito Santo attorniata da una schiera di putti.
L'altare della Sacra Famiglia
L’altare della Sacra Famiglia, il primo a destra entrando in duomo, architettonicamente simile a quello del Crocefisso, risale al 1645. Il paliotto ad urna invece, fu commissionato nel 1684. Sul lato sinistro dello stesso è ancora visibile una delle portelle in legno, che venivano aperte per mostrare ai fedeli l’effige di santa Giustina. La tela posta sull’altare è opera di Eugenio Pini, eseguita nel 1645.
Il dipinto di Eugenio Pini, del 1645, fu eseguito per volontà di Anna e Bernardino Stua. Sul bordo sinistro della pala si legge “Anna Stua fece far per la sua devozione”. Evidenti i motivi che hanno dettato la scelta dei santi da raffigurare. La scena pittorica, infatti, illustra il Bambino, che sulle braccia di Maria, sembra svincolarsi per prendere la mela che Sant’Anna gli porge. Più in basso a destra san Bernardino da Siena, propagatore della devozione del Santissimo Nome di Gesù, che regge il disco con il monogramma IHS, diventato il suo principale attributo iconografico. Il vecchio Giuseppe, alle spalle di Maria, osserva composto la scena; in alto l’Eterno Padre e gli angeli che intrecciano un tronco di quercia con festoni. Va ricordato che sotto la tela veniva un tempo alloggiato un insolito reliquiario con forma di croce a raggiera ed esposto ai fedeli per mezzo di un apposito argano. L’opera venne eseguita dall’artigiano Silvio Piccinini nel 1895.
L'altare dell'Annunziata
Di fronte all’altare della Sacra Famiglia è collocato l’altare dell’Annunziata formato da marmi policromi e risalente al XVII secolo. Tale costruzione proviene dalla soppressa Chiesa di Santa Barbara e fu collocato in duomo nel 1820, sostituendo l’originale in legno eseguito nel 1643 su commissione del nobile Lodovico di Varmo e uno successivo realizzato nel 1672. La tela inserita all’interno, con la rappresentazione del Mistero dell’Annunciazione è opera del forlivese Pompeo Randi (del 1878).
Prima ancora che la costruzione del duomo fosse completata, tutte le funzioni religiose erano accompagnate da musica. Nel 1648 fu costruito un organo e il palco della cantoria, collocati sulla parete di sinistra del duomo. Tale organo era sormontato dallo stemma della famiglia Dolfin, affiancato da due putti che reggevano strumenti musicali, rimossi nell’Ottocento. Nel 1811 lo strumento originale fu venduto ed acquistato l’attuale.
Particolare menzione meritano i dipinti conservati nella sacrestia, costruita nel 1638. L’edificio, chiamato un tempo sala dei ritratti, raccoglie nove dipinti raffiguranti i Provveditori Generali che si premurarono, durante la loro permanenza in fortezza, di abbellire il duomo. Tutti i ritratti sono accompagnati da un’iscrizione laudatoria in latino e dallo stemma di famiglia; i Provveditori raffigurati sono Girolamo Gradenigo (1682), Girolamo Renier (1686), Alvise Mocenigo (1743), Francesco Loredan (1750), Ermolao Pisani (1751), Angelo Contarini (1754), Tomaso Querini (1757), Leonardo Valmarana (1765) e Gio.Benedetto Giovannelli (1777).
La carica di Provveditore Generale di Palma era molto ambita nel governo veneziano; molti di questi divennero Dogi di Venezia. Il Provveditore era responsabile del governo e della giustizia civile e militare della fortezza e delle tre ville di Palmada, San Lorenzo e Ronchis. I segni del suo status erano il mantello scarlatto indossato sopra l’armatura e il bastone di comando. Nei ritratti della sacrestia, alcuni eseguiti con buona tecnica artistica, emerge la descrizione degli abiti signorili e dei dettagli della moda del tempo, rappresentativi di un’arte intesa come immagine del potere veneziano.
Segnaliamo sempre all’interno della sacrestia un olio su tela attribuito al Padovanino con l’immagine di Santa Lucia; probabilmente in origine la pala era collocata come sottoquadro al citato Altare delle Milizie e probabilmente si tratta della trasformazione di una precedente raffigurazione di Santa Giustina.
Lungo i muri perimetrali del duomo è collocata la Via Crucis, risalente alla seconda metà del Settecento. Il gruppo di opere dipinte con tecnica ad olio su tela, secondo alcuni storici, proviene da qualche chiesa soppressa del Veneto. Il complesso pittorico è stato attribuito alla bottega di Tiepolo. La pratica devozionale della Via Crucis fu istituita, per la prima volta, nel duomo di Palma nel 1810.
Il Trono e la Madonna del Rosario
Il Trono processionale per la statua della Madonna del Rosario, è un’interessante opera di intaglio ligneo, dipinto e dorato dal palmarino Sebastiano Prestint nella seconda metà del Settecento. La statua con la Madonna, che sostituisce quella originale, fu realizzata da intagliatori della Val Gardena e portata a Palma nel 1913. Durante la prima domenica di ottobre, in occasione della ricorrenza della Madonna del Rosario, la Madonna veniva trasportata dai fedeli in processione attorno all’anello della piazza cittadina.
Il gigantesco lampadario che pende dalle travi del soffitto, che sostituisce una imponente lampada in argento asportata dai francesi all’inizio dell’Ottocento, proviene sicuramente dal Teatro Sociale di Palma, oggi denominato Gustavo Modena.