Chiesa di Sant'Antonio Abate a San Daniele del Friuli
La chiesa di Sant’Antonio Abate e gli affreschi di Pellegrino
La facciata quattrocentesca
Rosone, Chiesa di Sant'Antonio Abate, San Daniele del Friuli
Affreschi della parete laterale sinistra
Affreschi della parete laterale sinistra, Chiesa di Sant'Antonio Abate, San Daniele del Friuli
Affreschi del catino absidale
Affreschi del catino absidale, Chiesa di Sant'Antonio Abate, San Daniele del Friuli
Gli affreschi di Pellegrino nel coro. La seconda fase 1513-1514
Crocifissione, Coro, Chiesa di Sant'Antonio Abate a San Daniele del Friuli
Gli affreschi di Pellegrino lungo le pareti (1522)
Sant'Antonio Abate benedice la Confraternita, particolare, Chiesa di Sant'Antonio Abate a San Daniele del Friuli
Gli affreschi di Pellegrino nel presbiterio (1522)
Discesa di Cristo al Limbo, Chiesa di Sant'Antonio Abate, San Daniele del Friuli
Chiesa di Sant'Antonio Abate a San Daniele del Friuli
La fraterna, il pio ospedale e la chiesa
Sull’onda di una diffusione capillare di commanderie, ospedali e luoghi di culto dedicati a sant’Antonio, determinata soprattutto dalla necessità di accogliere viandanti e viaggiatori lungo gli itinerari commerciali e del pellegrinaggio, anche a San Daniele del Friuli, dall’inizio del XIII secolo, era attiva una pia istituzione in grado di offrire cura e ospitalità.
La “Veneranda Fraterna del Pio Ospedale di Sant’Antonio abate di Vienne”, composta da laici, era organizzata in una complessa struttura, esemplata su quella della Comunità locale, e gestiva in maniera del tutto autonoma un vasto patrimonio costituito da beni concessi dai Patriarchi, case, orti e terreni ottenuti attraverso donazioni e lasciti. Il Pio Istituto aveva a disposizione 26 letti, 24 capezzali e camere riservate ai religiosi. Offriva assistenza gratuita ed elemosina ai poveri residenti e ad ogni pellegrino di passaggio: un letto per una notte e un giorno di riposo, assieme alla razione giornaliera di una libbra di pane, una “bucia” di vino e una minestra con brodo di carne. Forniva ausili medici, farmacologici e cure a domicilio alle persone anziane della Comunità, oltre a dare assistenza ai malati, residenti e non, accolti nell’omonimo ospedale, senza trascurare, accanto alle cure del corpo, di offrire conforto all’anima attraverso i servizi spirituali celebrati nella chiesa prospicente.
La chiesa
Consacrata nel 1308, forse in seguito al restauro ed ampliamento di un più antico sacello cristiano, la chiesa, a navata unica, è dedicata a Sant’Antonio abate.
Nel 1348 si resero necessari dei lavori per riparare i notevoli danni causati da un violento terremoto. Altri interventi furono eseguiti nel 1405, mentre nel 1441 fu stabilito di “slongar” (allungare) la chiesa, forse di innalzarne il tetto (ora con copertura a capriate scoperte), realizzare il coro e una piccola sacrestia.
A quell’epoca la navata è dotata di un solo altare, collocato probabilmente davanti all’arco del coro, dedicato a Sant’Antonio abate.
La facciata quattrocentesca
Nel 1469 sono realizzate le decorazioni degli archetti del sottotetto, illustrati con figure allegoriche sacre e profane (uccelli, draghi, diavoli, frutti, santi eremiti, donne intente a filare, angeli al lavoro) mentre nel 1470 si concludono i lavori, iniziati nel 1464, sulla facciata gotica in pietra d’Istria con il magnifico rosone raggiato che nel clipeo ospita la Madonna con il Bambino ed il portale che nella lunetta accoglie le figure dell’Eterno Padre, Giovanni Battista, Antonio da Padova e Antonio abate, con i suoi simboli: la campanella che serve agli Antoniani per annunciarsi durante spostamenti e questue; il “Tau” bastone che, ricordando la Croce, rappresenta la stampella degli ammalati, ma allude anche alla parola greca “thauma”, che significa prodigio, meraviglia, oltre che alle cose ultime; il porcellino, che rimanda all’usanza di allevare maiali in libertà, nutriti dalla comunità, ma contrassegnati da un campanellino per segnalare l’appartenenza all’ordine degli Ospedalieri
Affreschi della parete laterale sinistra
Nel Trecento furono eseguiti alcuni affreschi sulla parete laterale sinistra, dei quali restano visibili, racchiuse in un arco gotico, la scena della Fuga in Egitto, l’Adorazione dei Magi e la Nascita di Cristo; mentre all’inizio del Quattrocento ne furono realizzati degli altri, di cui è superstite solo la Sant’Elena con la croce e un frammento con una figura con cingolo e bisaccia, orante in ginocchio.
