Il Duomo - Cattedrale di Udine

Duomo di Udine

Il Duomo - Cattedrale di Udine

Le origini

Il fervore religioso che caratterizzò il XIII secolo trovò terreno fertile anche in Friuli dove, come in molte regioni italiane, sorsero conventi, si fondarono confraternite e si costituirono diversi Istituti religiosi. A Udine, in particolare, confluirono gli interessi della Chiesa aquileiese e degli stessi patriarchi, che non di rado preferirono questa città ad Aquileia per i propri soggiorni e incontri diplomatici. Il capoluogo friulano divenne così, tra il XIII e il XIV secolo, il centro politico ed amministrativo più importante del patriarcato.

Il Patriarca Bertoldo di Andechs, desideroso di rendere Udine il centro religioso e civile della Patria del Friuli, considerando il nuovo sviluppo della città, costruì, sul luogo ove si trovava la chiesa di San Girolamo, tra la seconda e la terza cerchia, un nuovo edificio di culto dedicato a Sant’Odorico. Un altro Patriarca, Gregorio di Montelongo, ingrandì il progetto mantenendo la scelta del luogo e la collocazione del Battistero (esterno al duomo secondo l’uso dell’epoca) e decidendo di incorporare nella nuova struttura la parte absidale della primitiva chiesa di San Girolamo.

I lavori proseguirono fino al 1257, anno in cui si attestano le prime celebrazioni all’interno del nuovo edificio cultuale.

Protagonista della costruzione della Cattedrale di Udine insieme ai due Patriarchi finora citati, fu Bertrando di Saint Geniès, il quale nel 1335 consacrò l’edificio col titolo di “Santa Maria Maggiore”.

Un rovinoso terremoto , scatenatosi il 25 gennaio 1348, provocò notevoli danni al Duomo, tanto da ritenere opportuni, non solo il consolidamento dei muri e del tetto e il restauro della facciata, ma anche la costruzione di un nuovo Battistero in sostituzione del precedente.

La riforma del Settecento

Il 1 gennaio del 1706 la “Convocazione della città di Udine” diede il consenso alla prima grande impresa di riforma del coro, segnando così l’inizio delle importanti rivoluzioni architettoniche che contraddistinsero tutto il XVIII secolo.

Attivi promotori di questa riforma furono i rappresentanti della nobile famiglia Manin, la quale offrì un primo decisivo apporto economico per rimodernare il presbiterio e il coro. L’unica richiesta che i Manin avanzarono come condizione primaria alla prodiga offerta fu quella di porre lo stemma e il loro monumento sepolcrale in una posizione di rilievo all’interno dell’edificio. I lavori nel presbiterio ebbero inizio nel 1707 e appena l’anno successivo se ne diede l’incarico al capomastro Abbondio Stazio (1675-1757), appoggiato nell’impresa da Carpoforo Mazzetti Tencalla (1684-1748).

Nel 1710 Antonio Manin chiese ed ottenne di spostare l’altare maggiore verso ovest e di poter demolire le quattro Cappelle del presbiterio, riducendole a due e inserendovi poi gli attuali altari del Nome di Maria e del Nome di Gesù. A destra dell’altare maggiore vi erano infatti l’antica Cappella dei Santi Ermacora e Fortunato e quella dedicata ai Santi Giovanni ed Eustachio (Cappella Arcoloniani), mentre a sinistra erano situate le Cappelle di San Nicolò e del Corpo di Cristo (oggi sede del Museo del Duomo).

Le diverse innovazioni che in quegli anni interessarono il presbiterio e il coro imposero di dover mettere mano anche alla conformazione gotica dell’aula, la quale risultava a quel punto discordante con lo stile barocco assunto dal resto dell’edificio.

Approfondimento

Nel febbraio del 1713 giunse a Udine l’architetto veneziano Domenico Rossi (1657-1737), al quale fu affidata la progettazione della nuova aula della Cattedrale, con la riqualificazione delle navate laterali e delle relative Cappelle.

Il piano dell’opera venne approvato nel marzo dello stesso anno con una pubblica esposizione. Il progetto di Rossi sollevò non solo elogi, ma anche diverse critiche, che insieme ai suggerimenti esposti da Abbondio Stazio e Giuseppe Pozzo (1645-1721) rallentarono il procedimento. I due artisti intervenuti a dare il loro parere disquisirono sull’opportunità di mantenere le quattro Cappelle laterali proposte dal Rossi (Pozzo) o ridurle a due di maggiori dimensioni (Stazio).

I deputati della Convocazione nel marzo del 1714 decisero di far esaminare il progetto da Luca Carlevarijs (1663-1730). Il pittore e incisore di origini udinesi ma operante a Venezia, il quale giudicò il progetto iniziale del Rossi come l’unico meritevole di essere portato a termine.

Ad opera ultimata ciò che si percepì fu la straordinaria intuizione architettonica del Rossi: egli, ben consapevole delle difficoltà nel trasformare un’ossatura gotica in un corpo barocco, comprese fin da subito l’esigenza di creare un insieme armonico tra presbiterio, coro ed aula. Iniziò col smorzare quell’ormai obsoleto verticalismo gotico della navata centrale introducendo un’unica volta a botte al posto delle volte a crociera; queste ultime caratterizzarono invece le navate laterali e le cappelle, le quali, comunicanti tra loro, crearono l’illusione di un edificio a cinque navate. Modificò, aggiunse ed eliminò finestre, dando rilievo agli ingressi laterali e ai sostegni degli organi.

La riforma dell’aula prese corpo tra il 1714 ed il 1717. La direzione dei lavori fu affidata a Luca Andreoli, che si attenne al progetto di Domenico Rossi.

Udine nel 1735 poteva dunque vantare una nuova, maestosa Cattedrale consacrata il 18 aprile dall’allora patriarca Daniele Delfino, che la intitolò all’Annunziata andando così a sostituire definitivamente le precedenti denominazioni.

La facciata

L’imponente facciata della Cattedrale non è solo il frutto dell’impostazione architettonica data all’intero edificio nel corso dei vari secoli, ma anche il risultato di un intervento di restauro dei primi del Novecento, che ne mutò in modo significativo l’estetica nel tentativo di riproporre ciò che era stato realizzato nel 1366 da Pietro Paolo da Venezia e già concepito nelle sue linee fondamentali nella ristrutturazione del patriarca Pagano della Torre (1330 circa).

Quella che oggi si può ammirare, tra aggiunte, manomissioni e restauri vari, è dunque una facciata di idea gotica, a salienti, con tre rosoni, due dei quali chiudono in ambo i lati la loggetta cieca trilobata. Al di sotto, un protiro pensile sovrasta il portale centrale, che si mostra affiancato dagli ingressi laterali sopra cui si aprono due alte bifore.

Approfondimento

Confrontando lo stato attuale della facciata con quello ritratto in una foto d’epoca, si notano chiaramente le modifiche attuate con il restauro del 1909. In nome di una presunta armonia estetica si decise ad esempio di evidenziare la netta divisione tra la parte cinquecentesca in cotto e quella sopraelevata nel Settecento, su cui sono state inoltre aperte delle finestre ogivali in sostituzione delle precedenti rettangolari. Nella loggetta cieca è poi evidente la ricostruzione delle due arcate centrali che durante la riforma settecentesca erano state sacrificate a favore dell’apertura di una finestra. 

I due accessi minori furono ricostruiti in stile neogotico, sacrificando però le preesistenti porte di Domenico Rossi, che a quel punto, in un saggio recupero, furono impiegate quali ingressi laterali. 

Nella complessa storia della Cattedrale assistiamo all’inserimento nel 1926 di un protiro pensile trilobato sopra il portale centrale. 

Una terza cuspide, quella che era posta centralmente, saliva inoltre a sostegno di un gruppo figurativo (forse un’Annunciazione) alloggiato in quella piccola nicchia che ancora oggi si vede. 


Approfondimento

Concepito da una bottega locale, ma con chiari influssi nordici, il centrale portale della Redenzione, risalente alla metà del XIV secolo, appare oggi mutilo di una serie di elementi scultorei, tra cui dodici statuine, probabilmente gli apostoli, che ornavano la strombatura.

Da notare l’Aquila patriarcale, collocata in alto, e lo stemma di Udine, inserito entro la decorazione a viticcio della trabeazione. Curiosa è la mensola antropomorfa posta a sostegno del pinnacolo laterale sinistro e affiancata dallo stemma della famiglia Uccellis, mentre è ricco di simbologia l’albero che nasce dalla testa coronata posta a destra.

Tutti questi elementi concorrono a delineare un complesso piano iconografico concepito come Biblia pauperum, capace di sviluppare un racconto per immagini della Redenzione del genere umano. Essa si spiega al centro del timpano: in alto la scena dell’Adorazione dei pastori, sotto il Crocifisso, ai cui lati sono scolpiti l’Agnello, con labaro e aureola, simbolo di Cristo e del suo sacrificio, e la Resurrezione di Gesù tra lo stupore dei due legionari.

Nell’intervento subito dalla facciata nel 1953, per far fronte all’abbassamento del manto stradale della prospiciente piazza, si decise di inserire l’attuale gradinata. Essa venne posta senza alcuna accortezza estetica, tanto da causare la perdita della leggibilità della facciata, leggibilità depauperata anche dall’aggiunta dei rivestimenti in pietra posti in senso verticale.

Il lato nord

Sul lato nord della Cattedrale si può apprezzare una delle porte minori collocate sulla facciata fino al restauro del 1909 e da questo sacrificate in luogo degli attuali ingressi neogotici. Su un timpano sagomato poggiano le eleganti sculture di Giuseppe Torretti (1694-1774): un putto e due figure femminili in cui si riconoscono la Fede, a sinistra, e la Speranza, a destra. Il portale introduce in un atrio dove sono situate una lapide paleocristiana, donata nel XIX secolo e proveniente dalle catacombe romane, una formella con l’Agnus Dei, già chiave di volta dell’antico Battistero, e sopra la porta d’ingresso all’aula, una statua lignea raffigurante San Biagio, opera attribuita a Domenico da Tolmezzo (1448-1507).

Approfondimento

Posto ad angolo con l’accesso all’antico Campanile è collocato il portale dell’Incoronazione della Vergine, che prima dei lavori settecenteschi si trovava proprio nel luogo ove oggi si vede l’ingresso barocco. Il recente restauro permette di cogliere appieno la bellezza dell’impianto scultoreo, che fu concepito nel 1395-1396 da uno scultore tedesco, il quale racchiuse entro l’arco a sesto acuto una significativa folla di santi. Partendo dalle nicchie a destra e a salire si possono dunque leggere le figure di San Zenone, Santa Barbara, sotto i cui piedi si nota lo stemma del benefattore Francesco Nimis, l’apostolo Pietro, con lo stemma di Udine e, a lato, la Vergine Annunciata, sopra la quale scende la colomba dello Spirito Santo. Nell’intradosso sono scolpiti S. Antonio, la Maddalena e San Giovanni Battista, seguito da una figura purtroppo non identificabile. A scendere troviamo l’apostolo Paolo, l’arcangelo Gabriele e, sotto, un Santo Vescovo e una figura francescana, ai cui piedi si nota lo stemma della confraternita di Santa Maria dei Battuti. Sulla sommità dell’arco è oggi visibile l’Ecce Homo, unica figura superstite dell’antica guglia. Sull’architrave sono narrati alcuni episodi dell’infanzia di Gesù, mentre nel timpano ha luogo l’Incoronazione della Vergine.