Nel 1475 si rimise mano agli affreschi, con un ciclo che insiste ancora sulla parete sinistra della chiesa e infine, nel 1487, sono collocate le vetrate istoriate sulle finestre, giunte sino a noi nella pressoché totale completezza (ad esclusione di quella raffigurante san Gottardo, rinnovata nel 1734).
Affreschi del catino absidale
Nel 1497 la Fraterna decise di affidare al giovane Pellegrino da San Daniele il compito di coprire gli affreschi trecenteschi, giudicati rozzi, scarsamente “divoti” e poco opportuni. Non sappiamo se l’incarico a Pellegrino sia stato determinato dalla frequentazione dell’artista con l’importante famiglia Portunerio o se invece il promettente artista si sia affidato alle raccomandazioni del padre, Battista di Zagabria, pittore mediocre, all’epoca operante a San Daniele.
Pellegrino da San Daniele o Martino da Udine? Ancora oggi non è possibile dire quale delle due città abbia dato i natali al nostro pittore: sappiamo invece con certezza che è morto a Udine il 17 dicembre 1547, alla probabile età di ottanta anni. Una vita notevolmente lunga, se accettiamo l’ipotesi che nel 1488 Pellegrino avesse 21 anni.
Figlio di Battista Schiavone, intagliatore e pittore, dalle chiare origini croate, morto a Udine nel 1484. Quindi Pellegrino rimase orfano poco più che adolescente e in una famiglia povera. Dopo una prima formazione nella bottega udinese di Antonio da Firenze, Pellegrino passo al servizio del pittore e intagliatore Domenico Mioni da Tolmezzo. Il giovane artista dimostra una notevole propensione per la resa prospettica e scenografica dello spazio pittorico, espressa attraverso lo studio dell’architettura. Nell sua pittura, fin dall’inizio, si possono riscontrare echi della civiltà figurativa di Venezia e della Terraferma (Bellini, Vivarini, Mantegna, Cima da Conegliano), offrendo un complesso apparato architettonico, con uno studio dello spazio e della disposizione delle figure mai visto prima in Friuli.
Nel 1497 Pellegrino sposò la sandanielese Elena Portunerio, figlia del ricco commerciante Daniele.
Dal 1501, dopo aver realizzato la pala di San Giuseppe per il duomo di Udine, Pellegrino è un pittore affermato e riceve commissioni prestigiose (a Cividale del Friuli, Aquileia, Gemona e Udine). Nel 1504 è documentata la sua presenza a Ferrara, al servizio della corte estense, presso cui operò a lungo (alternando frequenti soggiorni friulani), fino al 1513, ma nessuna delle sue realizzazioni (dipinti, scenografie, decorazioni) è giunta sino a noi. Rientrato in patria avviò un’intesa attività, ponendosi ai vertici della pittura locale.
Nel 1534 visitò l’Italia centrale, lasciando una testimonianza graffita ad Assisi. Muore a Udine nel 1547.
I lavori iniziarono nel 1497 con la decorazione delle vele del catino absidale che, pur in uno schema compositivo piuttosto convenzionale, indotto anche dalla particolare morfologia a spicchi della semicalotta, già anticipa soluzioni iconografiche inusuali: le figure infatti, anziché sedute su imponenti troni lignei o racchiuse entro cerchi iridati, si stagliano sullo sfondo chiaro, poggiando su leggere e tenue nubi stilizzate.