Approfondimento

Di raffinato e colto intaglio sono anche le due statue dell’arcangelo Gabriele e dell’Annunciata, poste oggi, come già alla fine del Trecento, alla base del Campanile, ad occidente. Non deve destare meraviglia la presenza del baldacchino che, se pur di differente materiale, faceva sicuramente parte anche del progetto iniziale. 

Approfondimento

Sulle pareti esterne dell’edificio si possono anche scorgere le formelle un tempo collocate al centro delle volte a crociera delle antiche Cappelle della Cattedrale: dalla chiave di volta sul versante settentrionale, appartenente alla cappella Corporis Christi degli inizi del XVI secolo e posta, fino al Settecento, nel presbiterio, alle tre chiavi di volta situate sul lato opposto dove sono visibili, da sinistra verso destra, quelle delle Cappelle di Santa Maria dei Battuti e di Sab Gregorio e, per ultima, quella di San Rocco

Il lato Sud

Il portale d’ingresso all’atrio meridionale fu eseguito nel 1525 dallo scultore Carlo da Carona (1485-1545).

L’ampio lunettone invetriato nel ‘700 in origine ospitava la Vergine col Bambino, scultura del medesimo autore ed ora collocata sopra la porta d’ingresso all’aula.

Il campanile

Merita un breve accenno anche il Campanile poiché esso appare quale curioso “non finito” architettonico. La sua collocazione, all’inizio pensata in via Vittorio Veneto nel luogo dove, fino a poco tempo fa, si trovava la storica farmacia Asquini, venne nel 1441 fissata sopra l’adiacente cappella di San Giovanni Battista, ovvero sopra il Battistero. L’intera struttura fu predisposta per poter sostenere una torre che, viste le proporzioni dell’edificio, si preannunciava di grandi dimensioni. Su progetto di Cristoforo da Milano, nel 1450 Bartolomeo delle Cisterne si apprestò all’impresa, che appena dieci anni dopo suscitava alcuni dubbi statici addirittura nello stesso esecutore! Bartolomeo delle Cisterne, infatti, nel 1460 mise l’accento sulla scarsa stabilità dell’erigendo Campanile, avvertendo la popolazione che proseguendo in quel modo si sarebbe certo incorsi in un crollo. L’allarmante ma pur ragionevole avviso pose fine, nel 1469, all’innalzamento del Battistero che, evidentemente, non era risultato poi una base sufficientemente solida per un progetto così grandioso.

Le cappelle nella navata sinistra

Cappella di San Marco

La prima cappella che si incontra è quella intitolata a San Marco. L’altare (del 1744) è opera di Giorgio Massari (1687-1766), autore anche di quelli delle tre corrispondenti cappelle nella navata sud.

Sul basamento è raffigurato l’evangelista nell’atto di scrivere il suo Vangelo, mentre ai lati si riconoscono altri due santi cari alla tradizione contadina: San Sebastiano e San Rocco. Sull’altare consacrato dal Patriarca Daniele Delfino nel 1754 si poteva ammirare allora come oggi la pregevole pala di Giovanni Martini (1475-1535), eseguita nel 1501, come ci è dato conoscere dall’iscrizione sull’alto piedistallo del trono.

 

Addossate alla parete si possono vedere due tele di Maffeo da Verona (1576-1618) concepite in origine quali portelle d’organo e raffiguranti lo Sposalizio della Vergine e il Transito di san Giuseppe (1615 circa).

 

Alzando lo sguardo si viene catturati dalla vivace scenografia messa in atto da Andrea Urbani (1711-1798) che qui, come nelle due successive cappelle, manifesta appieno il suo virtuosismo nel realizzare, tramite il gioco prospettico, il sapiente inganno dello spazio reale.

Approfondimento

Nella pala di Giovanni Martini, del 1501, a fianco di San Marco si distinguono Santo Stefano e San Giovanni Battista, ai cui piedi si trovano San Girolamo e il beato Bertrando da un lato e Sant’Ermacora e Sant’Antonio abate dall’altro. Con una gradevole precisione miniaturistica il Martini elabora delle vesti che con la loro preziosità concorrono ad arricchire ulteriormente la pala d’altare.

Al di sotto si trova la predella eseguita nel 1744 da Gian Domenico Ruggeri (1696-1780), in cui al centro è inserita la Vergine col Bambino, adorata col titolo di Madonna della salute, mentre ai lati si riconoscono i Santi Rocco e Sebastiano e i Santi Omobono e Lucia

La cappella di San Giuseppe

La volta della cappella di San Giuseppe è opera del 1742 di Andrea Urbani (1711-1798), sovrabbondante di festoni fioriti e ampliata grazie ad un cupolino prospettico dal quale scende, quasi fosse un lampadario, un mazzo di fiori.

All’interno dell’attuale altare ideato da Giorgio Massari fu inserita la pala con San Giuseppe, eseguita già tra il 1500 e il 1501 da Pellegrino da San Daniele (1467-1547) per l’antica cappella voluta dal Luogotenente Loredan quale voto fatto al santo.

L’altare conserva, dal 1971, le spoglie del beato Bertrando, in origine custodite all’interno dell’arca (oggi visibile nel Battistero) e ora qui esposte per la preghiera dei fedeli

Approfondimento

All’interno dell’imponente ambientazione architettonica ideata da Pellegrino da San Daniele, nel 1500-1501, si nota San Giuseppe col Bambino e, al suo fianco, la figura di giovane questuante, che molti interpretano quale autoritratto del pittore trovandosi questi all’epoca in una grave condizione di povertà. La predella è invece divisa in due scene, l’adorazione del Bambino e la fuga in Egitto, in cui il santo titolare è descritto nella più affettuosa e protettiva veste paterna. 