Al centro è il Cristo benedicente racchiuso entro una mandorla e ai lati quattro Evangelisti, affiancati dai propri simboli e accompagnati da angeli e cherubini che reggono cartigli aggrovigliati; alle estremità due profeti e un gruppo i tre cherubini.
Così, se risulta evidente un certo impaccio nella resa dei panneggi, ancora “legnosi” e spigolosi, la soluzione plastica delle figure appare più evoluta rispetto a quella palesata in precedenza da Pellegrino.
Un piccolo profeta, forse Daniele, è presente nella parte alta della finestra.
Nel sottarco che divide il coro dal presbiterio sono raffigurati, entro piccoli ovati, dieci busti femminili: rappresentano le sante Colomba, Lucia, Agata, Elena, Barbara, Maria Maddalena, Caterina, Orsola, Rosa e Apollonia.
La decorazione della finestra ad ogiva del presbiterio comprende anche la scritta “Pelegrinus pinxit 1498”. Si può quindi supporre che, arrivato a questo punto, Pellegrino abbia interrotto il suo lavoro, per concludere la decorazione di questa stessa finestra molti anni più tardi, tra cui è possibile riconoscere San Francesco, San Luigi, San Bernardino, Sant’Antonio abate e Sant’Antonio da Padova.
Difficile stabilire le vere ragioni di questa improvvisa sospensione del cantiere. Forse la Fraterna si trovò in difficoltà economiche; forse Pellegrino era spaventato dall’avanzata dei Turchi.
Dal 1504 al 1513 Pellegrino fu pittore di corte a Ferrara.
Gli affreschi di Pellegrino nel coro. La seconda fase 1513-1514
Nel 1513 la riapertura del cantiere vide Pellegrino impegnato nella realizzazione delle decorazioni della volta del presbiterio, delle lunette e di parte della Crocifissione che occupa tre dei cinque lati della parete del coro, con le figure del Cristo e del ladrone cattivo certamente autografe.
Sulla volta del presbiterio Pellegrino eseguì i Quattro Dottori.
Nel sottarco i Profeti.
Il Miracolo del fanciullo annegato
Il Miracolo del fanciullo annegato,nella lunetta di destra, vicino alla finestra, è un brano di notevole rilievo qualitativo, in grado di suscitare vibranti emozioni in un clima di benevolenza e dolcezza che trae ispirazione da un episodio della “Leggenda Rigaldina”, la più antica testimonianza della vita di sant’Antonio da Padova.
Narra Jean de Rigauld che una giovane madre, disperata per aver trovato il piccolo Tommasini di venti mesi annegato, dentro un mastello, invoca il nome del santo e fa un voto: se otterrà la grazia della resurrezione del piccolo, donerà ai poveri tanto grano quanto è il peso del bimbo. Da qui la pia devozione di dare un’elemosina ai poveri sotto forma di pane, una tradizione che ancora oggi sopravvive.
Le Tentazioni e il Seppellimento di San Paolo Eremita
Nelle lunette a sinistra della parete di fondo del presbiterio sono due scene della vita di sant’Antonio abate: le Tentazioni e il Seppellimento di san Paolo eremita. Tali brani probabilmente sono stati affidati da Pellegrino a collaboratori di bottega. La complessa questione sul numero e l’identità di questi ultimi non ancora stata risolta. Appare certamente plausibile l’ipotesi che Pellegrino si sia avvalso dell’aiuto di almeno due pittori legati alla sua bottega, assegnandogli le parti accessorie e di minore pregio del ciclo a completamento ed integrazione di un lavoro articolato, iconograficamente stimolante e ricco di riferimenti all’Antico e Nuovo Testamento, oltre che di immagini di santi, narrazioni e soluzioni decorative in grisaille.
Soltanto un anno dopo, nel 1514, i lavori sono nuovamente ed improvvisamente interrotti e l’opera pittorica rimane incompiuta all’altezza dei piedi del Cristo e dei due ladroni della Crocifissione.
Nello stesso 1514 l’invasione delle truppe imperiali impone anche a San Daniele, sotto la minaccia di morte e distruzione, il pagamento di un forte tributo. Pellegrino, membro dell’arengo dei capifamiglia, non può o non vuole gravare ulteriormente sulle spalle dei suoi concittadini.