Approfondimento
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Tra le cappelle di San Marco e di San Giuseppe è situata la statua di Sant’Antonio da Padova (1933): è pregevole opera dell’intagliatore Valentino Panciera Besarel (1829-1902). Essa è inserita entro una ringhiera di ferro battuto in cui Antonio Calligaris (1880-1960), ispirandosi ai lavori da lui stesso eseguiti nella Basilica padovana, rilegge in chiave Liberty alcuni elementi che appartengono al classico repertorio decorativo.

All’inventiva del Besarel appartiene anche l’altarolo ligneo dedicato al Crocifisso e collocato sul lato opposto della navata.

La cappella della Madonna nella navata sinistra.

Proseguendo si accede alla cappella della Madonna della Divina Provvidenza il cui altare, coperto dalla volta di Andrea Urbani e progettato da Giorgio Massari, vide la realizzazione nel 1720 su incarico delle confraternite di San Nicolò e San Girolamo. Questi sono dunque i santi titolari dell’antica cappella, fattore che spiega la loro presenza sul rilievo marmoreo di Giuseppe Torretti. L’immagine della Madonna con Bambino che domina l’alzato è una copia quattrocentesca dell’analogo soggetto venerato in Santa Maria Maggiore a Roma, e qui collocata per volontà della fraterna dei sarti (1789). A seguito della presenza di tale effige nel 1846 le autorità ecclesiastiche decisero di destinare la cappella dei Santi Nicolò e Girolamo al culto della beata Vergine della Provvidenza.

La cappella delle Reliquie

L’ultimo vano della navata sinistra ospita la Cappella delle Reliquie, seguita dal busto celebrativo di papa Pio IX, opera di Vincenzo Luccardi (1808-1876).

Concepita già nell’idea del Rossi per ospitare l’arca con le spoglie del beato Bertrando, essa racchiude un altare progettato dall’architetto Francesco Riccati (1718-1791), il quale, con il recupero di alcune parti di quello preesistente, creò una struttura in cui elementi stilistici del primo Settecento si sposano con altri tipici della fine di quel secolo.

Dell’apparato scultoreo, frutto dell’arte di diversi maestri, risalta la monumentale eleganza delle due statue laterali raffiguranti San Gregorio papa e San Quirino, opere di Giovanni Bonazza (1654-1736) e i due altorilievi settecenteschi con l’Annunciazione e la Visita a sant’Elisabetta, di Giuseppe Torretti.

Il trittico con il Sacro Cuore di Gesù tra Santa Teresa del Bambino Gesù e la beata Elena Valentinis è invece un’opera contemporanea di Fred Pittino (1940). Al di sotto della mensa si trova invece il corpo della beata, qui deposto nel 1845 per la venerazione dei fedeli.

La semplicità dell’altare è impreziosita dal fasto della volta (1790) dove, tra le quadrature di Giuseppe Morelli, si colloca la decorazione di Pietro Antonio Novelli (1729-1804) con la Santissima Trinità in alto e sotto una schiera di santi tra cui figurano i santi Ermacora e Fortunato, protettori della città di Aquileia.

A destra, sulla parete, vi è un Crocifisso ligneo attribuito a Bartolomeo dall’Occhio (morto nel 1511), eseguito nel 1473 e qui collocato durante il Settecento, epoca alla quale risale la scenografica nube di angeli in stucco che avvolge il Cristo morente. L’impostazione di tali stucchi è sicuramente da riferire allo Stazio, mentre la loro realizzazione è da attribuire a qualche maestranza di bottega.

Approfondimento
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Gli organi della Cattedrale rappresentano degli eccellenti esempi della scuola organaria veneta. L’organo collocato lungo il lato sud (in cornu epistulae) sostituì negli anni venti del Cinquecento il preesistente ormai inutilizzabile. Quello che si può oggi ammirare è dunque il frutto della riforma settecentesca, durante la quale si tolsero dall’insieme le portelle di Pellegrino da Sa Daniele - ora al Museo Civico di Udine - le quali, chiudendosi, mostravano San Pietro mentre consegna il pastorale a Ermacora.

Sant’Ermacora e san Fortunato, patroni della città, sono i soggetti delle storie raffigurate sulle specchiature del parapetto della cantoria (1527), opera di Giovanni Antonio de Sacchis, detto il Pordenone (1483-1539). Briose nella narrazione degli eventi, queste formelle sono state deturpate nella loro ariosità compositiva dalle modifiche apportate nel Settecento quando, per ragioni architettoniche, alcuni quadri furono ridimensionati, col risultante taglio di certe parti. Le formelle poste alle due estremità e raffiguranti Il battesimo delle quattro vergini aquileiesi e La deposizione dei santi Ermacora e Fortunato, non subirono fortunatamente la medesima sorte ed oggi gli originali si possono ammirare nelle sale superiori del Museo del Duomo.

Considerato come uno dei capolavori dell’artista friulano, questo complesso pittorico ne esalta la capacità narrativa e indagatrice dei soggetti, che vengono qui risolti con ampie e vivaci pennellate.

Più tarda la collocazione dell’organo lungo la parete nord, in cornu evangeli (1549), le cui pitture della cantoria, con passi della vita di Gesù, furono eseguite nel 1566 da Francesco Floreani (1515 circa-1593) e Giovanni Battista Grassi (1525-1578) e subirono nel XVIII secolo la medesima sorte delle tavole dell’organo in cornu epistulae. Non si possono invece ammirare in loco le portelle d’organo, opera di Pomponio Amalteo (1505-1588) ed oggi collocate sulle pareti delle cappelle della santissima Trinità e del Santissimo.

Appartengono invece al XIX secolo le tribune (per i fiati), i cui parapetti sono, in ambo gli organi, opera dello stesso autore. 

L'altare maggiore

L'altare maggiore

Fulcro del presbiterio, da cui si diparte l’intera macchina scenica che cattura l’attenzione del visitatore, è l’altare maggiore (1716-18), opera di Giuseppe Torretti, al quale si devono pure le statue dell’Annunciazione, in alto, e del beato Bertrando, posta sotto la mensa. Il brioso, ma aggraziato movimento dell’Arcangelo e la delicatezza del volto e del gesto dell’Annunziata si abbinano all’energico risveglio dal sonno eterno che caratterizza la statua del Beato.

Il complesso scultoreo del Torretti concorre così a completare la raffigurazione della Trinità: sull’altare il Figlio, sulla parete di fondo lo Spirito Santo e sulla sommità della cupola l’Eterno Padre. Qui, in uno spazio sapientemente organizzato dagli stucchi di Abbondio Stazio, il francese Louis Dorigny (1654-1742) dipinse, nel primo decennio del Settecento, un giubilo di angeli glorificanti il Padre Eterno. In questo dipinto poco o nulla resta delle antiche pennellate del Dorigny: già in parte danneggiato l’affresco fu rifatto una prima volta, restaurato poi nel 1863, e ridipinto nel 1878 a seguito di un crollo del tetto. Quello che oggi si può ammirare, pur nella straordinaria impostazione scenica data dal Dorigny, è in parte il frutto dell’opera di Fred Pittino, artista locale che nel 1965 venne incaricato di ripristinare la pittura della cupola distrutta dall’incendio cagionato dal bombardamento aereo del 7 maggio 1945.

Approfondimento

La maestria del Dorigny è ancora godibile nella sua interezza di forme e colori sulle volte laterali del transetto. Queste racchiudono scene dell’Antico e Nuovo Testamento e poggiano simbolicamente sugli ovali a monocromo raffiguranti i profeti Geremia, Isaia, Ezechiele, a sinistra, e i dottori della Chiesa Agostino, Gregorio e Ambrogio, a destra.

Sulla volta di sinistra le quattro vele ospitano una narrazione che va dai nostri Progenitori fino ai precursori di Cristo: Adamo ed Eva, Abele con Noè e la Colomba col ramoscello d’ulivo, Il sacrificio d’Isacco, Mosè, David, Aronne e Daniele e infine, verso la cupola, San Giovanni Battista e San Giuseppe. Sulla volta opposta si distinguono invece i santi del Nuovo Testamento: San Francesco, Sant’Andrea, San Lorenzo e due sante, Sant’Apollonia e Santa Caterina d’Alessandria, Santa Maria Maddalena, San Giovanni Evangelista e San Matteo, chiudono, verso la cupola, Santa Cecilia, San Michele arcangelo e San Giacomo apostolo.

Il Dorigny diede poi nel coro degno compimento all’ampio piano ornamentale previsto dai Manin (1727). Sulla volta lo stemma della famiglia, rischiarato dalla luce dello Spirito Santo, entra nell’insieme decorativo delle vele, dove schiere angeliche sorreggono i simboli della Passione.

Alle pareti, al di sopra degli antichi stalli del coro (1620) riservati ai Canonici, sono visibili due grandi tele del Dorigny che raffigurano, a sinistra, Glorificazione di Gesù nella Resurrezione, il Trionfo della Fede che abbatte l’Idolatria, l’incatenamento di Satana, del Peccato e della Morte, sull’altro lato il Trionfo del Salvatore nell’Ascensione con ossequio della Natura, del Cielo e dell’Inferno genuflessi, il Tributo della Gloria umana assisa in mezzo ai fasti e alle pompe del basso mondo e, proseguendo verso l’alto, due monocromi entro lunette a rappresentare Gesù nel deserto e l’Orazione nell’orto.

 

Transetto

Gli altari del Nome di Marie e del Nome di Gesù

Sul transetto, al di sotto dell’assemblea di santi della volta a sud, è collocato l’altare del Nome di Maria a cui corrisponde, sul lato opposto, quello dedicato al Nome di Gesù. D’ispirazione berniniana con le loro colonne tortili e i monogrammi raggiati, sono entrambi opera di Giuseppe Pozzo (1718).

Alle spalle degli altari si apre un ricco e raffinato bassorilievo ornamentale, in cui Giovanni Ziborghi (1719) interpreta il senso della vita religiosa.

I mausolei Manin

Addossati alle pareti laterali del transetto si elevano i due imponenti mausolei Manin.

Domenico Rossi li concepì nel 1714 come un’architettura piramidale al cui vertice sono collocati la sfera terrestre e l’angelo con la tromba della fama nell’atto di far vibrare nell’aria i fasti della nobile famiglia.

I due monumenti, realizzati senza dubbio con il concorso di valenti scultori coadiuvati da Giuseppe Torretti (1715-1718), rappresentano uno straordinario insieme di allegorie celebrative a cui si uniscono le figure angeliche poste fra gli altari. A decoro del cenotafio di destra si vedono, da sinistra, le seguenti sculture: La Giustizia e la Pace (Pietro Baratta), L’Equità (Antonio Tarsia), Fama e Pace (Francesco Cabianca), La Ricchezza e la Parsimonia (Antonio Tarsia). Sul mausoleo opposto spiccano la Generosità e la Sostanza (Giuseppe Torretti), Religione cristiana e Fama (Antonio Corradini), Nobiltà (Pietro Baratta), La Forza e la Potestà (Marino Groppelli).