Gli affreschi di Pellegrino lungo le pareti (1522)
La vastità dell’intero ciclo di affreschi e le numerose incongruenze stilistiche hanno creato non pochi problemi alla critica moderna, provocando un ampio dibattito nel tentativo di fissare una cronologia, ma probabilmente l’ultima fase dell’opera di Pellegrino è da collocare tra il 1520 e il 1522. La decorazione non ripartì dal presbiterio, dov’era stata precipitosamente interrotta nel 1514, ma dalla parete di fondo della navata.
Una volta innalzati i ponteggi Pellegrino procedette dall’alto, partendo dall’Annunciazione per continuare con l’Adorazione dei pastori, l’Adorazione dei Magi, San Sebastiano, San Michele e San Floriano.
Proseguendo nella decorazione sulle pareti sinistra e destra della navata, Pellegrino realizzò personalmente la bella scena in cui Sant’Antonio benedice la Fraterna (a sinistra), mentre affidò alla mano di un proprio collaboratore il maestoso San Cristoforo (a destra), patrono dei viandanti e dei pellegrini, portatore di tutti i mali del mondo, annoverato tra i quattordici santi ausiliatori invocati tutti insieme nel momento di grave calamità.
Benché rovinato il brano con Sant’Antonio che benedice la Fraterna rappresenta una delle vette della pittura friulana del Rinascimento. In esso Pellegrino supera se stesso e traccia una splendida serie di ritratti, a grandezza quasi naturale, nella quale le fisionomie dei confratelli appaiono talmente vive e presenti da sembrare colte dall’immediatezza della macchina fotografica.
Gli affreschi di Pellegrino nel presbiterio (1522)
Nel presbiterio Pellegrino conclude la parte inferiore della Crocifissione (in parte non autografa), per poi spostarsi sulle pareti laterali, dove compose la Discesa di Cristo al Limbo, la Lavanda dei piedi e le figure dei santi Giorgio, Colombo, Tobiolo e l’angelo, Emidio in nicchie dipinte. Con gli episodi monocromatici che narrano alcuni momenti della vita di Cristo, Pellegrino chiude definitivamente il cantiere.
Nel 1870 per eliminare il problema delle infiltrazioni d’acqua che minavano le fondazioni della chiesa, e, risalendo attraverso i muri perimetrali, compromettono le pareti basse degli affreschi.
Dopo alcune indagini nel 1878, su nomina del Regio Ispettore Giovanni Battista Cavalcaselle, fu incaricato il noto restauratore padovano Antonio Bertolli, il cui lavoro terminò nel 1882.
Dal 1882, per conservare i preziosi affreschi riportati allo splendore, la chiesa, spogliata di ogni arredo, è definitivamente chiusa al culto, ma non sconsacrata. Gran parte degli arredi, l’altare e le statue marmoree sono trasferite nella chiesa di Madonna di Strada, mentre l’ancona dorata resta al suo posto sulla parete laterale destra.
Nel 1888 viene rilevato dall’Ufficio regionale per i Monumenti del Veneto il degrado che ha nuovamente colpito gli affreschi. Ma la radicale operazione di bonifica è ostacolata dal fatto che la chiesa, di proprietà del Comune, spogliata dei suoi arredi sacri, è ormai diventata un magazzino di legname e calce, un luogo mal custodito che rimane sempre chiuso.
Dopo molte traversie un nuovo restauro viene condotto nel 1929, m i problemi all’interno della chiesa non sono risolti, tanto che nel 1954 la Soprintendenza dà avvio a un ulteriore campagna di restauri, che si concluse nel 1956, quando l’edificio fu riaperto al culto.
A seguito dei danni causati dal terremoto del 1976 furono attuati lavori di risanamento e restauro dei dipinti, che iniziati nel 1985 terminarono nel 1988.
Da allora la chiesa di Sant’Antonio abate apre quotidianamente le sue porte a visitatori e viaggiatori, che, come moderni pellegrini, giungono da ogni dove, per ritemprare lo spirito ed il corpo, godendo dei colori di quella che è stata definita la “Piccola Cappella Sistina del Friuli”.