Sul manto del leone, simbolo della città lagunare, vi sono poi delle epigrafi a ricordo dei membri della famiglia. Forte è dunque in questi monumenti il senso allegorico, certo ben chiaro ai contemporanei dei Manin, i quali vollero con esso celebrare in Venezia se stessi.

Approfondimento
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Al di sotto dei mausolei Manin sono inseriti gli stalli lignei del coro (1720-1721), opera mirabile di un copioso numero di artefici coordinati da Giuseppe Torretti. Il complesso programma iconografico si sviluppa in sei bassorilievi rettangolari che, posti ai lati delle due cattedre, - quella dove sedeva il Patriarca (a sinistra) e quella riservata al Luogotenente (a destra) - ripercorrono le storie dell’Antico Testamento.

L'altare

Realizzati su progetto di Luciano Ceschia (1926-1991) sono invece l’altare e l’ambone lignei, che con un linguaggio moderno si inseriscono audacemente in questo contesto barocco.

Le cappelle della navata destra

La cappella del Santissimo Sacramento

La cappella del Santissimo Sacramento appare tra le altre come la più fastosa, complici gli affreschi che la decorano e il sontuoso altare dove emergono con forza i simboli dell’Eucarestia.

L’Eucarestia è anche il soggetto della volta affrescata dall’Urbani, il quale, nel decorarla, risentì dell’energica presenza delle vicine pitture del Dorigny e, ancora di più, di quelle dell’artista che con la sua pittura contraddistinse questo ambiente, nel 1726. È infatti Giambattista Tiepolo (1696-1770) il vero protagonista del tripudio di luce e forme, chiara espressione di un’arte giovanile che già preannunciava un linguaggio che, proposto anche in palazzo Patriarcale, avrebbe segnato per sempre l’arte locale.

Dai monocromi ai lati dell’altare con Il sacrificio d’Isacco e L’apparizione dell’angelo ad Abramo lo sguardo sale per ammirare il bagliore della volta celeste, sulla quale si stagliano eleganti angeli che, vestiti di ampie e vaporose stoffe, creano con i loro corpi un suggestivo illusionismo spaziale accentuato dalla felice intuizione di prevedere alcune parti aggettanti realizzate in stucco.

I dipinti di Tiepolo e Amalteo

La Cappella racchiude anche un tesoro dell’arte matura del Tiepolo: di piccole dimensioni, ma di grande forza teatrale, la pala con la Resurrezione manifesta le eccelse doti di questo artista, che di lì a poco si sarebbe apprestato, con il figlio Domenico, alla decorazione del vicino Oratorio della Purità.

La tela con La cacciata dei mercanti dal Tempio, ora appesa alla parete, in origine era divisa in due parti e costituiva l’esterno delle portelle dell’organo in cornu evangeli. Nella concitazione delle figure che animano la scena si può intravedere sulla balaustra l’iscrizione latina che ci svela il nome dell’autore, Pomponio Amalteo e l’anno di esecuzione, 1555. 

La statua dell’arcivescovo Bricito

A fianco della Cappella del Santissimo si trova la scultura di Luigi Minisini (1816-1891) raffigurante l’arcivescovo Zaccaria Bricito, qui ritratto avvolto nell’ampio piviale trattenuto in un gesto che, assieme all’espressione del volto, ci restituisce una persona d’animo pacato.

Il pulpito

Proseguendo lungo la navata, tra la Cappella del Santissimo e quella successiva, si incontra il “marmoreo” pulpito del 1742, sapiente inganno della materia: se infatti i piedistalli sono in marmo, non è così per il corpo risolto in legno e poi dipinto ad imitare il candido materiale.

Il pulpito del duomo, ideato da Giuseppe Torretti nel 1741, è in realtà il risultato di un’équipe di intagliatori e scultori tra cui Orazio Bonetti, Filippo Lanteriis e Simone Pariotto.

Sui riquadri del parapetto tre bassorilievi, la Predicazione di S. Ermacora (al centro), S. Ermacora battezza le vergini Tecla, Eufemia, Dorotea, Erasma (a sinistra) e Il Martirio dei SS. Ermacora e Fortunato (a destra), delineano alcuni passi della vita del santo aquileiese. In alto si eleva il copricielo ricco di motivi decorativi che si concludono nella parte apicale con un putto che regge un cartiglio con il versetto “Audite et vivet anima vestra” (Isaia, 55).

La cappella dei Santi Giovanni Battista ed Eustachio

Appartiene a Francesco Fontebasso (1709-1769) la pala con i Santi Giovanni Battista ed Eustachio (1749-1753) posta sull’altare della cappella a loro dedicata.

Il soffitto fu decorato da Andrea Urbani con le figure degli evangelisti alternate a quelle dei profeti Davide, Mosè, Geremia ed Ezechiele, che coronano la chiave di volta con l’Agnus Dei.

La cappella dei Santi Ermacora e Fortunato

La cappella dedicata ai patroni della città, Ermacora e Fortunato, accoglie una pala d’altare del Tiepolo (1736) in cui i santi sono ritratti in una compostezza inusuale per lo stile di questo artista, legato piuttosto ad una traduzione briosa, qui volutamente moderata in chiave neocinquecentesca.

Sulla volta si manifesta apertamente il virtuosismo di Andrea Urbani, sapiente decoratore, capace di ingannare la mente dell’osservatore mostrandogli piacevoli giochi prospettici.

La cappella della Santissima Trinità

Nella cappella della Santissima Trinità dove si può apprezzare un altare in cui campeggia l’opera di Giambattista Tiepolo. Egli, assimilando la lezione del Pordenone a San Daniele del Friuli, rappresenta una Santissima Trinità terrena, forte ed umana nella sua corporalità.

Sulla parete si trovano invece le tele con la Resurrezione di Lazzaro e la Probatica piscina, dipinte da Pomponio Amalteo nel XVI secolo e un tempo situate nella parte interna delle portelle dell’organo in cornu evangeli.

Il puro decorativismo scenico sfoggiato dall’Urbani sulle volte delle altre cappelle diviene qui semplice cornice per la raffigurazione della Giustizia, Fortezza, Temperanza e Prudenza, riconoscibili dagli attributi che le accompagnano. I quattro ovali presentano invece scene bibliche con Abramo, Mosè ed Isaia fino a concludersi col Battesimo di Gesù.

Controfacciata e sacrestie

Controfacciata

Sulla controfacciata della Cattedrale è collocato il monumento equestre di Daniele Antonini (del 1617) realizzato in legno, nonostante la diversa apparenza. Girolamo Paleario (documentato tra 1599 e 1622), cui viene attribuita l’opera, decise di rappresentare il matematico, letterato friulano e corrispondente di Galileo in atto trionfale in memoria dell’assedio subito da Gradisca dove l’effigiato combatté e perse la vita.

I restauri condotti sul soffitto della navata centrale, hanno fatto riaffiorare un prezioso affresco, in cui si riconoscono alcune figure di santi (gli Evangelisti?) collocati entro nicchie facenti parti di un ampio contesto architettonico che in origine doveva risultare quale apparato scenografico al monumento equestre.

Le sacrestie

Di norma non accessibili al pubblico, le sacrestie della cattedrale conservano arredi e opere ricche di pregio storico e artistico.

Nel 1775 si dispose di costruire tre ambienti al piano terra, attigui al presbiterio, per conservarvi paramenti, libri liturgici e vesti sacre, mentre il piano superiore (ove ora sono situate le sale espositive del Museo) venne predisposto per accogliere la suppellettile ecclesiastica. Gli ambienti furono perciò dotati di apposito mobilio realizzato da Matteo Deganutti (1712-1794), artigiano che firmò molti degli armadi da sacrestia presenti nelle tante chiese friulane.

Il primo ambiente, detto “dei mansionari”, custodisce tra le diverse opere anche la Madonna di Reggio, tela di Jacopo Palma il Giovane (1544-1628) realizzata per un antico altare.

La seconda sacrestia, detta “dei canonici”, ospita alle pareti e sul soffitto degli eleganti affreschi di Pietro Antonio Novelli, che anche qui, come già nella Cappella delle Reliquie, venne affiancato da Giuseppe Morelli per l’esecuzione delle quadrature. Sulle due sovrapporte, inoltre, sono collocati i busti commemorativi dei patriarchi Dionisio e Daniele Delfino.

Coro iemale

A fianco della seconda sacrestia si trova la porta d’accesso al coro iemale, ambiente destinato all’assemblea dei canonici. Questo luogo è oggi un prezioso contenitore di opere tra cui tele come quelle di Giacomo Secante (†1585) raffiguranti la Vergine col Bambino e i santi Giovanni Battista e Orsola, il Martirio di santa Caterina d’Alessandria e la decapitazione di san Giovanni Battista (1559) e sculture come quelle, lignee, di Andrea Brustolon e di Valentino Panciera Besarel. Tra i tanti dipinti realizzati tra i secc. XVI e XIX sulla parete d’accesso spiccano raffinati affreschi che lasciano intuire come tale ambiente abbia una storia ben più complessa rispetto a quella narrata finora.

In questo luogo nel 1368, per volere di Pietro Arcoloniano, fu infatti costruita l’antica Cappella dei Santi Giovanni Battista ed Eustachio. Durante la riforma del Settecento essa fu soppressa e ricavato un unico ambiente con l’attigua Cappella dei Santi Ermacora e Fortunato. Ne conseguì la distruzione della parete divisoria, nonché la costruzione di un soffitto per ottenere un ulteriore piano.

Approfondimento

Ciò che rimane dunque dell’antica cappella della famiglia Arcoloniani è solo una delle pareti, quella sud, i cui affreschi non possono che suscitare un vivo rimpianto per ciò che è andato perduto. A destra della porta d’ingresso si vede la parte più antica (fine XIV e inizi XV sec.) con la scena dello Sposalizio mistico di santa Caterina di raffinato gusto tardogotico.

Verso la fine del Quattrocento gli Arcoloniani decisero di proseguire il decoro con altri affreschi narranti Episodi della vita di sant’Eustachio i quali, insieme alle scene della vita di san Giovanni Battista, che probabilmente decoravano la perduta parete nord, costituivano un apparato decorativo che oggi è possibile ammirare solo in parte. La piacevolezza della parete affrescata è infatti disturbata dall’aggiunta settecentesca del soffitto che taglia il dipinto interrompendone la lettura. Questa tuttavia è oggi consentita dall’accesso al piano superiore, dove è possibile intuire la bellezza e la grandiosità di questo ciclo pittorico.

Gli studi condotti su tali affreschi fanno supporre che nella decorazione della cappella siano intervenuti Andrea Bellunello (1430-1494) e un artista ancora ignoto, denominato “Maestro degli Arcoloniani”. Quest’ultimo sembra essere l’autore anche del trittico col Battesimo di Gesù tra i santi Giacomo apostolo e Francesco (già attribuito ad Antonio Vivarini) un tempo probabile pala d’altare della cappella ed ora collocato nella prima sala al piano superiore del rinnovato Museo del Duomo.

Il Museo del Duomo

Il Museo del Duomo, dedicato al Patriarca Bertrando di Saint Geniès, è oggi allogato in quattro ambienti: le Sale superiori alle sacrestie il Battistero, la Cappella Corporis Christi e la Cappella di San Nicolò. Nel Settecento queste ultime, come avvenne per quelle sul lato opposto, furono accorpate in un’unica Cappella, detta Masolina dal nome del committente. I lavori di restauro condotti agli inizi del secolo scorso fecero emergere un tesoro soffocato dalle aggiunte barocche e celato dall’altare della famiglia Masolini, il quale conteneva tra l’altro una pala di Giambattista Tiepolo, la Crocifissione tra Santi (ora al Museo Diocesano di Udine).

Cappella di San Nicolò

Emersero così splendidi affreschi, come quelli visibili nella Cappella di san Nicolò, realizzati da Vitale da Bologna (1309-61) nel 1349. Raffigurano sulla parete sud le Storie di san Nicolò che, divise in tre registri e riferite ai miracoli da lui operati dopo la sua morte, terminano in alto con la scena dei Funerali del Santo. Questo tema inusuale fa supporre che sulla corrispondente parete, distrutta durante il detto accorpamento, si trovassero gli affreschi con le più ordinarie scene della vita del Santo.

Sull’attuale parete divisoria, ricostruita nel 1953, sono oggi collocate le pitture affiorate al di sotto degli affreschi di Vitale durante i restauri degli anni ’60-’70 del XX secolo. Questa vasta rappresentazione di santi è attribuibile al patriarcato di Pagano della Torre (1319-1332) e quindi fa parte dell’originaria decorazione della cappella di San Nicolò eretta appunto in tale periodo. Infine, sulla parete est, la complessa macchina iconografica messa in atto da Vitale si conclude con l’imponente figura di San Nicolò in trono attorniato da santi.

Entro una piccola vetrina sono poi esposti diversi monili, tra cui spiccano un astuccio devozionale del XII secolo, la preziosa Reliquia di S. Elisabetta (XIII-XIV secolo), poi convertita in spilla e donata dall’imperatore di Lussemburgo Carlo IV quale devoto omaggio alla memoria del beato Bertrando, e i tre anelli cerimoniali, piccoli tesori dell’arte orafa medioevale.

Cappella Corporis Christi

In questa e nella successiva Cappella Corporis Christi è inoltre esposto il corredo funebre del Patriarca Bertrando. Esso comprende diversi paramenti (secolo XIV-XV), come la pianeta, il camice con l’aquila patriarcale, la mitra e il pastorale eburneo con l’immagine dell’Agnus Dei nel ricciolo apicale. Questi oggetti, collocati entro un’apposita vetrina, sono circondati da altre preziose testimonianze artistiche. I pochi affreschi superstiti testimoniano la ricchezza dell’apparato decorativo che ornava in origine questo ambiente (1320-1330), già sede dell’antico Battistero nella costruzione del Patriarca Bertoldo. Accanto a queste pitture murali troviamo una tavola con la rappresentazione dell’Incoronazione della Vergine e storie di san Nicolò (XIV secolo), opera del cosiddetto “Maestro dei Padiglioni”.

Sulla parete a fianco sono invece disposte altre scene tratte dalla vita del beato Bertrando (XV sec.), dall’episodio della distribuzione del pane ai poveri all’uccisione del Beato e al ritratto del Patriarca assorto in preghiera.

Sulla parete opposta sono esposti dei manufatti lapidei, tra cui alcuni sigilli tombali, epigrafi e le chiavi di volta delle antiche cappelle Arcoloniani e dei Santi Ermacora e Fortunato.

Battistero

Il percorso museale prosegue nel Battistero con l’Arca del beato Bertrando la cui storia è alquanto complessa: fatta costruire da Bertrando per contenere le reliquie dei santi Ermacora e Fortunato e destinata alla Basilica di Aquileia, divenne invece nel 1353 il suo sarcofago. In quell’anno, infatti, Nicolò di Lussemburgo decise di rendere i massimi onori al suo predecessore traslandone la salma dall’originaria sepoltura ai piedi dell’altare maggiore alla più preziosa urna marmorea.

Approfondimento

Sulle pareti del Battistero sono visibili, oltre ai lacerti dell’antica decorazione parietale, gli affreschi rinvenuti nella zona del presbiterio durante i restauri del 1969 e qui collocati nel 2004.

Dando le spalle all’arca del beato Bertrando si vedono brani delle storie di Tobia e Sara e a fianco, Susanna al bagno, nella cui parte inferiore, individuabile dalla sagoma intonacata, si trovava inserita una nicchia con San Girolamo oggi posizionato sulla parete a lato. Sulla stessa è collocato anche un lacerto con episodi legati alla storia di Giuditta e Oloferne. Sul versante opposto si riconoscono la cattura di Cristo, la Flagellazione e la salita al Calvario. Queste pitture aggiungono un altro tassello all’opera udinese di Vitale da Bologna. Il rinvenimento ha portato infatti a supporre che in realtà l’artista sia giunto a Udine alla metà del Trecento non solo per eseguire, per conto della Fraterna dei Fabbri, le pitture della cappella di San Nicolò, ma per assolvere il più importante incarico di affrescare la cappella maggiore. Su indicazione del Patriarca Bertrando il maestro emiliano dipinse così gli episodi tratti dal Vecchio Testamento, sulla parete sinistra del coro e altri del Nuovo Testamento sulla parete destra. 

Al centro del Battistero è collocato l’ottagonale fonte battesimale concepito in chiave contemporanea per non alterare la corretta lettura delle pregevoli opere che lo circondano.

Il Museo del Duomo trova infine, nel recente allestimento (dicembre 2006) nelle Sale superiori alle sacrestie, il giusto contesto dove esporre parte del patrimonio artistico della Cattedrale. In questi ambienti è infatti possibile ammirare non solo diversi dipinti, ma anche preziose oreficerie (dal XV al XIX secolo) e pregiati paramenti liturgici di raffinate manifatture del XVII-XVIII secolo.